Tra le
gambe pendevan le minugia ; la corata pareva e 'l triste sacco che merda fa di quel che si trangugia. Mentre che tutto in lui veder m'attacco guardommi, e con la man s'aperse il petto dicendo : "Or vedi com'io mi dilacco! Vedi come storpiato è Maometto ! Dinanzi a me sen va piangendo Alì, fesso nel volto dal mento al ciuffetto". (dalla "Divina Commedia",Inferno, canto XXVIII, 25-33 ) |
PARTE I |
CONOSCERE L'ISLÀM CAPITOLO
I INTRODUZIONE GENERALE 1.
ATTUALITÀ DELL'ISLÀM
L'islàm è in piena
espansione; dal Senegal alla Nuova Guinea, per un raggio di circa 20.000
Km, i paesi islamici cinturano il globo; diverse centinaia di milioni di
musulmani, (400 secondo alcuni, 800 secondo il giornale Le Point del 13 marzo 1984) ricchi del petrolio racchiuso nei loro
deserti, ricchi dei figli che mettono al mondo, osteggiano la loro
volontà di potenza, malgrado le guerre intestine che li dividono. In
Francia, la presenza di parecchi milioni di immigrati di origine
musulmana è un fenomeno che ci concerne direttamente.
«(...) 400.000 di essi sono naturalizzati, e circa 40.000
francesi si sono convertiti all'Islàm. In Francia, fino a cinque anni
fa, non si contavano che 23 moschee, mentre ora ne esistono 51; se si
chiamano moschee, come è stato fatto con superficialità, anche le sale
di preghiera ove si raccolgono questi musulmani, tale numero sale a
circa 500 unità»[1]. Ora, cosa incredibile, malgrado questi fatti,
l'islàm è quasi sconosciuto. Certamente, a riguardo di questo
soggetto, le opere abbondano, e forse la vita di un uomo non basterebbe
per esaurirne la bibliografia. Una tale profusione scoraggia la persona
non specializzata che desiderebbe disporre di una documentazione
facilmente accessibile sui punti chiave dell'islàm... In qualche modo,
la foresta nasconde l'albero... 2.
OBIETTIVO E
LIMITI DI
QUESTO STUDIO
L'islàm: che cosa si deve intendere con questo termine? Quale
religione? Quale ideologia? Quale organizzazione della società? Quale
volontà di conquista politica? Quali punti in comune - e quali
differenze - con il cristianesimo? Quale specificità di fronte
all'Occidente? Il presente studio vorrebbe dare a queste domande delle
risposte elementari, qualche dato fondamentale, e alcune spiegazioni
basilari che costituiscano un bagaglio minimo sull'argomento. Joseph
Hours ha scritto: «Per studiare l'islàm, occorre stabilirsi al centro della sua ispirazione, e cioè nella sua nozione di Dio. Privi di questa luce, molti non-credenti hanno applicato a questa nuova materia dei metodi troppo vecchi. Essi si sono immersi nella filosofia e nella lingua araba, prestandovi eccessiva importanza, e si sono persi nei dettagli del diritto islamico (...). Troppo spesso il loro ateismo gli ha impedito di capire il fatto fondamentale che l'islàm è innanzitutto una religione»[2].
La storia della sua propagazione, delle sue conquiste e dei suoi
riflussi, quella delle dinastie successive dei califfi, dell'arte e
della letteratura islamiche... costituiscono sicuramente tanti aspetti
degni di interesse, ma che non affronteremo in questo breve
studio essenzialmente incentrato sul fatto religioso, e sul suo impatto
sulle mentalità, sui costumi e sulle strutture attuali del mondo
musulmano. 3.
PRINCIPALI FONTI
UTILIZZATE
Nel corso di questo studio, ci appoggeremo essenzialmente sui
seguenti testi:
Il Corano[3]
In effetti, quale fonte più
obiettiva che il libro sacro dei musulmani (dall'arabo
«muslim»=participio del verbo arabo
«salima»=«sottomettersi», il cui infinito sostantivo è appunto «islàm»)?
Citeremo dunque il più sovente possibile molti tra i suoi versetti più
idonei ad illustrare un determinato dogma, un determinato atteggiamento,
o una determinata opzione dell'islàm. Per far ciò, utilizzeremo una
delle traduzioni più apprezzate, ovvero quella di Arnaldo Fracassi.
L'islàm, credo e
istituzioni»[4]
Avendo compiuto i suoi studi nel seminario di Gazir, ed essendo
quasi sempre vissuto in Libano, il gesuita H. Lammens ha consacrato allo
studio dell'islàm una lunga vita di ricerche e di contatti prolungati
con l'ambiente musulmano. Inoltre - ed è questa una delle ragioni della
nostra scelta - Padre Lammens s.j. è considerato dagli specialisti come
un critico distaccato ed imparziale; ancora oggi, non esiste in materia
un'autorità migliore per abbordare questo argomento.
Il «Dialogo
islamico-cristiano sotto il califfo Al Mamùn»
Le più grandi biblioteche mondiali (Città del Vaticano, Beirut,
Damasco, Dublino, Il Càiro, Leningrado, Parigi e Yale) conservano i
manoscritti in lingua araba o in karsunì (arabo in caratteri siriaci)
di uno scambio epistolare avvenuto sotto il regno di Al Mamùn, califfo
di Baghdad, nel lasso di tempo che va dall' 813
all'834 della nostra era, ossia ad appena due secoli dalla
nascita dell'islàm. Esso è composto da due lettere; nella prima, un
musulmano (Al Hashimi) convinto scrive ad un suo amico cristiano (Al
Kindi), esponendogli la dottrina dell'islàm e invitandolo a
convertirsi. Nella seconda, il cristiano riprende punto per punto gli
argomenti dell'amico per confutarli, ed espone a sua volta il
cristianesimo, invitandolo ad aderirvi. Fin dal 1141, questi manoscritti
furono tradotti in latino da Pietro di Toledo, su richiesta di Pietro il
Venerabile, abate di Cluny. Essi furono successivamente tradotti in
francese dal pastore Georges Tartar, professore di arabo. Oltre a queste
fonti principali, citeremo, strada facendo, quegli autori che ci
sembreranno utili per migliorare la comprensione di un determinato punto
che analizzeremo. CAPITOLO
II LA CULLA
DELL'ISLÀM 1.
IL QUADRO
GEOGRAFICO
L'islàm è nato nell'Arabia occidentale, e precisamente nella
regione che costeggia la penisola arabica ad est del Mar Rosso chiamata
Hegiaz, una zona accidentata e montuosa, con qualche oasi generalmente
poco fertile, caratterizzata da un calore opprimente e da lunghi periodi
di siccità interrotti da piogge torrenziali, e che appartiene
all'attuale Arabia Saudita. 2.
IL QUADRO
UMANO q
I beduini
Come ai nostri giorni, a quel tempo i beduini costituivano
l'immensa maggioranza della popolazione. Di razza e di lingua araba,
essi erano dei pastori nomadi. Tuttavia, una parte di essi si era
sedentarizzata nelle oasi ed in tre città di quell'epoca: Medina, La
Mecca e Taif[5].
«Malgrado le sue apparenze rozze, il beduino non è né un primitivo, né un barbaro. Egli apprezza la poesia. A partire dal VI secolo dell'era cristiana, il poeta occupa nella tribù, a fianco del capo, un posto a parte. Nondimeno, questa poesia è povera di immagini originali, di motivi religiosi o morali»[6].
Per ciò che concerne le qualità morali, il Lammens reagisce
contro «l'infatuazione delle ammirazioni romantiche»; egli vede
nell'individualismo del beduino la fonte principale dei suoi difetti, e
la causa della sua incapacità di fondare una forma stabile di potere e
di organizzarsi.
«Qualcuno ha detto che il beduino è coraggioso. Alcuni eruditi
hanno attribuito i successi delle prime conquiste musulmane alla qualità
eccezionale del suo valore»[7].
Padre Lammens s.j. non condivide senza riserve tale opinione e
sottolinea che, a questo riguardo, l'Autore del Corano non si fa alcuna
illusione. Il beduino prova ripugnanza a combattere allo scoperto, e
vede nel coraggio un'imprudenza gratuita, preferendo cogliere di
sorpresa il suo nemico e facendo uso della fuga come di un semplice
stratagemma bellico. Esso non pratica che la razzia, sempre che la
razzia possa essere definita guerra. Ciò nonostante, la tenacità è la
sua più incontestabile qualità. Essa gli ha forgiato un temperamento
d'acciaio che gli permette di vivere e di prosperare ove tutto
inaridisce. q
Gli ebrei
Essi si insediarono ripartendosi nelle diverse oasi (di cui
possedevano la maggior parte), e nelle tre già citate
grandi città; in particolare, essi erano molto numerosi a
Medina, dove costituivano oltre la metà della popolazione. Proprietari
a Medina delle migliori tenute, del commercio e dell'industria, essi
avevano come clienti gli arabi che guardavano dall'alto, come dei «gentili»,
dei «non-scritturali», nel senso che gli arabi non possedevano, al
pari di essi, un libro rivelato. q
I cristiani
Meno numerosi e meno favoriti degli ebrei, i cristiani
intrattenevano buone relazioni con gli arabi;
si trattava in buona parte di monaci ed eremiti, i quali godevano
di una certa popolarità, e il Corano stesso riporterà persino l'eco di
questa simpatia.
