Tra le gambe pendevan le minugia ;
la corata pareva e 'l triste sacco
che merda fa di quel che si trangugia.

Mentre che tutto in lui veder m'attacco
guardommi, e con la man s'aperse il petto

dicendo : "Or vedi com'io mi dilacco!
Vedi  come storpiato è Maometto !
Dinanzi a me sen va piangendo Alì,

fesso nel volto dal mento al ciuffetto".

(dalla "Divina Commedia",Inferno, canto XXVIII, 25-33 )

PARTE II

CAPITOLO IV

 FONTI  PRINCIPALI  DELLA  DOTTRINA  E  DELLA  DISCIPLINA  DELL'ISLÀM

 

     Le fonti dottrinali e disciplinari dell'islàm sono contenute nel Corano, nella Sunna (dall'arabo sunnàh=tradizione), ed infine nella legge o sharìa. Esaminiamole in successione.

 

 

1.    IL CORANO

 

q       Introduzione

 

     - Le scritture

 

     Nelle pagine del Corano, gli ebrei ed i cristiani vengono designati come gli «scritturali», o «genti della Scrittura», e cioè - in trasparenza - coloro che, prima dell'islàm, furono favoriti da Dio con una Rivelazione scritta; l'Antico Testamento per gli ebrei e per i cristiani, completato dal Nuovo testamento per questi ultimi. «O voi che riceveste le Scritture!» Vedremo più oltre il Corano interpellare così gli «scritturali», prima di esortarli ad aderire all'islàm. O voi che avete ricevuto prima di noi questi «assaggi» della Parola divina, come potete restare sordi al messaggio di Maometto? dell'Ispirato?

 

     - Il libro

 

     Secondo Padre Lammens s.j., la parola «Corano», più che «recitazione» significherebbe «lettura». Ma per i musulmani, la parola «Libro» designa a priori il Corano; se si afferma di un uomo che egli «legge», l'uso di questo verbo senza complemento indica che quest'uomo legge il Corano, altrimenti bisognerebbe precisare che «egli legge il tal libro...». Se il beduino preislamico era ghiotto di poesia, ed usava una lingua ricca ed evoluta che impedisce di classificarlo tra le nazioni primitive, al contrario, la tradizione nell'Hegiaz era essenzialmente orale e la letteratura pressoché inesistente. Ricordiamoci anche che gli ebrei, questi «scritturali» - e come tali favoriti - guardavano con disprezzo questi beduini politeisti e litolatri. Ma ora, ecco che con Maometto, con la rivelazione del Corano e con la verità dell'islàm, il beduino entra a sua volta a far parte della casta degli «scritturali»; anche a lui, e specialmente a lui, Dio ha parlato e ha dettato un libro... Forse era l'unico libro dell'arabo dell'Hegiaz, ma che libro!!! Alla luce di questi rilievi, andiamo ora ad affrontare il tema trattato nel capitolo che segue.

 

 

q   Origine del Corano: il suo autore

 

     - Per i musulmani

 

       Secondo la tradizione, mentre Maometto se ne stava a meditare in una grotta del Monte Hira, gli apparve l'angelo Gabriele (in arabo Jabrà), messaggero di Allàh, e gli trasmise tutto il contenuto del Corano. Fu la «notte della rivelazione». Riavutosi da questa specie di estasi, e ridisceso a valle in mezzo ai suoi, Maometto, durante i giorni e le settimane successive, trasmise loro questa rivelazione mano a mano che, in modo frammentario, questi gli ritornavano alla memoria; i suoi compagni si affrettavano poi ogni volta a metterli per iscritto. Tutto ciò non ci rammenta nulla? Ma sì, è evidente!! Mosè che scende ancora sfolgorante dal Monte Sinai verso il suo popolo, con le tavole della Legge. Eccoci dunque in presenza di un'analogia caratteristica, di cui, nel corso di questo studio, evocheremo molti altri esempi. Ogni cosa accadde come se Maometto volesse in qualche modo rafforzare la credibilità della dottrina e della tradizione che stava elaborando, ricorrendo ad alcuni precedenti storici attinti dall'eredità degli «scritturali», accaparrandoseli liberamente come se fossero stati ricevuti da lui per grazia divina.

 

     - Autore probabile per i non-musulmani: Maometto

 

     Padre Lammens s.j.56 considera il Corano come l'opera personale di Maometto, stimando che ciò non sarebbe mai stato rimesso in questione, e pensa che la composizione delle diverse parti del Corano sia avvenuta tra il 610 ed il 632. Tuttavia, ciò non esclude affatto le mutuazioni dall'Antico Testamento e dal Talmùd57, mutuazioni alle quali ha massicciamente provveduto il redattore del Corano. I lavori di Padre Théry58 hanno messo in evidenza in modo impressionante la realtà di questi plagi, e la somiglianza pressoché letterale che talvolta esiste tra alcuni versetti del Corano e diversi passi dell'Antico Testamento. Altrove, si rimano sorpresi nel constatare nel Corano il ruolo che occupano i precetti - minuziosamente dettagliati - relativi alle donne; ora, questi stessi precetti occupano circa una settima parte del contenuto del Talmùd...

