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Benedetto XIV
Gravissimum supremi


Il ponderoso ministero del Supremo Apostolato, che Ci fu conferito senza merito, richiede soprattutto due elementi: primo condurre ad abbracciare la Santa Religione quei popoli che non l’hanno mai ricevuta o che dopo averla ricevuta, per una misera, infelice sciagura, la perdettero; secondo, che la Religione stessa acquisita venga diligentemente mantenuta in quei luoghi nei quali è conservata integra per Divina Provvidenza. Inoltre, col nome di Religione non intendiamo soltanto quelle verità che necessariamente dobbiamo tenere per fede per giungere a salvezza, ma anche quei principi che si devono manifestare coi fatti per mostrare vita e costumi consentanei alla Religione cristiana e per conseguire, dopo il percorso di questa vita, la beata felicità in cielo.

1. In verità i Romani Pontefici Nostri Predecessori, per rispondere a questo dovere, scelsero in ogni epoca uomini eminenti per pietà e dottrina per diffondere in ogni continente la Fede Cattolica; aderendo ai loro esempi, secondo la pochezza delle nostre forze e le difficoltà dei tempi, Noi abbiamo mantenuto la stessa linea. In secondo luogo i Romani Pontefici misero sempre ogni cura per suscitare la disciplina dei costumi e la santità decaduta in talune Diocesi; non stimavano sufficiente lo zelo del solo Vescovo e la sua attività di organizzatore. Infatti, o inviarono in quelle Diocesi Visitatori Apostolici, o usarono altri rimedi che sembravano più idonei. Anche Noi abbiamo seguito lo stesso pensiero ogni volta che giunsero alle nostre orecchie le lamentele dei fedeli affinché con lo zelo attenuassimo le note negligenze prima di presentarci al Giudice Supremo. Infatti, spesso abbiamo designato Visitatori muniti di autorità pontificia che riconducessero alla pristina disciplina, dove fosse necessario. Demmo molti messaggi a Vescovi particolari, a molti o a tutti per sollecitare il loro zelo; abbiamo preso altri provvedimenti o iniziative, che qui è inutile elencare.

2. Dopo di che, non possiamo nascondere che Noi abbiamo cercato nelle vostre città onesti cittadini, ma abbiamo trovato che parecchi erano smarriti, soprattutto in montagna, separati dalle vostre sedi, e trascorrono una vita lontana da ogni virtù. Essi, se non si allontanano dalla Fede, come speriamo, tuttavia coi costumi corrotti, e con le conseguenze che ne derivano, attirano contro di sé l’ira divina e si affrettano verso la morte senza prima aver mostrato degni frutti di penitenza.

3. Questo richiede soprattutto la vostra e la Nostra diligenza, affinché in così grave situazione non sembriamo oziosi e pigri. Perciò a lungo abbiamo pensato ai rimedi opportuni, e per prima cosa Ci siamo affidati a Dio, padre della luce; poi abbiamo rivolto le Nostre preghiere alla Beata Vergine nel cui giorno natalizio abbiamo redatto questa lettera. Poi abbiamo creduto bene di dover esortare Voi ad eseguire con tenacia, per il bene delle vostre Diocesi, ciò che vi abbiamo sottoposto.

4. In questo tempo Noi stessi, con incarichi più modesti per parecchi anni, abbiamo esercitato l’ufficio di Promotore della Fede, di cui è proprio, previo accurato esame, soppesare virtù e meriti di coloro che sono da annoverare tra i Santi, e in quel tempo per più anni appartenemmo al Segretariato della Sacra Congregazione dei Cardinali interpreti del Concilio di Trento, che in virtù del loro incarico cercano in ogni modo di togliere di mezzo la corruzione che insidia le Diocesi. Inoltre, avendo conosciuto in quel tempo, per familiare consuetudine, molti Vescovi eminenti per profonda dottrina e per zelo di pietà, e avendo tenuto inoltre, prima del Pontificato, la sede di Ancona ed essendo stato trasferito alla sede di Bologna (la cui Amministrazione abbiamo portato avanti con la Sede pontificia), Ci siamo fermati in essa oltre un decennio. Ammaestrati dalla lunga esperienza, abbiamo capito che a correggere i corrotti costumi, che cominciano a serpeggiare e che già vigoreggiano, o confermati dal tempo occupano troppo largamente le Diocesi, nulla giova di più che implorare l’aiuto e le forze altrui, e cioè indire dovunque le Sacre Missioni, soprattutto in quelle zone che più sono separate dalla Città.

5. I Missionari giustamente sono paragonati all’apostolo Giovanni e ai suoi colleghi che furono chiamati da un’altra imbarcazione per dare una mano a Pietro e ad Andrea, che tribolavano nel mare o perché non potevano, per l’abbondanza del pescato, tirare a secco le reti, come si sa dal Vangelo di Luca, che Maldonato commenta così: "I Pastori della Chiesa, quando da soli non bastano alla carica imposta o solo accettata, devono chiamare altri da cui possano essere aiutati". La stessa cosa, prima di Maldonato, aveva notato Giansenio (Concordanze Evangeliche, cap. 25).