«Tuttavia, essi appartenevano ad alcune sette eterodosse, e
principalmente al giacobitismo8
, ed in seguito al nestorianesimo9,
e a quel cristianesimo d'Abissinia fortemente intriso di elementi
giudaici. Alla Mecca, Maometto sembra aver ricercato la loro compagnia.
I contatti con questo genere di informatori, spiriti rozzi che parlavano
una lingua straniera, e che conoscevano assai male la loro religione, i
loro successivi disaccordi, le loro divisioni dottrinali ed altre
circostanze, contribuirono a formare le idee che Maometto si fece dei
dogmi e del valore del cristianesimo»10. 3.
IL QUADRO RELIGIOSO PREISLAMICO PRESSO I BEDUINI
DELL'HEGIAZ
Qual'era il contesto religioso alla vigilia dell'entrata in scena
di Maometto? Abbiamo appena visto le minoranze ebraica e cristiana. Per
l'arabo, grazie anche ad alcune osservanze locali, la religione
presentava due tratti caratteristici: q
Politeismo e litolatria
-
Politeismo: esso venerava una
dozzina di divinità, tra cui figurava una triade femminile (Allàt,
Al'Uzzà e Manàt),
elemento questo che denota una certa arguzia per una società in cui la
donna era già tenuta in disprezzo ed in uno stato di inferiorità. Più
oltre, vedremo come il Corano ironizzi su «coloro che attribuiscono
figli ad Allàh (contrazione del vocabolo arabo al-ilàh=«la
divinità» per eccellenza)».
- Litolatria:
(dal greco «culto delle pietre») essa consisteva nell'adorazione ,
molto popolare e predominante, delle «pietre sacre», ovvero di
monoliti o blocchi erratici modellati dalle erosioni. q
Un tempio pagano recuperato dall'islàm: la Caàba
Situata alla Mecca, la Caàba (il «cubo» o il «dado») è un
edificio rettangolare in pietra lavica di circa 10 metri di lunghezza,
12 di larghezza e 15 di altezza, che sembra essere stato oggetto di un
vero culto fin dagli inizi del primo millennio. In un angolo di questo
edificio, è incastonata la «Pietra Nera» (probabilmente un meteorite
di circa 30 cm. di diametro raccattato in passato tra le sabbie del
deserto, che - secondo la tradizione musulmana - sarebbe stato posto
nella Caàba dallo stesso Abramo), anch'essa venerata dai beduini
litolatri di cui abbiamo già parlato. L'islàm si appropriò di questo
santuario (la Caàba costituisce in un certo senso il cardine del
pellegrinaggio rituale dei musulmani alla Mecca), facendone il perno e
l'unico punto di incontro dei pellegrini musulmani di tutto il mondo. 4
IL QUADRO ECONOMICO E POLITICO q
La Mecca, crocevia commerciale
La «sterile vallata» della Mecca costituiva il passaggio
obbligato per innumerevoli carovane che trasportavano pelli, spezie e
diverse derrate provenienti da Oriente e dall'Arabia, dirette verso
l'Africa del Nord.
«Paradiso dei carovanieri, dei mediatori, dei cambiavalute, dei
prestatori a pegno e dei banchieri usurai, [...] febbre di lucro, furore
di speculazione... così condiviso che ben poche carovane o tutta la
popolazione, uomini e donne compresi, non vi erano coinvolte».
Così Padre Lammens s.j. descrive questa piazza «borsista» ed
il suo ronzio di alveare umano.
Nessuna struttura politica
Metropoli religiosa e commerciale dell'Hegiaz, essa vide dominare
una tribù: i Coreiscìti (dall'arabo «Qurays»).
Nessun governo propriamente detto, ma solo la «Mala»,
una sorta di assemblea di notabili, i più ricchi ed i più influenti.
Notiamo anche l'esistenza di una specie di sindacato dei mercanti. Ma di
fatto non esisteva nessuna
struttura politica reale, giacché anche La Mecca
era dominata dai costumi e dai pregiudizi dell'arabo
individualista. CAPITOLO
III il
fondatore: Maometto 1.
Le fonti storiche
La vita di Abùl-Kàsim ibn Abd-Allàh, detto Maometto
(dall'arabo Muhammad=«il
glorificato») ci è nota:
- Tramite il Corano (dall'arabo al-quràn=«recitazione
ad alta voce», scritto nel 657 - ossia 25 anni dopo la sua morte - da Zàid
ben Tabit, un suo discepolo), sebbene in maniera eccessivamente allusiva
(non una sola volta il nome di Maometto vi è citato);
- Tramite la «Sirah» o «Vita di Maometto» (scritta da Ibn
Isham, morto nell'anno 833), di cui i musulmani hanno iniziato a
raccogliere il materiale un secolo circa dopo la morte di quest'ultimo,
e che è stato considerevolmente arricchito nel corso degli anni e dei
secoli. q
Lacune ed incertezze
In effetti, la nostra conoscenza della personalità e della
carriera del fondatore dell'islàm, non si fonda su alcuna certezza
storica. La stesura della «Sirah», come abbiamo appena visto, è
iniziata non meno di un secolo dopo la sua morte, e la maggior parte di
essa è stata elaborata a partire da alcune vaghe quanto enigmatiche
allusioni del Corano. Un gran numero di storici arabi, quali ad esempio
Lahbani e Mahsudi, hanno raccontato la vita di Maometto. In Occidente,
le prime opere su questo argomento sono apparse solamente verso la fine
del secolo scorso (Krehl, Noldecke, ecc...). Tuttavia,
«[...] lo studio critico delle tradizioni più antiche sembra
dover modificare alquanto l'idea che fin qui ci si è fatti della vita e
del carattere del profeta arabo»11.
Noldecke, al termine di lunghi anni di studio, dichiarò di «rinunciare a scrutare il mistero della personalità storica di
Maometto». Goldziher, un altro illustre islamologo, nella sua opera
«Muhammadische studien»
(1889-1890), dopo aver sottoposto i racconti della vita di Maometto ad
una critica scientifica rigorosa, mise in luce «[...] il carattere tendenzioso di questi scritti, la cui unica fonte risiede in un'interpretazione più o meno esaustiva di versetti più o meno oscuri del Corano». q
Realtà, leggende ed estrapolazioni
Se gli autori musulmani della «Sirah» hanno spesso dato prova
di possedere una viva immaginazione estrapolando a partire da «versetti più o meno oscuri del Corano», anche alcuni specialisti
occidentali, dai quali pertanto ci si aspettava una più esigente
obiettività, non sono stati risparmiati da questa stessa inclinazione.
Tale fenomeno è sufficientemente frequente nella letteratura
occidentale consacrata all'islàm, per cui ci attardiamo un istante
citando un paio di esempi:
- Primo esempio
Sura LXXIV
(Il mantello) 1.
«Tu che sei coperto col
mantello!12
»
2. «alzati ed istruisci...» (F).
Partendo da questi versetti, la tradizione musulmana conclude: «Un giorno Maometto si trovava sul Monte Hirà, allorché intese una voce che lo chiamava; non vedendo nessuno, egli alzò gli occhi e vide l'angelo Gabriele. Spaventato, rientrò in casa e disse alla sua donna: «Avvolgimi in un mantello». Fu allora che Gabriele discese nuovamente e lo chiamò: «Tu che sei coperto col mantello!...».
Così R. Blachère commenta questo
versetto: «Colui che è coperto con un mantello»: senza alcun dubbio possibile, questa espressione designa il profeta in stato di estasi».
Senza alcun dubbio possibile, in stato di estasi! Sulla
traccia di Padre Théry, citato da don Bertuel13,
e al quale dobbiamo questo esempio, ci si può interrogare circa il
rigore scientifico di un tale commento.
- Secondo ese~‚prðpò
€"@$£Hš™"¼b€
2.
«Non ti abbiamo scaricato di un fardello?»
3.
«Esso opprimeva le tue spalle col suo peso» (F).
Così la «Sirah»: «Un compagno di Maometto che con lui custodiva gli armenti, vide un giorno due angeli gettare a terra il giovane Maometto, aprirgli il petto e togliere dal suo cuore una macchia nera». Ed ecco il commento di Emile Dermenghem14: «[Si tratta di una] morale basata su di un senso erroneo [...], ma la cui importanza sta a significare che ad appena 4 o 5 anni di vita il profeta venne lavato dal peccato originale, da cui solo Gesù e Maria15 erano stati preservati sin dalla nascita».
È' lecito domandarsi chi, tra l'autore arabo della leggenda ed
il Dermenghem, si spinga più lontano nell'audacia interpretatrice. E',
dunque, alla luce di questi elementi e con le dovute riserve che ora
andremo a passare in rivista i punti principali di ciò che si sa - o si
ritiene di sapere - sulla personalità e sulla carriera del fondatore
dell'islàm. 3.