 

 

q   Forma materiale del Corano

 

     - Sure e versetti

 

     Il Corano è diviso in 114 capitoli, detti Sure (dall'arabo srah=«capitoli» o «parti»), ma per designarli i musulmani non impiegano i numeri, ma dei nomi (Sura «La Vacca», Sura «La Luce», ecc...) che generalmente si ispirano al tema principale trattato in quel capitolo. A loro volta, le Sure sono suddivise in versetti (in arabo àyàt=«versi» o «righe»), ognuno dei quali termina con un'assonanza, tenendo conto della rima. Il Corano contiene in totale 6.200 versetti (circa, perché il modo di troncare i versetti varia a seconda delle diverse edizioni).

 

     - Classificazione delle Sure in ordine decrescente

 

     Nella sua forma materiale, il libro sacro dei musulmani presenta una prima singolarità: le Sure sono classificate in ordine decrescente di lunghezza, ad eccezione della prima di esse, detta «fatihat-el-kitab» («che apre il libro» o la «Preliminare»), la quale non contiene che 7 versetti.

 

     - Mancanza di ordine logico e cronologico nel Corano

 

     La seconda particolarità più sconcertante per il lettore del Corano, è costituita dal disordine che vi regna. Manca di ogni ordine logico: l'insegnamento su questo quel tema preciso (la donna, il paradiso, l'inferno, ecc...) è spezzettato a caso; oltre a ciò, si aggiunga che nella stessa Sura i discorsi senza capo né coda, da un versetto all'altro, sono legione. Manca anche un ordine cronologico: sebbene la redazione del Corano abbia richiesto tre decenni e contenga numerose allusioni a fatti storici precisi riguardanti la carriera di Maometto, lo svolgimento dell'opera stessa è una «carambola... una vera sfida alla storia e all'intelligenza del testo»59.

 

     - La recensione del califfo Uthman

 

     L'edizione del Corano, nella sua forma esteriore di cui abbiamo or ora sottolineato le peculiarità, viene attribuita al califfo Uthman (644-656).

 

      «[Uthman] comprese la necessità di fermare in tempo la pericolosa diffusione di redazioni e copie di carattere privato, contenenti una caterva di imprecisioni e varianti»60.

 

     Il manoscritto di Al Kindi aggiunge alcuni ulteriori particolari sulle circostanze che motivarono la decisione del califfo Uthman:

 

      «Quando il potere passò nelle mani di Uthman [...], le genti leggevano diversamente gli uni dagli altri [...]. In quel tempo, qualcuno leggeva il tal versetto, ed un altro lo leggeva in un modo diverso, e l'uno diceva all'altro: «la mia lettura è migliore della tua». Ognuno faceva riferimento al maestro presso cui leggeva, dimodoché il testo veniva allungato o abbreviato, cambiato o alterato. A Uthman venne dunque riferito che la gente leggeva il testo in modi diversi; che essa aggiungeva qualcosa o lo toglieva a piacimento, e che su questo punto si facevano delle dispute; che l'inimicizia andava propagandosi, e che le persone finivano per dividersi in partiti opposti; che se la situazione si fosse prolungata ed aggravata, si rischiava di vedere gli uomini uccidersi gli uni gli altri, alterarsi il libro, e ricominciare l'apostasia»61.

 

     Per dirla in breve, Uthman fece riunire tutti i rotoli e le pergamene, e designò una commissione incaricata di dare forma ad una redazione definitiva, dopodiché,

 

      «[...] scrisse ai prefetti ordinando di raccogliere tutto ciò che potevano e di distruggere tutto quanto, e che si fosse appreso che qualcuno avesse tentato di custodire una copia del libro, di minacciarlo e di punirlo. Tutti i testi raccolti furono gettati nell'aceto bollente ed inzuppati fino ad essere completamente distrutti»62.

 

     Questo fatto ci sembra fornire lo spunto per una riflessione: da queste contese, alle quali il califfo mise fine, ognuno dei protagonisti era indubbiamente animato dalla volontà di far prevalere la propria versione della parola del Maestro, giudicata come sicuramente la più fedele all'originale. Poc'anzi, abbiamo però dimostrato che ciò che si era impiantato nell'Hegiaz non era un potere unicamente religioso, ma era anche una supremazia politica, legislativa, militare, ed anche finanziaria... Ci si può dunque domandare se ciascuno degli adepti rivali non fosse anch'egli spinto dal movente di provare di essere stato - più di ogni altro - vicino al Maestro e suo intimo, e che quindi detenesse legittimamente ed in maniera incontestabile anch'esso una parte di questo potere. La nostra storia non manca di esempi di situazioni analoghe, in cui, immediatamente dopo la dipartita di qualcuno, scoppiavano delle rivalità che, sotto le apparenze di una difesa della purezza del messaggio, celavano dei contrasti tra arrivisti... Non si vede quindi perché l'islàm avrebbe dovuto essere risparmiato da tali situazioni.