6. Quando facemmo il Promotore della Fede, esaminammo le virtù e le cose prodigiose compiute dai servi di Dio Giovenale Ancina, Vescovo di Saluzzo; Cardinale Roberto Bellarmino, Arcivescovo di Capua; Alessandro, prima Vescovo di Saulo e poi di Pavia, che Noi dichiarammo beato in forma solenne; e infine dai santi Vincenzo de’ Paoli e Giovanni Francesco Regis, che i Papi Nostri Predecessori regolarmente iscrissero nell’albo dei Santi. Pertanto, meditando le egregie imprese di questi uomini eminenti, una gloria incredibile era derivata ai primi tre nell’amministrare la cura delle anime, soprattutto per questa ragione, che posero ogni sforzo perché si facessero le Sacre Missioni nelle loro Diocesi. I due poi che abbiamo nominati per ultimi furono trovati pieni d’amore verso Dio e verso il prossimo; e soprattutto San Vincenzo de’ Paoli sentì tale carità al punto da istituire la Congregazione dei Missionari ed egli stesso, finché glielo permise la salute, esercitò le stesse Missioni. Anche Giovanni Regis mostrò pubblicamente d’essere divorato dal sacro fuoco della carità con cui non esitò affrontare monti asperrimi e difficili per istruire popolazioni ignare della dottrina e dei costumi cristiani, tutte le volte che lo richiedeva il Vescovo o il suo sostituto.

7. Del pari non ignorate che è nel costume dei Vescovi, in tempi stabiliti, riferire alla Sacra Congregazione Interprete del Concilio di Trento sulle proprie Chiese ed esibire chiaramente il loro stato. Pertanto, essendo Noi stessi Segretario, tutte le volte che in una Diocesi si riferiva essere state indette le Missioni per comando della Congregazione stessa o dei Sommi Pontefici, lodammo molto nelle risposte queste decisioni, che si era soliti inviare ai Vescovi, e non dimenticammo di esortarli a proseguire la lodevole iniziativa. Non una sola volta ci fu ordinato di redarguire Vescovi che non chiamarono i pii Missionari per risvegliare nel Popolo la pietà languente come essi stessi riferivano, e per sollecitare la disciplina fra gli Ecclesiastici, e in ambedue i casi per frenare la facilità di peccare congiunta con lo scandalo.

8. È stata stampata la storia delle imprese di Benedetto XIII, benemerito verso di Noi, ornamento della Vostra Nazione e Arcivescovo per molti anni della Chiesa di Benevento. Parimenti è stata stampata la vita del Cardinale Inigo Caracciolo, che occupò la sede di Aversa con grande esempio di virtù, e del Vescovo De Cavalieri, che amministrò la Chiesa di Troia con grande pietà e zelo religioso. Se non li avete mai avuti davanti agli occhi o in seguito vi proporrete questi libri, capirete subito quali grandi frutti vennero loro ed ai popoli loro affidati dalle Missioni che organizzarono nelle rispettive Diocesi. Noi in verità abbiamo letto accuratamente queste storie e con gran piacere abbiamo seguito la divulgazione a stampa di tutto quello che quegli uomini celeberrimi spesso spiegarono a Noi, mentre ancora erano in vita. Infatti Benedetto XIII, quando era Pontefice, sempre usò della nostra opera. Gli altri che ora abbiamo nominato non una volta sola ebbero bisogno di parlare con Noi, e a loro demmo lettere, con le quali fosse facilitata la loro Missione.

9. Da ultimo Noi stessi abbiamo scoperto l’utilità e la necessità delle Sacre Missioni, tutte le volte che le facemmo nella Diocesi di Ancona, nel tempo in cui ci fu affidata, e quando Noi amministrammo di presenza la Chiesa di Bologna. Ed anche ora ci facciamo parte diligente perché le stesse Missioni sono indicate da colui che, secondo le norme, ci sostituì e seguì i consigli da Noi prescritti. Allora vedemmo essere conforme a verità quello che il gesuita Paolo Segneri, oratore, scrittore, famosissimo per le sue Missioni, lasciò scritto: "In tempo di Missioni si possono chiamare tanti predicatori di merito quanti, animati dalle pie esercitazioni, sono infiammati alla confessione; col loro esempio attraggono altri ad esercitare la stessa virtù. Da quelle Missioni deriva un frutto maggiore se il popolo è intervenuto con maggiore frequenza; per questa ragione più aumenta l’intensità del fuoco se nello stesso luogo si ammassano più carboni".

10. Da ultimo si può dire che questo rimedio che si propone di correggere i vizi del popolo non è nuovo, né incerto, né inventato da Noi. È un rimedio antico, adattissimo per curare i mali e forse unico, poiché tanti Vescovi insigni per la loro pietà lo usarono con grande utilità nelle loro Diocesi. Noi stessi lo abbiamo provato tante volte, e anche Voi che senza dubbio avete rieducato il Popolo a Voi affidato con le Sacre Missioni.