LE PRINCIPALI
TAPPE DELLA
VITA DI
MAOMETTO q
Dalla nascita alla predicazione
Secondo Padre Lammens s.j., la data di nascita di Maometto
dovrebbe porsi verso il 580 (sempre che risponda a verità che egli non
abbia superato la cinquantina), anziché verso il 570, data comunemente
ritenuta giusta dalla maggior parte degli islamologi. A quell'epoca, la
tribù araba dei Coreiscìti costituiva alla Mecca una specie di
oligarchia commerciale, con un consiglio di notabili. La famiglia di
Maometto - quella degli Hasimìti - pur facendone parte, era piombata
nell'indigenza. Secondo la tradizione musulmana, tradizione che si fonda
sul Corano, Maometto nacque «povero ed orfano»:
Sura XCIII (IL SOLE AL PIÙ ALTO DELLA SUA CARRIERA)
1. «Non
eri tu orfanello? Non ti accolse nell'infanzia?»
2. «Ti ha
trovato nell'errore; egli ti ha illuminato».
3. «Tu
eri povero; egli ti ha arricchito» (F).
- Infanzia e giovinezza
L'orfano sarebbe stato raccolto dal nonno Abd-al-Mutallib
(custode alla Mecca della «Sacra fonte di Zamzam», una sorgente che
sgorga presso la Caàba, la cui acqua possederebbe, secondo i musulmani,
qualità miracolose), ed in seguito dallo zio Abù Tàlib (il cui figlio
Alì sposò più tardi Fàtima, una delle figlie di Maometto). Come mai
Maometto, nato e cresciuto nell'ambiente politeista dell'epoca, giunse
ad intraprendere una carriera come la sua? Cosa predispose tale
evoluzione? Secondo Padre Lammens s.j., «[Maometto] possedeva uno spirito riflessivo. Egli si interessava alle questioni religiose che lasciavano indifferenti i suoi scettici concittadini. Lo si scopre alla ricerca di un ideale religioso superiore a quello dei suoi contemporanei»16 .
Torneremo in seguito su questo
punto.
- Maometto era analfabeta?
Sì, afferma la tradizione musulmana, ed i musulmani vi
intravedono una prova dell'origine divina del Corano; se Maometto non
sapeva né leggere né scrivere, l'autore del Libro non può che essere
stato lo stesso Allàh... Ecco un punto molto importante meritevole
della nostra attenzione. Ancora una volta, l'islàm si basa su alcuni
passi del Corano, di cui presentiamo la traduzione di M. Kasimirski:
Sura VII (ELARAF)
157. «Dì:
sono l'interprete del cielo; la mia missione é divina. essa abbraccia
tutto il genere umano. Non
c'è che Allàh, il sovrano del cielo e della terra, che da la
vita e la morte. Abbracciate l'islamismo;
seguite il profeta
analfabeta, che crede in Allàh, e camminerete sulla via della
salvezza» (K).
Sura LXII (IL VENERDÍ)
2. «È
lui che suscitò, fra un popolo di illetterati, un apostolo scelto tra loro per
spiegargli la
fede, purificarlo ed insegnargli la dottrina del Libro della
sapienza. Prima di lui, gli arabi erano
sepolti in profonde tenebre» (K).
E' dunque chiaro che la versione di Kasimirski degli estratti di
queste due Sure, non solo non contraddice la tradizione musulmana
sull'origine divina del Corano, ma, al contrario, la rafforza. Ma ecco
che tutto cambia con la versione di Régis Blachère, arabista
contemporaneo, la cui traduzione da a questi versetti un senso ed una
portata completamente diversi: Sura VII
(ELARAF) 157-158.
«Dì: «Uomini! Io sono l'apostolo di Allàh [inviato] a voi
tutti». 158.
«[Da Allàh] che ha la sovranità dei cieli e della terra.
Nessuna divinità eccetto
lui! Egli è [colui che] fa vivere e fa
morire. Credete in Allàh e nel suo apostolo,
il
profeta dei gentili che crede in Allàh e nei suoi decreti!
Seguitelo! Forse
sarete sulla retta via» (B). Sura LXII
(IL VENERDÌ')
2.
«E' lui che ha inviato, tra
i gentili, un apostolo uscito da essi, che comunica loro i suoi
«aya»,
li purifica, gli insegna la Scrittura e la saggezza. In verità [questi
gentili] si trovavano
prima in
uno smarrimento evidente» (B). Così, secondo Blachère, non bisogna leggere
«il profeta analfabeta», ma «il profeta dei gentili», o meglio, «degli analfabeti», e cioè dei «non-scritturali», dei beduini
che, a differenza degli ebrei e dei cristiani, non avevano ancora
ricevuto le Scritture e non possedevano un Libro Santo... Per certi
versi, seguendo questa tesi, Maometto, profeta dei «gentili», sarebbe
stato il San Paolo dell'islàm. Numerosi islamisti occidentali hanno
seguito Blanchère in questa traduzione. Occorre tuttavia sottolineare
che l'ortodossia musulmana, nella sua stragrande maggioranza - ed è
questo che ci interessa - si attiene ancora a quanto si diceva poc'anzi:
Maometto era analfabeta; dunque, il Corano è di origine divina.
- Difficoltà di traduzione dalla
lingua araba
Com'è possibile che due
arabisti così quotati come Kasimirski e Blachère possano aver
attribuito allo stesso vocabolo arabo un senso radicalmente diverso?
Dopo il paragrafo precedente, non è possibile ignorare tale questione.
Evidentemente, per un coranista occidentale razionalista (come del resto
- anche se per ragioni ben diverse - per un cristiano), la tesi
dell'origine divina del Corano è inaccettabile, e quindi, la traduzione
di R. Blanchère dei summenzionati versetti soddisfa maggiormente lo
spirito [dell'uomo moderno]. Nondimeno, non è lecito dubitare circa l'«onestà»
intellettuale dei traduttori in questione, e, di conseguenza, il
problema rimane irrisolto. Il Prof. E. F. Gautier ha riassunto il
problema in questi termini:
«Lo spirito orientale è completamente diverso dal nostro. I
vocaboli della lingua araba ed i concetti che essi rendono, non
corrispondono mai esattamente ai nostri vocaboli e ai nostri concetti.
Tradurre dall'arabo al francese, o in qualunque lingua occidentale è
una fatica che non può essere minimamente rapportata ad una traduzione
da una lingua occidentale ad un altra lingua occidentale. Gli
orientalisti sono fin troppo coscienti di questa difficoltà, con la
quale sono in perpetuo contatto, e la evitano per prudenza limitandosi
ad una traduzione letterale. Ciò premesso, è evidente che gli storici
arabi sono doppiamente inaccessibili: sia in sé stessi, che tramite i
loro traduttori»17.
E. F. Gautier, ci fornisce quindi una
spiegazione (anche se di parte) circa le innumerevoli oscurità che ci
confondono nel Corano, opera già intrinsecamente confusa, e spesso
incoerente in innumerevoli passi. Egli ci illumina anche sulle diversità,
talvolta considerevoli, che constatiamo tra le differenti traduzioni del
Corano attualmente in commercio. Ci si può domandare se alcuni
traduttori non usino, o non abusino un po',
onde adeguare a loro piacimento il
senso e la portata dei versetti alle loro tendenze personali, o
all'immagine che essi vogliono dare del messaggio islamico... E' per
tale motivo che, a nostro avviso, quando si esamina questo o quest'altro
concetto del dogma musulmano, occorre sempre sforzarsi di verificare se
il senso fornito dalla traduzione concorda con i fatti, e cioè, nel
modo in cui il musulmano percepisce, vive concretamente e mette in
pratica questo punto del dogma. La constatazione di E. F. Gautier spiega
infine, più in generale, la difficoltà esistente ad intendersi in
maniera chiara e precisa con interlocutori arabi, dal momento che si
tratta di parlare di tutt'altra cosa che della pioggia o del bel tempo,
difficoltà che, per esempio, conoscono bene coloro che, per via della
loro professione, sono abituati a trattare con degli arabi, e ad
accordarsi sui termini e sulle clausole di un contratto. -
Primo matrimonio di Maometto Maometto si sposò nell'anno 595 all'età di
25 anni. In un paese in cui le ragazze vengono considerate nubili molto
presto, si rimane sorpresi nell'apprendere che il giovane beduino sposò
in prime nozze Cadìgia (555-620), una ricca vedova della Mecca che
aveva già passato la quarantina. Come osserva Padre Lammens s.j., i
beni portati in dote dalla sua sposa lo liberarono dalle preoccupazioni
materiali che, sin dalla nascita, sembravano dover essere il suo
destino. Il manoscritto di Al Kindi descrive questa fase della carriera
di Maometto in questi termini: «Poi, egli crebbe in questa situazione (povero ed orfano), fino al momento in cui entrò come cammelliere al servizio di Cadìgia, figlia di Huwaylid, alle cui dipendenze lavorava. In seguito, tra lui e Cadìgia nacque qualcosa, ed egli'|`O¡Ýçsò per la ragione che tu ben conosci»18
E' piccante notare che in una società in cui la donna era già
ritenuta di gran lunga inferiore all'uomo, e nella quale la nascita di
una figlia veniva considerata una sventura, il padre dell'islàm non
abbia generato che figlie; ciò nonostante, egli riaffermò questa
convinzione anche nella religione da lui più tardi fondata. In realtà,
la coppia ebbe anche dei figli maschi (sembra due o tre), ma che
morirono alla nascita, e solo quattro figlie sopravvissero, tra cui Fàtima.