 

     - Tentativo di riclassificazione delle Sure

 

     Riprendendo gli studi di Padre Théry, don Bertuel sottolinea che qualsiasi studio del Corano esige che, prima possibile, sia restituito l'ordine cronologico delle Sure, al fine di poter fissare le diverse tappe della predicazione di Maometto, prima alla Mecca ed in seguito a Medina. Verso la fine del secolo scorso e all'inizio del nostro, numerosi esegeti occidentali hanno cercato di ristabilire quest'ordine; tra di essi, ricordiamo Grimme (1892), Hirschfeld (1902), o ancora Noldeke-Schwally (1909), la cui classificazione fu accolta con maggior favore dagli eruditi63. Queste riclassificazioni poggianti su alcune analisi stilistiche, letterarie o concettuali, permettono di distinguere una prima serie di 90 Sure detta meccana, ed una seconda di 24 detta medinese, posteriore quindi alla prima. Naturalmente, il nuovo ordine delle Sure, così stabilito, non ha più nulla in comune con quello del Corano uthmaniano ufficiale, ed una tale manipolazione del loro libro, non potrebbe essere considerata dai musulmani che con riprovazione.

 

 

q   Ciò che il Corano è per i musulmani

 

     - Libro divino ed «increato»

 

     Per i musulmani, il Corano è il Libro e la Parola di Allàh, tanto che ogni citazione coranica viene sempre introdotta dal preambolo «Allàh ha detto»64.

 

     «L'ortodossia musulmana considera il Corano come increato nel senso che non solo esso riproduce una copia conforme al prototipo della rivelazione divina - Omm-al-kitab65 - conservata in Cielo fin dall'eternità (Sura XIII, 39; Sura XLIII, 3), ma che nella sua forma attuale, nella sua riproduzione fonetica e grafica, e nel suo rivestimento linguistico arabo, esso è identico e coeterno all'originale celeste»66.

 

     - Rivelato a Maometto

 

     Più avanti, nel corso di questo opuscolo, si comprenderà meglio l'importanza del seguente concetto: è a Maometto, e a lui solo, che Allàh, con la mediazione dell'angelo Gabriele, ha rivelato il Corano. Non che Maometto abbia ricevuto l'esclusiva del Messaggio divino (giacché l'islàm ammette la realtà, ma non l'integrità del contenuto), ma è a lui solo che Allàh ha rivelato il Messaggio per eccellenza, quello che contiene tutti gli altri, che li perfeziona e che li supera. Su quest'ultimo punto, è necessario riportare una considerazione che ci pare caratteristica. Scrive Mohammed Arkoun:

 

      «Si tratta, oggi, di rendere possibile una riflessione religiosa scevra di preconcetti teologici e aperta a tutte le esperienze religiose dell'umanità»67.

 

     A tal fine egli cita Al-Hasan El Basri, intellettuale musulmano (morto nel 728):

 

     «Allàh ha incluso nel Corano le scienze dei Libri anteriori, ed ha poi incluso le scienze del Corano nella Fatiha68; chiunque dispone del commento di quest'ultima, assomiglia a colui che possiede l'esegesi di tutti i libri rivelati».

 

     M. Árkoun stima che questo testo «ci metta in guardia contro ogni lettura riduttrice» (del Corano). Si potrebbe contestare a questi autori il diritto a tali affermazioni; tuttavia, tali riflessioni ci sembrano alquanto scarne perché il lettore possa trarne motivo di convinzione.

 

     - Scritto in lingua araba

 

     Come abbiamo visto in precedenza, l'originale celeste del Corano, custodito dagli Angeli in Cielo, è scritto in arabo. Difficilmente si immagina la portata di un simile concetto, motivo per cui addurremo ora alcuni esempi. Innanzitutto, va sottolineato che, per il musulmano, ogni traduzione del Corano in un'altra lingua che non sia l'arabo, è in qualche modo un pratica peccaminosa, «harâm»69, ovvero sulla linea di confine della liceità, e quindi impensabile. Tempo addietro, una giovane coppia di nostri amici, all'uscita dalla Messa davanti alla chiesa di Rueil, è stata avvicinata da un musulmano di circa vent'anni, alla ricerca di un indirizzo. Dopo che i nostri amici gli fornirono le indicazioni necessarie, si passò a discutere di altre cose. Questo ragazzo studiava presso una facoltà universitaria parigina, ed anche suo padre, immigrato marocchino, abitava a Parigi. Avendo inteso dei canti all'uscita della chiesa, egli ne chiese il significato e l'origine, e si iniziò così a parlare di temi religiosi:

 

     AMICI - «E voi, signore, conoscerete certamente il Corano!»

     MAROCCHINO - «No - rispose un po' confuso l'interessato - confesso di no  averlo mai letto, poiché non conosco l'arabo...»