Torneremo più avanti sulla discendenza di Maometto e sul suo legame con
lo scisma sciita. q
Gli inizi della carriera religiosa di Maometto - La
vocazione E' verso l'età di trenta, o forse
quarant'anni che, secondo Padre Lammens s.j., prende inizio la carriera
religiosa di Maometto. Su questo punto, la tradizione si fonda sul
seguente versetto del Corano: Sura X (GIONA) 17.
«Se Allàh avesse voluto, non vi avrei letto i suoi
comandamenti, e non ve li insegnerei.
Non ho forse vissuto tra di voi senza farlo fino all'età di
quarant'anni?» (K) Più cauto in merito all'età in cui Maometto
iniziò la sua carriera, R. Blachère così traduce questi versetti:
«Dì: Se Allàh avesse voluto, io non vi avrei trasmesso questa
predicazione, ed egli non ve
l'avrebbe fatta conoscere. Ho abitato con voi per una vita, prima
di dare inizio a questa
predicazione. Come? Non capite?» E così - nota Padre Lammens s.j. - a
riguardo delle circostanze precise che hanno gradualmente condotto
Maometto a considerarsi come investito di una missione di predicatore e
di moralista, elevato in seguito al rango di
profeta, non possediamo che le vaghe e misteriose allusioni del Corano,
trascritte ed arricchite di dettagli in seguito, negli innumerevoli e
pittoreschi aneddoti della «Sirah».
«Disgustato dal grossolano feticismo e dal materialismo dei Coreìsciti,
egli abbracciò il monoteismo e la fede nel dogma della resurrezione
della carne. Su questi dogmi si trovava d'accordo con gli ebrei e con i
cristiani, persuaso che, come non esiste che un unico Dio, non deve
sussistere che un'unica rivelazione, al di fuori della quale non
potevano certamente essere stati lasciati proprio gli arabi; egli si
credette dunque chiamato a predicare la verità tra i suoi compatrioti e
nella loro lingua. Si trattava di un ruolo modesto che si limitava nel
dare una redazione araba della rivelazione universale, adattata ai
bisogni di ciascun popolo».19
- Le influenze: giudaismo e
nestorianesimo «Maometto fu nutrito di spirito ebraico». Questa asserzione dello storico ebreo Bernard
Lazare20, diventa subito lampante a chiunque sfogli il Corano, un libro
profondamente ispirato - se non impregnato - dal giudaismo. E' fuor di
dubbio che Maometto frequentò a lungo ed interrogò, soprattutto agli
inizi della sua carriera religiosa e grazie anche ai suoi viaggi, degli
ebrei o dei rabbini, dai quali cercò di trarre degli elementi per dare
un fondamento alle sue nascenti convinzioni. Perché, ed in seguito a
quali circostanze egli fu in seguito condotto a prendere le distanze da
costoro, per poi finalmente creare un sistema religioso tutto suo?
Questo rimane uno dei punti non ancora ben chiariti di questa storia.
Tuttavia, l'impronta ebraica contrassegnò in modo indelebile sia
contenuto religioso dell'islàm, che le pagine del Corano. Per
convincersene, sarà sufficiente seguirà quanto via via esporremo nelle
pagine a seguire. Il lettore interessato a questo aspetto primordiale di
questo tema, potrà consultare con profitto le opere di Padre Théry. Ai
nostri giorni, le sue opere sono pressoché introvabili, anche in
biblioteca, ma l'essenziale delle sue tesi sulle origini giudaiche dell'islàm,
è stato ripreso da don Bertuel21
in una forma accessibile al grande pubblico, pur restando ricca e
documentata. Il manoscritto di Al Kindi non fa mistero della presenza di
alcuni ebrei al fianco di Maometto, e di un monaco nestoriano22 che avrebbe cercato di conquistare alle sue idee Maometto. Questo
monaco si faceva chiamare Nestorio, come il suo maestro, ma...
«[...] quando la causa del cristianesimo si sviluppò e fu sul
punto di riuscire, Nestorio morì. Allora, sorsero Abd Allàh ben Sallàm
e Kab, soprannominato Al-Akbar, due ebrei che agirono con astuzia e
malizia al fianco di Maometto, lasciando credere che lo avrebbero
seguito e che avrebbero adottato la sua dottrina. Essi perseverarono
nella loro scaltrezza e nel loro stratagemma, dissimulando il loro vero
pensiero e tenendolo segreto fino alla prima occasione favorevole dopo
il suo trapasso. In effetti, alla morte di Maometto, quando le genti
abbandonarono l'islàm, ed il potere pervenne ad Abù Bakr (che Alì
b.Abì Talib non volle riconoscere), questi due ebrei compresero che
alla fine avevano ottenuto ciò che avevano cercato e voluto
segretamente»23.
Questi due ebrei - prosegue Al Kindi - avrebbero allora mostrato
ad Alì il suo brillante avvenire di «profeta» sulla scia di Maometto,
ma Alì, influenzato da Abù Bakr, rinunciò. «[Allora] i due ebrei si impadronirono del libro che possedeva Alì, che aveva avuto dal suo maestro, e che era stato scritto nel senso del Vangelo. Essi vi introdussero dei racconti della Toràh24 , ed alcune delle sue leggi»25. q
Principali tappe della carriera religiosa di Maometto La carriera religiosa di Maometto
propriamente detta, può essere suddivisa in tre fasi:
10-622.......................................................................
... Primo periodo
meccano.
22-629.................................................................
......... Periodo
medinese.
29-632..........................................................................
Secondo periodo meccano.
- Primo periodo meccano Uomo maturo, ormai nell'agiatezza dovuta alle
ricchezze di Cadìgia, avendo acquisito, come si direbbe oggi, un certo standing mediante questo matrimonio che gli permise di entrare a far
parte della borghesia meccana, Maometto acquistò sicurezza, e, le sue
prime convinzioni religiose si fecero più chiare e forti. Egli si sforzò
dunque di propagarle e di farne partecipi i suoi concittadini. Come
abbiamo visto in precedenza, egli incentrò la sua predicazione sul
monoteismo e sulla resurrezione della carne; ma, assai presto, egli si
scontrò con lo scetticismo dei meccani... Certamente, egli godeva
ancora di un certo rispetto, dovuto alla considerazione di cui godevano
Cadìgia e la sua famiglia, ma non è difficile immaginare il coro dei
sogghigni e delle burle alle sue spalle; non lo avevano forse conosciuto
come un piccolo e misero orfano, ed in seguito, come un semplice
commesso di Cadìgia che, prima del suo matrimonio, percorreva le piste
con le sue carovane? In poche parole: chi era costui? Chi lo autorizzava
a prendersi gioco dei predicatori (pagani)? Chi si credeva di essere? Il
sarcasmo dei suoi avversari fu principalmente diretto contro la sua tesi
sulla resurrezione dei corpi e contro le sue predicazioni riguardanti
gli increduli meccani. Tuttavia, a questo scetticismo subentrò ben
presto una vera e propria crescente ostilità. Su questo periodo della
vita di Maometto, il manoscritto di Al Kindi ci illumina più
crudamente:
«Allorché divenne potente, grazie agli averi della sua donna,
egli bramò di regnare e di dominare sulla sua tribù e sul suo paese.
Poi, constatò che ciò non era possibile, in quanto, essendo vissuto
per molto tempo nell'indigenza, poche erano le persone che lo seguivano
[...]. Quando si stancò di aspettare che si avverasse quanto anelava,
egli pretese di essere un profeta ed un apostolo inviato dal Padrone
dell'Universo [...]. Essi erano degli arabi nomadi, e non capivano nulla
né dell'apostolato, né dei segni di profezia, poiché nessun profeta
era mai stato inviato loro: Fu lì che si svolse l'insegnamento di un
uomo che li istruiva, di cui noi diremo il nome e racconteremo la storia
in u altro punto della
nostra lettera [...]. In seguito, egli scelse per compagni delle persone
oziose, dedite alla razzia, di quelli che taglieggiano i viaggiatori
[...]. Cominciò ad inviare delle spedizioni nei luoghi dove vanno le
carovane cariche di merci [...]. Queste persone le intercettavano lungo
il tragitto, si impossessavano delle merci e massacravano gli uomini. La
situazione divenne critica: cosa sarebbe successo?»26
- Il periodo medinese Secondo Padre Lammens s.j.,
«[...] alcuni incontri occasionali misero Maometto in
comunicazione con degli arabi di Medina27,
di passaggio alla Mecca, i cui
rapporti con i loro concittadini ebrei avevano reso più ben disposti
verso le sue idee religiose»28.