     AMICI - «Ma esistono numerose traduzioni francesi... - obiettarono con prudenza i nostri amici...»

     MAROCCHINO - «No; ho posto tale questione a mio padre, ed egli mi ha risposto che il Corano in francese non esiste!»

 

     Aggiungiamo che, nello spirito musulmano, si tratta di un'inesistenza, di un non-essere, quasi nel senso filosofico del termine... Uno dei nostri amici, aveva sentito dire che presso la grande moschea di Parigi, era possibile reperire - gratuitamente ed in formato tascabile - alcuni esemplari «di volgarizzazione» del Corano. Mosso dalla curiosità, si recò alla moschea; alcuni impiegati, tanto gentili quanto perplessi, lo mandarono da un ufficio all'altro, finché alla fine gli venne mostrato quasi con reticenza tutto ciò che era disponibile: una lussuosa edizione in due volumi, formato «Larousse», dal prezzo molto elevato, contenente - sembra - le Sure del Corano, ma anche tante altre cose, il tutto vivacemente miniato. Ma del Corano in francese per il proselitismo non vi era assolutamente nessuna traccia. E' fuor di dubbio che l'islàm sia conquistatore e cerchi di convertire. Ciò nonostante, esso stenta a diffondere in grande scala il Corano tradotto in un'altra lingua che non sia l'arabo. Nondimeno, esso dovrebbe avere presente questi problemi e tenere conto di certe evoluzioni: è certo, infatti, che la maggior parte dei musulmani del Marocco - tranne le ultime generazioni - quando sono in grado di leggere, leggono il francese, ed un po', o per nulla, l'arabo. Com'è dunque possibile in queste condizioni insegnare la loro religione alle giovani generazioni senza troppo derogare dai principi? Una risposta a questo interrogativo può essere trovata nel modo in cui è stata presentata l'edizione del 1983 dell'«Istruction islamique», utilizzata negli istituti dell'insegnamento secondario in Marocco70. Tutto il testo, composto da 600 pagine, è praticamente in francese, ma tutte le citazioni estratte dal Corano sono in arabo, e seguite dalla traduzione in francese. Oltre a ciò, tali menzioni sono stampate su fondo verde (il colore prediletto dell'islàm) e circondate da miniature, per mettere maggiormente in risalto il testo sacro e staccarlo così dal resto dell'opera. Resta il fatto che la lingua araba è, in un certo qual modo, il passaggio obbligato di chi voglia abbracciare l'islàm, visto che generalmente ogni neofita è tenuto ad apprendere in arabo le Sure più importanti. Non si può forse affermare che, in una certa maniera, nell'islàm l'arabo occupa lo stesso ruolo che occupava il latino presso il cattolicesimo fino a qualche decennio fa (anche se è sempre stato possibile convertirsi al cattolicesimo senza passare obbligatoriamente per il latino), e che l'islàm ha saputo conservare questo fattore d'unità abbandonato con tanta leggerezza dall'Occidente cristiano? Occorre perciò aggiungere che - parallelamente all'espansione dell'islàm - il mondo arabo dispone così di un efficace strumento per l'espansione mondiale della sua lingua, e quindi, della sua influenza.

 

 

     - Somma di tutte le conoscenze «lecite»

 

     Affronteremo ora uno degli aspetti più essenziali dell'islàm; se non lo si afferra in modo corretto, è meglio rinunciare a comprendere la mentalità del musulmano, la sua storia, la sua civiltà ed alcuni dei suoi atteggiamenti odierni. A tale scopo, iniziamo citando dal Professor E.F. Gautier una delle migliori analisi che conosciamo su questo punto-chiave dell'islàm:

 

      «Il Corano non è, come il Vangelo, un semplice libro sacro su cui si basa la vita religiosa; esso è il Codice, la raccolta di tutti codici, e la base unica della vita giuridica. Esso è la costituzione, la fonte teorica di ogni potere politico, ed il principio di ogni amministrazione di qualsiasi Stato islamico [...]. Ma il colmo per noi occidentali è costituito dal fatto che il Corano è perdipiù il compendio stabilito una volta per sempre di ogni conoscenza. Abbiamo già una certa dimestichezza con alcune conseguenze derivanti da questa concezione. Per esempio, la mancanza di interesse del musulmano di fronte ai prodigi della scienza; «Djenun fih», c'è di mezzo il diavolo, e «tutto ciò è sospetto d'eresia»71.