Forse che Maometto pensava di trovare a Medina un uditorio più
interessato alla sua predicazione, e un clima più favorevole alle sue
tesi? Decise di lasciare spontaneamente La Mecca, o ne fu cacciato dai
suoi concittadini? Secondo la lettera di Al Kindi, «[...] la sua prima partenza fu dovuta a questa ragione (ovvero, come abbiamo visto più sopra, a causa delle razzie e delle aggressioni che avevano provocato l'ostilità dei meccani)... [Maometto] aveva a quel tempo 53 anni, dopo che alla Mecca aveva preteso per tredici anni di essere un profeta. Egli partì con i suoi compagni che lo frequentavano e si erano legati a lui in numero di quaranta uomini. Egli aveva subito tutti i generi di tribolazioni e di angherie da parte di quei meccani che lo conoscevano e che adducevano come scusa la sua pretesa profezia, ma nel loro intimo lo facevano a causa del fatto certo che, sulle strade, egli si dava al brigantaggio»29.
Sia quel che sia, Maometto ed i suoi primi compagni lasciarono la
loro città natale nel 622 per andare a Medina. Ma tralasciamo per un
istante questo rapido sguardo alla carriera del fondatore dell'islàm,
per soffermarci su quest'episodio di capitale importanza.
-
L'anno 1 dell'islàm: l'«égira»
L'esodo dalla Mecca inaugurò l'«égira»30. Essa rappresenta il punto di
partenza dell'era musulmana, istituito ufficialmente 17 anni dopo dal
califfo31 Omar, e che si ritiene abbia avuto inizio il 16 luglio dell'anno 622.
Riteniamo, dunque, che il 622 sia l'anno 1 del calendario musulmano32, ma ciò che conta è sottolineare che con l'«egira» si ha
un'evoluzione importantissima. Secondo Padre Lammens s.j., più che una
semplice emigrazione geografica, l'«égira» assegnò a Maometto un
nuovo ruolo:
«Nella carriera di Maometto, l'égira segna un cambiamento...
interessante: l'evoluzione politica dell'islàm. Maometto, dapprima
predicatore monoteista, ed in seguito profeta, diventa capo di stato.
Nel vecchio diritto arabo, l'égira non significava solamente la rottura
con la sua città natale, ma equivaleva ad una specie di dichiarazione
di guerra. Su questo punto, il sindacato meccano non si ingannava. Fino
a quel momento la parola d'ordine per i discepoli di Maometto era stata
quella di «tenere duro» in mezzo alle contrarietà, e di non fare uso
che di mezzi pacifici di persuasione. La gihàd33
era una guerra spirituale. A Medina si aprì un periodo di azione, e
venne raccomandato di lottare con le armi sino che l'islàm non avesse
preso il sopravvento»34.
A Medina, la predicazione di Maometto ottenne maggior successo, e
raccolse rapidamente tra i pagani un certo numero di discepoli (sembra
numerose centinaia): erano gli Ansar
(=gli «ausiliari») mentre i meccani convertiti che avevano seguito il
maestro a Medina erano i Muhagirun
(=gli «emigrati»). «Emigrati» e «Ausiliari» formavano i ranghi
della futura aristocrazia dell'islàm. A Medina, dunque, mentre le
conversioni andavano moltiplicandosi, Maometto, la cui influenza
cresceva di giorno in giorno, tentò di consolidare la sua autorità
nascente; egli cercò per mezzo di un trattato abilmente redatto, di
farsi arbitro tra i musulmani, gli ebrei ed i pagani di Medina, e di far
confluire tutte le contestazioni davanti al suo tribunale. In tal modo,
egli preparò gli animi ad accettare la sua supremazia religiosa e
politica. Tuttavia - prosegue Padre Lammens s.j. - ciò significava non
tenere conto dell'ostinazione e dell'orgoglio degli ebrei, che egli
aveva cercato di avvicinare alle sue tesi, in quanto fortemente convinto
di attingere alla loro stessa fonte della rivelazione35.
Ciò nonostante, i disaccordi dottrinali si fecero presto strada, in
quanto gli ebrei professavano il principio secondo cui la profezia era
un privilegio esclusivo di Israele, rifiutando pertanto le pretese del
profeta «gentile».
Alla fine, Maometto li dichiarò «i
peggiori nemici dell'islàm», lottò apertamente contro di essi,
espulse i clan più deboli, di cui uno - quello di Banù Quràyza - vide
i suoi 600 uomini validi, massacrati fino all'ultimo, e donne e bambini
venduti come schiavi36. Un'intesa non fu nemmeno possibile con i cristiani: Maometto, dopo
averne lodato le benevole disposizioni d'animo e l'assenza di orgoglio -
il Corano ne conserva l'eco - ruppe anche con essi, non avendoli trovati
più arrendevoli degli ebrei. Ma Maometto non aveva dimenticato La
Mecca, la sua città natale; è contro di essa che egli scagliò in
seguito i più portentosi ardori della «gihàd». Da semplici raid, gli
attacchi contro i meccani e contro le loro carovane si mutarono con il
tempo in vere e proprie battaglie; dopo la vittoria di Badr37
(nel gennaio del 624), e gli
insuccessi di Uhud38 e Mouta (nella primavera del 625), in cui circa 3.000 razziatori furono
completamente sbaragliati dagli arabi cristiani della Siria, Maometto
giudicò senza dubbio giunto il momento di prendere il controllo della
città natale. Riallacciando segretamente i contatti con il coreìscita
più qualificato, Abù Sofian, di cui aveva sposato la figlia, Maometto
promise un'amnistia ed il rispetto dei costumi e del culto meccano, pur
assicurandosi dei complici sul posto. Si realizzò quindi la «fath
Makka», la «conquista della Mecca», in cui Maometto alla testa di
10.000 uomini penetrò senza colpo ferire nel mese del ramadàn
del 629. L'unica mancanza alla promessa fatta, fu costituita
dall'uccisione di alcuni tra i suoi più acerrimi nemici. Quanto alla
popolazione, essa si sottomise. Da allora, la Mecca è la città santa
per eccellenza, quella nella cui direzione il fedele deve orientarsi
durante le preghiere e gli atti devozionali.
-
Secondo periodo meccano
Tuttavia, è solamente per un bisogno di semplificare che abbiamo
chiamato «meccana» questa terza fase della carriera di Maometto. In
realtà, sembra che dopo la resa della mecca, Maometto non si sia
fermato affatto nella sua città natale, ma si sia reinsediato assai
rapidamente a Medina; nel 631, egli condusse alcuni raid in direzione
della Siria, ed inviò delle bande a taglieggiare le città della
Nabatea ed i piccoli porti del Mar Rosso. Il pellegrinaggio alla Mecca
esisteva già; da quel momento egli decretò che gli infedeli (i
non-musulmani) non ne avrebbero mai più preso parte, e, all'inizio del
632, decise di recarvisi personalmente e di assicurarne egli stesso la
direzione. «La
conversione dell'Arabia aveva fatto grossi progressi unicamente nell'Hegiaz.
Solo Medina poteva essere considerata come definitivamente assoggettata
alla nuova dottrina. D'altronde, ovunque l'islamizzazione non era che
iniziata: nondimeno, tutti riconoscevano soprattutto la potenza politica
dell'islàm»39. q
Morte e successione di Maometto
- Morte
L'8 giugno dell'anno 632, ossia tre mesi dopo il suo ritorno a
Medina, Maometto morì di malattia. Secondo Padre Lammens s.j., egli non
aveva ancora superato i cinquant'anni, o, secondo l'opinione più
corrente, la sessantina. Secondo la tradizione musulmana, Maometto aveva
ordinato ai suoi compagni di non seppellirlo dopo la morte, in quanto
egli sarebbe asceso al cielo. «I suoi compagni erano talmente persuasi di ciò che, quando egli morì lunedì 12 rabì-al-awwal, all'età di 63 anni, in seguito ad una malattia durata 14 giorni, lo lasciarono, credendo che sarebbe salito in cielo come aveva predetto. Dopo un'attesa di 3 giorni, il suo odore mutò, e la loro speranza di vederlo salire in cielo si dissolse. Delusi da queste premesse illusorie, e constatando la sua menzogna, essi lo seppellirono il mercoledì»40.
Alcuni musulmani sostengono che Maometto sapeva che, dopo la sua
morte, avrebbe avuto il privilegio di essere elevato in cielo, ma che vi
rinunciò liberamente, scegliendo la sorte comune ad ogni mortale.
-
La successione: le mogli di Maometto
Maometto scomparve dunque dalla scena. Aveva forse preparato la
sua successione? Chi, tra i suoi discepoli, doveva riprenderne la
missione, organizzare e consolidare la struttura politico-religiosa che,
come abbiamo appena visto, era nata ed era cresciuta tra mille difficoltà?