 

     Fin dalla sua tenera età, la scuola coranica radica nell'animo del musulmano questo concetto e questa inclinazione: il Corano contiene tutto, assolutamente tutto, ciò che è necessario e sufficiente alla conoscenza umana, sia per condurre la sua vita terrena, che per guadagnare il Paradiso. Di conseguenza, tutto ciò che non è contenuto nel Corano è privo di reale e profondo interesse per l'uomo. Il Corano, dunque, libro sacro dei musulmani, racchiude certamente tutte le scienze, ma anche tutte le scienze «permesse» al conoscere umano da Allàh, l'Onnisciente. Conseguentemente, tutto ciò che non è contenuto nel Corano è macchiato di sospetto, «hâram»... o, come sostiene il Gautier, al limite del diabolico. Per finire, questo libro divino, questo Corano coeterno, raccolta necessaria e sufficiente di tutto ciò che l'uomo deve conoscere, è scritto in arabo, ed è stato rivelato a Maometto, e a lui solo. Da ciò ne deriva che l'islàm detiene il monopolio non solamente del Vero, ma anche del Vero «Utile».

 

 

     - Una conoscenza chiusa

    

     Come abbiamo appena visto, per i musulmani il Corano contiene la somma di tutte le scienze, e che «nulla è stato omesso». A questo punto, non si può fare a meno di constatare come interi settori della conoscenza, laboriosamente edificati in millenni dal genio infuso nell'uomo dal suo Creatore, siano totalmente assenti dal Corano. In esso, infatti, non si fa menzione della fisica, della chimica, della metallurgia, delle scienze agrarie, della medicina, della biologia, ecc... e - non certo in misura maggiore - dell'insegnamento o dei contributi esistenti nell'immenso dominio delle arti: musica, pittura, scultura, ecc... A questo proposito, scrive J. Hours:

 

     «[Questo atteggiamento] è la negazione di ogni sforzo scientifico, di ciascuna scienza particolare, della «Scienza» stessa. Non c'è nulla di inspiegabile quindi nell'inerzia dell'islàm sia di fronte a qualsiasi sforzo scientifico, che ad ogni tipo di applicazione delle scoperte della scienza»72.

 

     Ciononostante, siccome siamo convinti che lo spirito dell'arabo musulmano non sia minimamente inferiore a quello dell'uomo occidentale, ci poniamo questa domanda: com'è possibile che a 13 secoli dalla nascita dell'islàm, che i popoli musulmani, compresi quelli più ricchi, siano ancora tributari dell'Occidente per qualsiasi applicazione delle scoperte scientifiche? Possiamo forse fare menzione di almeno un'automobile, di una macchina-utensile, di un farmaco o di un prodotto industriale un tantino evoluto, concepiti e prodotti da un paese arabo islamico? Nel constatare che ciò non è possibile, insistiamo sul fatto che non si tratta di intelligenze inferiori, ma di un profondo disinteresse, spesso leggermente tinto di un sospettoso disprezzo per tutte queste cose.  

    

     E per chiudere queste brevi note, richiamiamo con J. Hours un'obiezione che viene spesso sollevata:

 

      «Come negare l'attitudine dell'islàm all'attività scientifica , quando è proprio lui che in un periodo lungo 5 secoli, che va dall'Alto Medio Evo ai nostri giorni, ha ricevuto dai Greci la fiaccola della ricerca per poi trasmetterla a noi? Come negarlo, dal momento che tutti i campi, dalla filosofia alla matematica e all'«algebra», dalle scienze naturali alla medicina e all'«alchimia», li dobbiamo con riconoscenza proprio all'islàm, e che la nostra stessa lingua conserva ancora il ricordo di questo debito? Già molto tempo fa (e precisamente nel corso di una conferenza tenuta alla Sorbona il 29 marzo 1883), Renan73 ha dato una risposta a tale obiezione. Infatti, egli dimostrò che se l'estendersi delle conquiste arabe permise agli islamici di entrare in contatto con civiltà diverse [...], e che se questi contatti favorirono su numerosi punti l'accrescimento delle reciproche conoscenze, essi non furono generalmente l'opera di arabi propriamente detti, e che l'elemento arabo fornì unicamente a questa attività una lingua per comunicare[...]».

 

      «Tale attività continuò non per effetto dell'islàm, ma indipendentemente da esso e senza godere della sua simpatia; la potente reazione musulmana [...] finì in seguito per arrestare questo movimento e per estinguerlo ben presto radicalmente. E Renan concludeva: [in realtà] i liberali che difendono l'islàm non lo conoscono affatto. L'islàm è la coesione indivisibile dello spirituale con il temporale, è il regno di un dogma, è la catena più pesante che l'umanità abbia mai portato. Nella prima metà del Medio Evo [...] l'islàm [...] ha tollerato la filosofia perché non ha potuto fare altrimenti. Ma quando esso ha avuto a sua disposizione delle masse ardentemente credenti, l'ha completamente distrutta».

 

     Questa citazione ci sembra costituire un interessante sviluppo della constatazione di E.F. Gautier sull'atteggiamento dell'islàm di fronte alla scienza.

 

     - Le arti figurative sono proscritte dall'islàm

 

     Il giudaismo riteneva che, onde evitare ogni ritorno a qualsiasi ritorno all'idolatria, occorresse proibire la rappresentazione di uomini e di animali; l'islàm ha ereditato dall'ebraismo questa e molte altre cose, l'ha interpretata a modo suo, e l'ha inoltre amalgamata con un concetto che gli è proprio:

 

     «Rappresentare un essere vivente, equivale a voler scimmiottare il Creatore (pretesa diabolica)».