I problemi posti dalla successione di Maometto, e le circostanze in cui
essa avvenne, non possono essere compresi con chiarezza se prima di
tutto non si prende conoscenza, almeno a grandi linee, di quella che fu
la vita coniugale e la discendenza di Maometto. Così, prima di
esaminare quest'ultima e postuma fase della vita di Maometto, cerchiamo
di redigere uno stato di famiglia del fondatore dell'islàm. Maometto
rimase fedele a Cadìgia - e dunque ufficialmente monogamo - fino alla
morte di quest'ultima. In seguito, la tradizione musulmana gli attribuì
17 spose legittime (Cadìgia compresa), di cui 15 donne libere e 2
schiave, ed un numero imprecisato di concubine41. Il cognome, la filiazione e certi tratti particolari di ciascuna delle
17 spose, costituiscono dei dettagli che non possiamo qui riportare per
motivi di spazio, ma che si possono ritrovare, per esempio, nella
lettera di Al Kindi42.
Notiamo che il Corano limita a 4 il numero delle spose legittime che il
musulmano può avere; e così, alcuni versetti «derogatori»
regolarizzano il «caso» di Maometto43
. In effetti, la donna, e più in generale la sessualità, hanno
occupato un posto particolare nella vita e nelle preoccupazioni di
Maometto. Al Kindi non fa che riprendere la tradizione islamica, allorché
ricorda al suo amico musulmano che Maometto «[...] dichiarò che era infiammato dall'amore, dal profumo e dalle donne, e che uno dei segni della sua profezia (della sua missione profetica) era costituito dal fatto che gli era stata donata una potenza sessuale pari a quella di quaranta uomini per copulare con le donne»44.
Questo aspetto della personalità del fondatore dell'islàm,
sembra mettere a disagio certi commentatori o autori occidentali, i
quali si sforzano di ridurlo, di idealizzarlo, o molto semplicemente, di
cancellarlo. Questo modo di procedere è prova di una profonda
misconoscenza del musulmano, per il quale la sessualità esuberante del
padre dell'islàm non è affatto incompatibile con la missione religiosa
di cui si credette investito, ma è esattamente vero il contrario! Ma
ritorniamo alle alleanze e alla discendenza di Maometto, elementi che
giocarono in seguito un ruolo decisivo nel processo della sua
successione politico religiosa.
- La successione: discendenza di Maometto
Abbiamo già rilevato come Maometto ebbe da Cadìgia 4 figlie,
tra cui Fàtima, che sposò Alì, figlio di Abù Tàlib (zio di
Maometto, che lo aveva raccolto orfano), che fu per giunta uno dei primi
e più fedeli compagni di Maometto. Lo schema sottostante (albero
genealogico abbreviato) ci permetterà di capire meglio: per non
complicarlo inutilmente, non facciamo figurare a fianco di Cadìgia che
quelle mogli di Maometto (Àiscia e Hafsa) che, come vedremo tra breve,
furono implicate nel processo di successione. Abù Tàlib
Omar Abù
Bakr
Maometto __________
Cadìgia ( ___ Hafsa
__________
Àiscia ____________
ecc...)
Alì Fàtima
Um Kesùn Erkia
Zineb
Hasan
Husayn
Questo schema ci servirà dunque come illustrazione e come punto
di riferimento per la seguente breve relazione.
-
La successione: intrighi e discordie
I primi califfi sono nell'ordine:
632: Abù Bakr
656: Alì
634: Omar
661: Moawia
644: Uthman
La morte inattesa di Maometto - ci
dice Padre Lammens - creò disordini e dissapori nel suo entourage,
prima ancora che si iniziasse a sotterrare il suo cadavere. Alì,
cugino di Maometto45,
che fu poi uno dei suoi primi e più
fedeli compagni, e a cui Maometto concesse la mano di sua figlia Fàtima
- che gli diede una discendenza maschile (Hasan e Husayn) - sembrava
designato a succedere al maestro, ed accedere al primo califfato46. Ma Àiscia,
la sposa favorita di Maometto, riuscì con i suoi intrighi e con
l'appoggio di Omar a far imporre suo padre Abù
Bakr, con grande disappunto di Alì, con il quale essa era in
pessimi rapporti47. Nel 634, Abù
Bakr morì designando come suo successore Omar,
padre di Hafsa, un'altra
moglie di Maometto. Alì rimase dunque tagliato fuori dalla corsa per la
conquista del potere. Allorché Omar venne assassinato nel 644, fu
eletto Uthman, genero di Maometto, di cui aveva sposato la figlie Erkia
e Um Kesun. Nel 656, Uthman fu a sua volta assassinato; Alì, attraverso
mille intrighi e lotte, che non possiamo per ovvi motivi riportare, potè
così infine accedere al califfato, ma non vi rimase che faticosamente
per essere anch'egli assassinato nel 661. Gli succedette Moawia,
ex-governatore della Siria, e nemico di Alì, che, a quanto pare, fu
promosso califfo grazie in parte anche all'appoggio di Aiscia. Il suo
successore fu il figlio Yésid. Ma ritorniamo ad Alì: Hasan - suo
figlio maggiore, che inaugurò la dinastia degli «sceriffi»48 - abdicò e si ritirò a
Medina, dove morì avvelenato. Husayn, il secondogenito, si ribellò
contro Yésid, ma venne massacrato dai suoi uomini nel corso di una
battaglia presso Kerbelah. Più avanti49,
vedremo come questi dissensi attorno alla successione di Maometto
diedero vita allo scisma sciita. Come abbiamo già scritto all'inizio di
questo opuscolo, lo studio delle successive dinastie islamiche non sarà
oggetto di trattazione, limitandoci alla presente breve relazione.
Tuttavia, fin da ora, prima di chiudere questa rapida carrellata sulla
carriera del fondatore dell'islàm, possiamo fare alcune riflessioni. 4.
Brevi note su Maometto e
sulla nascita dell'islàm q
Fin dalla sua nascita, l'islàm si caratterizzò
- Per la forza legata all'apostolato;
- Per il potere sia politico, che religioso.
La forza «legittimamente» utilizzata per la conversione: ecco
un concetto che non ci è affatto familiare...
Confusione tra lo spirituale ed il temporale; nessuna frontiera
marcata, nessuna distinzione tra il dominio di Cesare e quello di Dio...
In realtà, questi due aspetti caratteristici che abbiamo appena
sottolineato, non sono che un'unica cosa, o più esattamente, sono così
intimamente legati che è impossibile concepire uno senza l'altro. L'islàm
li ha trovati nella sua culla; Maometto glieli ha imposti allo stesso
modo in cui, nel corso della sua carriera - come abbiamo appena visto -
utilizzò tutti i mezzi coercitivi (razzie, battaglie, uccisioni,
ecc...), con la propagazione della nuova religione che era stata via via
elaborata dallo spirito del suo fondatore. I sanguinosi episodi che
segnarono questa carriera, e le lotte per la successione di Maometto,
mostrano bene come in gioco non c'era solamente il potere religioso, ma
il potere stesso, civile, militare, economico, ecc... Dei primi 4
califfi, 3 (Omar, Uthman e Alì) morirono assassinati. Quale contrasto
con i primi papi della Chiesa cattolica, di cui il canone della Messa
venera, dopo quella di Pietro, la memoria di:
Lino, 2° papa, martirizzato verso l'anno 79;
Cleto, 3° papa, martirizzato verso l'anno 90;
Clemente, 4° papa, martirizzato verso l'anno 97.
Predicatore, Maometto divenne contemporaneamente capo di una
banda, poi capo di una guerra, ed infine capo di Stato; più sopra,
abbiamo sottolineato il fatto che nell'Hegiaz preislamico non esistesse
né una struttura politica, né uno Stato organizzato. Alla morte di
Maometto, la conversione alla nuova dottrina non aveva ancora varcato i
confini dell'Hegiaz - forse solo Medina e La Mecca - ma tutta l'Arabia
conosceva già la potenza politica dell'islàm. q
Maometto fu un «profeta»?
Diciamo subito che la maggior parte delle opere o degli articoli
dedicati all'islàm - anche quelli che portano la firma di autori
cattolici - impiegano correntemente il termine di «profeta» per
designare Maometto, e generalmente con una «P» maiuscola, come per
sottolinearne la portata. Il dizionario «Robert» da, come significato
improntato la latino ecclesiastico, «interprete di Dio», e per esteso, «colui che predice l'avvenire e pretende, in nome di Dio, di rivelare
delle verità nascoste». Il dizionario «Larousse» aggiunge che in
termini assoluti, Profeta è il «titolo
che i i musulmani attribuiscono a Maometto». (D'altronde, ciò non
è esatto, in quanto il significato della corrispondente parola araba rasùl, è piuttosto quello di «inviato»). Molto bene, ma per il
musulmano è in senso proprio (quello fornito più sopra dal «Robert»)
che si tratta di sapere se il titolo di «Profeta» conviene o meno al
fondatore dell'islàm. Maometto è stato l'«interprete
di Dio»? Ha forse predetto l'avvenire e rivelato, in nome di Dio,
alcune verità nascoste? Undici secoli prima di noi, il cristiano Al
Kindi pose questa domanda all'amico musulmano, e gli diede una risposta: «Profeta» significa «annunciatore», e cioè colui che informa di un fatto sconosciuto o che annuncia un evento futuro che si deve realizzare [...]. Si crede che ciò che egli annuncia è vero mediante i segni che confermano le sue parole, e che attestano la verità di ciò che egli dice e racconta»50.
In seguito, Al Kindi cita, ad esempio, Mosè, Isaia, Geremia,
Daniele, le loro profezie ed i segni che le
accompagnarono, evocando infine Cristo, di cui sottolinea, in
onore del suo amico musulmano, la posizione a parte, in quanto «[...] la sua condizione è al di sopra della profezia, poiché il suo rango è infinitamente più elevato, più nobile e più degno di quello dei profeti».
Ed il cristiano interroga Al Hashimi: «Facci dunque conoscere, a riguardo del tuo maestro, cui tu attribuisci (il dono della) profezia, ciò che egli profetizzò, la profezia che proferì, e perché egli meriterebbe da te e dalla tua gente sensata il titolo di profeta, e quale prova diede di esserlo. Se tu dici che egli ci ha insegnato i racconti dei profeti [...] come Noè, Abramo, Isacco [...], io ti rispondo che egli ci ha insegnato ciò che noi conoscevamo già, e che i nostri bambini imparano...».
In effetti, il Corano contiene numerosi racconti estratti
direttamente dall'Antico Testamento, ed alcuni se ne fanno meraviglia,
ritenendo che ciò costituisca un fattore di unione tra cristiani e
musulmani. Senza dubbio, non si tratta di cose false; ma allora, in che
cosa consiste la novità dell'islàm? «Se tu pretendi - prosegue Al Kindi - che egli abbia annunciato degli avvenimenti futuri, noi esigiamo che tu ci dica quali. Ecco che in effetti sono ormai trascorsi oltre duecento anni51 dalla sua epoca, nel corso dei quali si sarebbe dovuto realizzare o verificare qualcosa annunciato da lui. Ora, tu sai che su questo punto egli non annunciò assolutamente nulla, né disse una sola parola e non articolò neppure una lettera, il che chiaramente non soddisfa la «seconda condizione necessaria ad autenticare la profezia».
Ed i segni? Prosegue Al Kindi: ha forse compiuto dei miracoli?
No, il Corano non ne menziona nemmeno uno, e Maometto non ne ebbe mai la
pretesa52,
mentre riconobbe (nel Corano stesso) quelli di Gesù Cristo. Riprendiamo
dunque la definizione del Dizionario «Robert», e ripetiamo la domanda:
Maometto è stato l'«interprete
di Dio»? Ha egli predetto l'avvenire e rivelato delle verità
nascoste in nome di Dio? In breve: fu (letteralmente parlando) un «Profeta»?
La critica di Al Kindi risponde negativamente, e non senza una logica, a
questo interrogativo. Per il musulmano, Maometto è sicuramente
l'interprete di Dio e, a questo titolo, egli è certamente un «Profeta»
(o, più precisamente, un rasùl,
un «inviato»). Per il non-musulmano, nulla gli impone di seguire gli
islamici su questo terreno. E per il cristiano? L'ammiraglio Auphan53 faceva notare nel
resoconto di un colloquio cristiano-islamico, tenuto sotto la direzione
di un religioso del Segretariato delle relazioni con l'islàm a
Versailles il 10 maggio 1979, questa frase: «Si dice che Maometto sia un falso profeta; peccato, perché il messaggio coranico contiene il messaggio biblico»54. Si tratta - commentò l'ammiraglio Auphan - di una presa di posizione teologica, di cui lascio la responsabilità agli organizzatori del colloquio, poiché la Chiesa insegnava ed insegna ancora, che non esiste altra Rivelazione che quella della Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento), illuminata dalla Tradizione, completamente priva di alcuna «continuazione» da attendere, che se non ciò che l'intelligenza, penetrata dalla fede, o le grazie accordate ad alcune anime privilegiate, che permettono di fare precisazioni sull'insieme teologico così circoscritto. Il paragrafo n. 4 della Costituzione dogmatica «Dei Verbum» sulla Rivelazione divina (Concilio Vaticano II) si esprime in questi termini: «L'economia cristiana dunque, in quanto è l'Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun altra Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo» (Cfr. 1 Tm 6, 14 e Tt 2, 13)55.
Non potendo dire di meglio, cerchiamo dunque di concludere.
Personaggio sicuramente fuori del comune, Maometto presenta a distanza
di 13 secoli una statura storica sufficientemente di rilievo perché ci
sia il bisogno di aggiungervi qualcosa. Ci sembra che l'appellativo di
«Profeta», con tutto ciò che esso significa nella nostra lingua, sia
improprio per qualificare il fondatore dell'islàm. Inoltre, dal punto
di vista cristiano, questa improprietà va evitata, in quanto essa
contribuisce a perpetuare un'opinione falsa, secondo cui il messaggio
islamico si inscriverebbe nell'insieme della «Rivelazione». [2] Cfr. J. HOURS, La conscience chrètienne devant l'islam, 1962, ristampato a parte sui nn. 60 e 65 della rivista Itinéraires, 4 rue Garancière, 75006 Parigi, Francia, pag. 8. Il grassetto è nostro. 3
Cfr. Il Corano, G. Brancato Editore, Catania 1989, pagg. 467. Di volta in
volta, per la traduzione di alcuni particolari versetti, oltre alla
traduzione italiana di A. Fracassi, verranno usate altre due
versioni: quella di M. Kasimirski (Maisonneuve et Larose, Parigi
1980) e quella di R. Blachère (Editions Baudoin, Parigi 1980) , che
a seconda del traduttore saranno contrassegnati con la sigla (K) o
con la sigla (B), mentre quelli di A. Fracassi con la sigla (F). 4 Cfr. H. LAMMENS, L'islam,
Croyances et institutions, Libraire Orientale, Beirut 1943. 5 Vedi tavola geografica in Appendice a pag. [6] Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag.
11. 7 Cfr. H. LAMMENS, op.
cit., pag. 15. 8 Setta monofisita fondata in Siria
dal monaco Giacomo Baradeo († 578) vescovo di Edessa. Il monofisismo
(unità di natura) predicava una dottrina che negava la
distinzione delle due nature, umana e divina, di Gesù Cristo, e
pretendeva che la prima avesse assorbito la seconda; il Concilio di
Calcedonia (451) definì che queste due nature sono unite, ma non
confuse e condannò quesata eresia. 9
Dottrina della setta di Nestorio (380-440), Patriarca di Costantinopoli
ed eretico, secondo il quale Gesù Cristo non era che un uomo in cui
il Verbo di Dio risiedeva come in un tempio; essa distingueva in Lui
due persone: una umana e l'altra divina. Maria doveva essere
chiamata «Madre di Cristo» e non «Madre di Dio». Tale dottrina
fu condannata dal Concilio di Efeso (431). 10
Cfr.
H. LEMMANS, op. cit., pag.
30. 12
Il grassetto è nostro.
Questa disposizione del testo verrà usata ogniqualvolta
useremo, nel corso di questo opuscolo, un versetto del
Corano. «Le rivelazioni coraniche [...] erano
accompagnate da fenomeni impressionanti: la tradizione musulmana
narra che quando Maometto le sentiva venire era scosso da forti
brividi, cadeva a terra febbricitante gridava: «Avvolgetemi in un
mantello!» Alla fine restava esausto, madido di sudore e con
fortissimi dolori al capo (Cfr. C.M. GUZZETTI, Il
Messaggio di Allah, Leumann, Torino 1979, cit. in J.M. DE LA
CROIX, Le religioni e la
religione, Mimep-Docete, Milano 1990, pag. 123). 13
Cfr. J. BERTUEL,
L'islam, ses véritables
origines, N.E.L. 1981 T.L. 14
Cfr. E. DERMENGHEM, Mahomet
et la tradition islamique, Seuil 1955, pag. 14. 15
Sic! 18
Cfr. G. TARTAR, Dialogue
islamo-chrètien, N.E.L. 1985, pag. 138. Al
Kindi è quel cristiano in contatto epistolare con un amico
musulmano a cui
accennavamo i apertura
nell'introduzione generale (vedi a pag.)
citando le fonti che avremmo utilizzato. 21
Cfr. J. BERTUEL, op. cit.. 22
L'eresia nestoriana negava la
persona divina di Gesù Cristo; come dunque stupirsi di ritrovare
questa stessa negazione, ripetuta con forza e veemenza, anche nel
Corano (vedi più oltre Cap. V)? 23 Cfr. G. TARTAR, op.
cit., pag. 181. 24
Termine ebraico (Toràh=insegnamento)
designante la Legge, e che
comprende i cinque libri del Pentateuco: Genesi, Esodo, Levitico,
Numeri e Deuteronomio. 25
Cfr. G. TARTAR, op.
cit., pag. 182. A sostegno della tesi della giudaizazione
dell'islàm nascente, si è espresso anche Hanna Zacharias
(pseudonimo di Padre G. Théry), autore del libro Vrai
Mohammed et faux Coran, secondo il quale Maometto divenne il
genero del rabbino della Mecca (Cfr. E. LATOUR, Le
quattro cause della rivoluzione, Ed. Gotica, Ferrara 1990, pag.