 

     Ecco un apologo che dimostra questo concetto: un uomo scolpì una statua d'uomo e se ne inorgoglì; egli morì, ed il Giorno del Giudizio, Allàh lo interrogò alla presenza degli Angeli:

 

     - «Dimmi: cos'hai fatto di buono sulla terra?»

     L'uomo esibì la sua statua e rispose: - «Ho fatto questa, Signore!»

     E Allàh gli chiese: - «E tu ne sei fiero?»

     - «Sì, Signore, ne sono fiero!»

     E Allàh gli ordinò: - «Dona la vita a questa immagine!»

     E l'uomo confessò vergognosamente: - «Non ci riesco! Tu solo, o Signore, ne hai il potere!»

     Siccome egli aveva voluto imitare Allàh, fu ridicolizzato davanti a tutto l'Universo!

 

     Come stupirsi di tutto questo visto che l'islàm (del quale tuttavia numerosi storici attestano il ruolo decisivo svolto a suo tempo nello sviluppo delle arti architettoniche, e che non è assente - benché fino ad un certo grado - in altre arti come la musica, o la ceramica) non ha mai partorito un Michelangelo o un Rubens?

 

     - Tentativi musulmani di correggere questa immagine

 

     Attualmente, alcuni pedagoghi musulmani stanno tentando di inculcare nelle giovani generazioni la convinzione che, lungi dall'essere una religione antiscientifica o ascientifica, l'islàm è al contrario la religione non solo della ragione, ma anche della scienza.  E' interessante osservare il modo in cui essi spingano in questa direzione; si tratta certamente di elemento rivelatore. Ecco ciò che chiunque può leggere nella summenzionata Instruction islamique pubblicata in Marocco nel 1983:

 

      L'islàm è la religione della scienza:

      «[...] è suo dovere (dell'uomo) [...] contribuire allo sviluppo di tutte le scienze. A questo proposito, leggiamo nel Corano: «Il Signore eleverà a dei ranghi privilegiati i credenti tra voi; difatti, per coloro ai quali Egli avrà rivelato la scienza» ... ed il profeta Maometto ha detto in un hâdìt: «L'acquisizione della scienza è un dovere per ogni musulmano»74.

 

      La scienza non è la conoscenza esclusiva della religione:

      «L'islàm [...] ci esorta ad apprendere ciò che ci è utile. [In questo modo], Allàh ci ordina di studiare la biologia (eccone la prova) nei seguenti versetti: «Che l'uomo consideri ciò con cui egli fu creato. Egli è stato creato da una goccia d'acqua (il seme) uscita dallo spazio tra i lombi e le costole».

 

      Lo steso manuale affronta in seguito il tema dell'agricoltura:

 

      «Il fatto che l'islàm inviti ad occuparsi dell'agricoltura è manifesto nelle parole dell'Altissimo: «Che l'uomo consideri il suo nutrimento; abbiamo solcato profondamente la terra, e ne abbiamo fatto uscire dei cereali, delle vigne, dei legumi...75».

 

     Poi è la volta dell'industria: l'islàm la conosce, la pratica e la prova:

 

      «Nel Corano è detto: «Noi abbiamo appreso a fabbricare delle cotte d'armi per premunirvi contro il pericolo»76.

 

     Bisognerebbe citare tutto...

     L'autore non si basa su delle constatazioni, su dei fatti, o su dei ragionamenti . Tutta la forza di convinzione - tipicamente musulmana - risiede nell'affermazione , e l'unica fonte su cui poggiare le proprie argomentazioni rimane il Corano. La scoperta dell'elettricità ha rivoluzionato il pianeta, e questa forma di energia occupa ormai nelle nostre esistenze un posto di primaria importanza. Cosciente di questo, e anche del fatto che tale scoperta non deve nulla né agli arabi, né all'islàm, un dottore musulmano scrisse alcuni anni fa che l'islàm conobbe l'elettricità prima di tutti gli altri popoli.

 

      «La prova - sentenziava - sta nel fatto che cercando nel Corano, ho trovato la parola «folgore».

 

     Non c'è forse qualcosa di patetico in questo goffo tentativo dell'islàm, che cerca di trarsi d'impaccio da un peso, ricorrendo allo stesso peso per tentare di dimostrare il contrario? Per concludere, citiamo un altro estratto del succitato testo scolastico:

 

      L'islàm combatte l'ignoranza:

      «[...] Alcune branche della scienza furono esplorate ed approfondite, ed è per questo che numerosi musulmani possedevano biblioteche ricche di opere in persiano, in greco e in indiano che trattavano temi di filosofia, matematica, astronomia, medicina, chimica, ecc... In seguito, queste scienze divennero arabe e furono trasmesse all'Europa»77.

 

 

     - Il Corano si iscrive nella Rivelazione?