13). Non è quindi affatto azzardato supporre che, come avvenne a
causa delle influenze nestoriane, giacobite, manichee e gnostiche,
l'islàm abbia mutuato dal giudaismo il rifiuto radicale della
divinità di Gesù Cristo, ed il conseguente odio per il
cristianesimo. 26 Cfr. G: TARTAN, op.
cit., pag. 138. 27 A quel tempo, la città si chiamava ancora Yatrib, e solo in seguito all'esilio di Maometto fu denominata Medina (dall'arabo Madìnat an Nabì=la città del profeta). 28
Cfr.
H. LAMMENS, op. cit., pag.
36. 29 Cfr. G. TARTAR, op. cit., pag. 140. 30 Higra, termine arabo che significa «emigrazione», ma in tono vendicativo. 31 Con questo termine, che significa «successore del messaggero di Allàh», vengono designati i successori di Maometto. 32 Il calendario musulmano è iniziato, secondo la data comunemente ritenuta, il 16 luglio del 622. Da notare che l'annata musulmana, che si conta in mesi lunari, è più corta di 10 giorni circa dell'annata gregoriana. Ciò spiega perchè vediamo ogni anno le feste musulmane avanzare progressivamente nel nostro calendario. A titolo di esempio, il 6 settembre 1986 è stato per l'islàm il Giorno dell'Anno dell'annata egiriana 1407. 33 Gihàd, termine arabo significante «guerra santa» (vedi capitolo V a pag.). 34 Cfr. H. LAMMENS, op.
cit., pag. 36. 35
Inizialmente, onde
captare la benevolenza degli ebrei, Maometto aveva ordinato che la
preghiera islamica fosse fatta in direzione di Gerusalemme. In
seguito all'atteggiamento ostile dei giudei, Maometto ordinò di
pregare in direzione (qibla)
non più di Gerusalemme ma della Caàba, sceglie che fosse il venerdì
il giorno deputato al servizio divino e sostituì al giorno di
digiuno (Áshùrà) - che era stato introdotto sul modello giudaico - con il
mese di digiuno (Ramadàn)
(Cfr. N. SARALE, op. cit.,
pag. 103; Encicolpedia delle
religioni, Garzanti 1989, pag. 485). 36
Cfr. H. LAMMENS, op. cit. pag. 42.
Secondo altri autori,
gli ebrei decapitati pubblicamente nel 627 nella piazza di
Medina in
ottemperamento al comando del Corano (Sura VIII, 12-13) furono dai
700 ai 900 (Cfr. J.M. DE LA CROIX, op.
cit., pag. 124), mentre le altre due comunità ebraiche della
città di Medina furono costrette all'esilio. 37 A proposito del
copioso bottino catturato in questa battaglia, il Corano (Sura VIII,
1) assegnò tutto a Maometto, ma poi in seguito alle rimostranze
della gente, gliene assegnò solo una quinta parte (Cfr. J.M.DE LA
CROIX, op. cit., pag.
125). 38 Durante questa battaglia, Maometto venne ferito: una pietra gli tagliò le labbra, una freccia gli passò da parte a parte una guancia e perse due denti (Cfr. Enciclopedia delle religioni, pag. 486). 39
Cfr. H. LAMMENS, op.
cit., pag. 45. 40 Cfr. G. TARTAR, op.
cit., pag. 166. 41
«Tra
le mogli di Maometto, la più amata fu Áiscia, figlia di Abù Bakr,
che sposò ancora bambina all'età di & anni e tra le cui
braccia morì 12 anni dopo; ma amò molto anche la bella Zàynab,
moglie del figlio adottivo Zàyd, il quale, dietro intervento del
Corano si affrettò a divorziare da lei per darla al profeta»
(Cfr. J.M. DE LA CROIX, op. cit., pag. 125). Ed ecco i versetti Corano (Sura XXXIII, 37) che
«autorizzarono» Maometto a sposare la nuora: «Quando tu dicevi a colui che Allàh aveva arricchito delle sue grazie,
che tu avevi colmato di beni, conserva la tua sposa e temi il
Signore, nascondevi in fondo al tuo cuore un amore che il cielo
stava per manifestare [...].
Zàyd ripudiò la sua sposa. Ti abbiamo unito con lei, affinché i
fedeli abbiano la libertà di sposare le mogli dei loro figli
adottivi, dopo averle ripudiate. Il precetto divino deve ottenere il
suo effetto. Il profeta non è colpevole di aver usato di un diritto
autorizzato dal cielo, conforme alle leggi divine stabilite prima di
lui». 42 Cfr. G. TARTAR, op. cit., pag. 151. 45
Abbiamo precedentemente
visto come Abù Tàlib, padre di Alì e zio di Maometto, aveva
araccolto quest'ultimo quando era orfano (vedi a pag.) 46 Dall'arabo
hàlifa=successore. 47 Secondo
alcuni racconti, Alì l'avrebbe sorpresa mentre essa «amoreggiava»
con un compagno di Maometto, ed
avrebbe invano fatto pressioni su quest'ultimo affinché se
ne separasse; ma egli ne era troppo innamorato. 48 Vocabolo
che sta ad indicare la discendenza da Maometto per questa stirpe. 49 Vedi Cap. VII a pag. 50
Cfr. G. TARTAN, op.
cit., pag. 153 e ss. 51 Come abbiamo visto (vedi a pag. ), si tratta di un manoscritto che risale all'inizio del IX secolo. 52
«[...] Maometto
[...] sembrava disprezzare
i miracoli. La frequenza con cui nel Corano ritorna sull'obiezione
di quelli che gli chiedevano prodigi, lascia intravedere
un'opposizione persistente. Alcune volte egli si accontenta di
affermare con forza di essere mandato da Allàh (Sura VI, 4-11;
19-21; 25-28; Sura X, 94-97; Sura XII, 8-27, ecc...). Altre
volte osserva che Allàh da il potere dei miracoli a chi vuole
(Sura X, 21), e che i miracoli
non servono a nulla con gli ostinati (Sura III, 121-123).
Infine che Allàh, dal quale deriva la sua missione, è una garanzia
sufficiente (Sura IV, 152-164; Sura XV, 89-95).
Egli insiste soprattutto sul fatto che Allàh gli ha dato,come ad
ogni altro dei suoi inviati,un libro (Sura XIII, 37-38; XVII,
46, ecc...) e che questo
libro, il Corano, per la sua trascendenza, rende inutile ogni altro
miracolo (Sura VI, 114-159; Sura XVIII, 47-50). (Cfr. C.
FALCONI, Gli pseudo-rivelatori di Cristo, in AA.VV. Mondo Cattolico, Soc. An. Editrice, Bergamo 1941, pagg. 54-55).
Inoltre, «[...] Maometto
riconobbe di non essere che un
semplice uomo mortale: «Io non sono che un uomo... incaricato
di predicare a voi credenti» (Sura VII, 188, e Sura XVII, 93); riconobbe
di essere peccatore
(episodio del cieco di La Mecca, Sura LXXX, 1-11); riconobbe
di non saper fare i miracoli (Sura VII, 188), neppure per comprovarela verità del Corano (Sura II, 23) (Cfr. J.M.
DE LA CROIX, op. cit.,
pagg. 126-127). Ciononostante, «[...]
alla naturale venerazione (verso Maometto), si aggiunse presto
l'aureola miracolosa [...] Sulla
base di elementi folcloristici, di leggende talmudiche e rabbiniche,
di racconti degli apocrifi cristiani circolanti in Oriente,
d'arbitrarie interpretazioni di passi coranici, e anche di concetti
derivanti dal Parsismo e da dottrine gnostiche e neoplatoniche, a
partire già dal primo secolo dell'ègira, le successive generazioni
musulmane andarono elaborando la leggenda miracolosa di Maometto, in
parte anche per fare di lui un contrapposto alla figura di Gesù
presso i cristiani. Scrittori del secolo XIII fanno salire a più di
3.000 i suoi miracoli e li classificano in varie categorie secondo
l'oggetto su cui si esercitavano. Notevoli per la loro popolarità e
per il posto loro dato in catechismi moderni, sono i vari portenti
che preannunziarono la sua nascita, i miracoli della sua infanzia
(calcati soprattutto sugli apocrifi cristiani), il viaggio notturno
a Gerusalemme sulla cavalcatura portentosa al-Bura, la successiva
salita al cielo nel periodo meccano e la scissione della luna
operata da Allàh in seguito a una preghiera di Maometto per
convertire alcuni fedeli (un quarto di luna si sarebbe staccato
egli sarebbe entrato nella manica; da ciò deriva la mezzaluna, il
simbolo islamico per eccellenza N.d.T.) (Cfr. C. FALCONI, op.
cit., pag. 54). 53 Dalla prefazione
del già citato libro L'islam,
ses véritables origines. 54
Citato dalla rivista Neuf, del 12 giugno 1979. 55 Cfr. Costituzione dogmatica Dei Verbum, sulla divina Rivelazione, del 18 novembre 1965.
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