 

     Non di rado, si legge o si sente parlare di «Corano rivelato», o di «Rivelazione» a proposito del libro sacro dei musulmani, o del suo contenuto religioso. Dal punto di vista del cristiano, che cos'è esattamente il Corano? Il cristiano deve forse ammettere che l'insieme del messaggio coranico faccia parte della Rivelazione divina? Per non incorrere nel rischio di ripeterci, rinviamo il lettore al Capitolo III, al paragrafo intitolato «Maometto fu un «profeta?», dove si troverà che l'insegnamento costante della Chiesa cattolica esclude (implicitamente, ma senza alcuna ombra di ambiguità) il messaggio coranico dalla Rivelazione divina.

 

 

2.    LA «SUNNA»78

 

q       Definizione

 

     La «Sunna» è un insieme di regole di vita religiosa, morale e sociale estratto dalla vita di Maometto e dal suo insegnamento.

 

 

q       Composizione

 

     Pare che l'elaborazione della «Sunna» sia stata iniziata già durante il primo secolo dell'égira, per poi arricchirsi considerevolmente nel corso dei secoli successivi. Essa viene confermata dagli «hâdìt»; l'hâdìt consiste in una frase o in una sentenza attribuita a Maometto o ai suoi compagni, mediante la quale si cerca di giustificare o confermare una pratica della «Sunna».

 

      «Le fazioni politiche e religiose che crebbero in seno all'islàm primitivo, cercarono ben presto di utilizzare il metodo dell'hâdìt per raggiungere le loro rispettive mire particolari. Omayyadi, Abbasidi e Alidi poterono così combattere e polemizzare tra loro avvalendosi degli hâdìt»79.

 

     Padre Lammens s.j. ci rivela che, fin dal v secolo, la ricerca di nuovi hâdìt era divenuta un vero e proprio «sport»:

 

     «Alcuni Mohadditi si vantavano di conoscerne a memoria 100.000, o persino 1.000.000 [...]. E' in questa situazione - mal vista dai sapienti ufficiali - che si giunse ad attribuire a Maometto questo aforisma: «Se incontrate una bella frase, non esitate ad attribuirmela: devo averla sicuramente detta»80.

 

 

     - Utilità

 

     La «Sunna» ha lo scopo di completare e spiegare il Corano (il cui testo - quantunque il suo autore affermi «di non avere omesso nulla» (Sura VI, 38) - contiene molte oscurità e lacune). Così, ad esempio, il Corano raccomanda la preghiera, ma senza fissarne le modalità (numero, riti, ecc...), ed i dettagli che si trovano invece sulla «Sunna», ottenuti dall'esempio o dalle indicazioni di Maometto.

 

      «In tutti i casi, dunque, in cui nessuna usanza era stata prestabilita, o laddove il testo del Corano non aveva stipulato alcunché, ci si rivolgeva alla Sunna, all'Usanza del Profeta [...] , talvolta anche per pia finzione non si esitava a supporre o a presentare come realmente accaduto - o in altri termini - ad inventare ciò che si era deciso trovandosi di fronte a nuove situazioni»81.

 

 

q       Infallibilità

 

     Maometto agì sotto l'ispirazione dell'Altissimo; e così anche la «Sunna», insegnata da lui o tracciata sul suo esempio, beneficiò del privilegio dell'infallibilità, comportando quindi per i fedeli l'obbligo a sottomettervisi. E' per tale motivo che i musulmani ortodossi si auto-definiscono «gente della Sunna» (o «Sunniti»).

 

 

3.    LA  LEGGE  DELL'ISLÀM  («SHARÌA»  E  GIURISPRUDENZA)

 

q   Origine: il diritto o «fiqh»

 

      «L'espansione dell'islàm al di fuori dell'Arabia, la fondazione e l'organizzazione del califfato, determinarono la formulazione del diritto o fiqh, che letteralmente significa «saggezza», ed equivale alla «prudentia» dei romani. Come presso questi ultimi, ma in senso molto più stretto, il fiqh è [...] la conoscenza e la definizione delle leggi divine ed umane. [...] La teoria ortodossa afferma che sostanzialmente non esistono azioni buone o cattive, indipendentemente dalla legislazione rivelata. Il loro valore morale dipende dalla volontà divina, iscritta nelle rivelazione coranica. L'islàm è essenzialmente una religione legale. Nulla viene lasciato né all'arbitrio, né all'iniziativa del fedele. Il fiqh abbraccia dunque l'insieme degli obblighi che la legge (in arabo «sharìa») coranica impone al musulmano, nella sua triplice qualità di credente, di uomo e di cittadino di una teocrazia. Il Corano rappresenta per lui il «discorso sulla storia universale». Da esso egli ha appreso il mistero dei destini religiosi delle società umane e la preminenza della collettività islamica. Ecco dunque che la «sharìa», proponendosi come l'interpretazione della rivelazione, gli detta lo statuto familiare, il diritto penale, il diritto pubblico ed internazionale, le relazioni con i non-musulmani, ed infine regola la sua vita religiosa, politica e sociale, di cui essa si riserva di sorvegliare le molteplici manifestazioni e di dirigerne il complicato ritmo»82.

 

 

q   Le diverse scuole giuridiche

 

     Principalmente, si distinguono 4 scuole giuridiche ortodosse, ciascuna delle quali porta un nome derivante da quello del suo fondatore: scuola sciaffiita (fondata dall'imàm [=«guida», «modello» o «esempio»] al-Shàfiì-Abù-Abd-Allàh Muhammed ibn Idris, 767-820), scuola malikita (fondata dall'imàm Màlik ben Anas, 710-795), scuola hanifita (fondata dall'imàm iracheno Abù Hanìfa, 696-767), e scuola hanbalita (fondata dall'imàm Ahmed ibn Hanbal, 780-855). Ognuna di esse previlegia una fonte piuttosto di un'altra, ed è proprio questo aspetto che le differenzia; tuttavia, tali diversità non poggiano che alcuni dettagli. Eccone un esempio: si può dire «io sono credente» senza aggiungere «Insh'Allàh»? Sì, dice la scuola hanifita; no, dicono le altre.

 

 

q   Gli uléma

 

     Essi, come ci dice Padre Lammens s.j., sono gli interpreti autorizzati del «consensus», e cioè dell'«idjma» (l'accordo tra i dottori qualificati e gli uléma di un certo periodo su tale o su talaltra interpretazione dei testi della «Sunna»). In caso di dubbio, i semplici fedeli debbono ricorrere ad essi. Il loro responso - scritto - costituisce una «decisione».

 

 

q   Il cadi

 

     Scelto nella classe degli uléma, egli è il titolare di una magistratura giudiziaria.



 

56    Cfr. G. TARTAR, op. cit., pag. 49.

 

57    Il Talmùd (dall'ebraico lamad=«apprendimento», «dottrina», «ammaestramento») è, dopo la Bibbia, l'opera principale della letteratura ebraica. Si tratta di un'ampia raccolta di materiale tradizionale ebraico (in diversi punti con accenti fortemente anticristiani N.d.T.) che va dal I secolo a.C. al V secolo d.C. (Cfr. Enciclopedia delle religioni, pag. 343).

 

58    Cfr. J. BERTUEL, op. cit..

 

 

 

59      Cfr.J. BERTUEL, op. cit., tomo I, pag. 22.

 

60      Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 50.\     

 

61    Cfr. G. TARTAR op. cit., pag. 185.

 

62      Ibid., pag. 188.

 

63      Cfr. J. BERTUEL, op. cit..

 

64    Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 48.

 

65    Omm-al-kitab=«madre della scrittura», o se si preferisce, «matrice».

 

66    Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 49.

 

67      Citato da M. BergÉ, Les Arabes, Lidis, Parigi 1978, pag. 284.

 

68    Come abbiamo visto, la Fatiha è la prima Sura del Corano, contenente 7 versetti. Ne riporteremo il testo al § 2 Cap. V (vedi a pag.).

 

69          Hâram=«interdetto», «sospetto», «proibito», «vietato», ecc...

 

70      Instruction islamique, per il 1°, 2°, 3° e 4° anno delle scuole secondarie, Librerie El Maârif, rue Bab Challah, Rabat 1983, pubblicato sotto l'egida del Ministero dell'Educazione nazionale del Regno del Marocco.

 

71      Cfr. E.F.GAUTIER, Mœurs et coutumes des musulmans («Usi e costumi dei musulmani»), Club du meilleur livre, 3 rue de Grenelle, Parigi 1959, pag. 7. Il grassetto è nostro.

 

72    Cfr. J. HOURS,  La conscience chrétienne devant l'islam, editato a parte da Itinéraires, nn. 60-65, pagg. 19-20.

 

 

 

73          Ernest Renan (1823-1892), esponente del positivismo celebre per la sua Vita di Gesù (1863), in cui la personalità e la predicazione di Cristo vengono considerate in termini soltanto umani e storici. Spretato e apostata, Renan negava la divinità di Gesù Cristo, motivo per cui gli fu interdetto l'insegnamento al Collegio di Francia per diversi anni. Per questa sua viscerale prerogativa anticlericale ed anticristiana, ci pare veramente preziosa la sua testimonianza, visto che si tratta di un personaggio certamente non di parte, e quindi  al di sopra di ogni sospetto.

 

74    Cfr. Instruction islamique, 4° anno secondario, pag. 18.

 

75    Ibid., 1° anno secondario, pag. 32.

 

76    Ibid.

 

 

 

 

77    Cfr. Instruction islamique, 4° anno secondario, pag. 18; si noti l'impavida affermazione: «In seguito queste scienze divennero arabe...».

 

78    Dall'arabo sunnàh=«la tradizione».

 

79    Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 94.

 

80    Ibid., pagg. 94-95.

 

81      Cfr. H. LAMMENS, op. cit., pag. 90.