11. Ma perché questo rimedio non manchi della sua efficacia, si deve pregare molto Dio perché "non chi pianta è qualcuno, né chi irriga, ma chi fa crescere Dio" (1Cor 3,7). Quindi si devono scegliere Missionari eminenti per dottrina e che istruiscano la gente con cura. Poiché a ragione supponiamo, e lo scriviamo non senza lacrime e tristezza, che molte anime fra quelle che a Noi e a Voi furono affidate, siano precipitate verso la perdizione, dirò, come dicono i Teologi, che esse ignorarono del tutto le cose necessarie per mancanza del mezzo. Si devono chiamare Missionari che dopo aver richiamato il popolo per i peccati e gli scandali, ne mostrino la gravità e la malizia con le loro prediche, e li possano riprendere fortemente. Ci consta per la testimonianza di San Marco, cap. 3, ove Cristo sceglie gli Apostoli per mandarli a predicare (Mc 3,15). Lo stesso si desume dagli Atti degli Apostoli, c. 6, dove attestano che la predicazione della parola è come peculiare incarico a loro affidato: "Non è giusto che noi abbandoniamo la parola di Dio e serviamo alle mense" (At 6,2). La stessa cosa insegna San Paolo nella Prima ai Corinzi: "Cristo non mi mandò a battezzare, ma ad evangelizzare" (1Cor 1,17), e nell’epistola 2 a Timoteo: "Attesto davanti a Dio e a Gesù Cristo, che giudicherà i vivi e i morti: per il suo avvento e per il suo regno predica la parola, insisti opportunamente e inopportunamente" (2Tm 4,1-2).

12. Inoltre i Missionari, col metodo della loro vita e con l’esempio, devono infervorare il popolo alla virtù. "In ogni circostanza offri te stesso come esempio di buone opere" dice lo stesso Apostolo a Tito (Tt 2,7). San Luca negli Atti degli Apostoli testimonia che Cristo Signore "cominciò a fare e a insegnare" (At 1,1). Da ultimo è necessario che i Missionari si dedichino completamente a Dio, né nutrano alcun desiderio di vanagloria mentre attendono ad istruire il popolo, o speranza di guadagno, anche modesto. Sappiamo infatti che le Missioni hanno recato gran frutto, quando San Carlo teneva la sede di Milano. Questo accade anche ora per opera e virtù degli Oblati, che egli istituì, e che si chiamano "di Sant’Ambrogio". Infatti, oltre al resto, hanno prescritto questo: di non recare incomodo a nessuno e di non essere spinti da alcuna ragione a prendere alcunché in dono, come si apprende chiaramente dagli Atti della Chiesa Milanese (stampati nel 1599, par. 5, p. 841). Volgete il pensiero a San Giovanni Crisostomo, che nell’Omelia 46 sopra Matteo dice che tutto il mondo fu portato dagli Apostoli dall’errore alla verità, dalla vecchia superstizione ad abbracciare la verità cristiana, non perché avessero richiamato i morti a nuova vita, ma perché avevano liberato l’anima da ogni passione e dall’avarizia: "Che cosa, infatti, li fa apparire grandi? Il disprezzo del denaro, della gloria, l’esenzione da tutte le preoccupazioni della vita; se non avessero avuto ciò, anche se avessero resuscitato i morti, non solo non avrebbero giovato a nessuno, ma sarebbero stati giudicati degli imbroglioni" (Giovanni Crisostomo, Om. 46 sopra Matteo).

13. La città di Napoli accoglie gran numero di Ecclesiastici, che si raccomandano assai per pietà, dottrina ed esperienza in fatto di Missioni. Sono piene di siffatti uomini le Congregazioni della Sede Arcivescovile di padre Pavone, e di Sacerdoti che prendono il nome da San Gregorio, che si chiamano Pii Operai. Inoltre non mancano abitazioni di Sacerdoti che seguono la Congregazione di San Vincenzo de’ Paoli. La messe è molta e gli operai sono sufficienti, se verranno distribuiti così come lo richiedono l’utilità e la necessità della popolazione.

14. Userete il Nostro Diletto Figlio card. Spinello, Arcivescovo di Napoli, sulla cui responsabilità sarà da farsi ogni cosa; per questa ragione gli inviamo una Nostra Lettera nella quale gli chiediamo di prendere codesta zona e gli diamo facoltà di assumere, in un affare così importante, altri aiutanti o chi provveda per lui, dal momento che non ci sfugge da quali pesanti preoccupazioni sia gravato e quali dolori abbia affrontato e affronti, perché la Vigna del Signore sia convenientemente coltivata. Se alcuno di Voi chiede le Missioni, vada dallo stesso Cardinale, che designerà Sacerdoti adatti come richiederà il bisogno; fisserà il loro numero e assegnerà il tempo, perché vengano portate a termine le Missioni. Infatti egli, saggio com’è, capirà che nel medesimo tempo non si può fare tutto.

15. I Missionari hanno bisogno di facoltà straordinarie, che daremo volentieri attingendo dal tesoro della Chiesa, perché essi compiano felicemente l’importantissima opera. Indicheremo queste facoltà al cardinale Spinello, perché i Missionari, recandosi da lui oppure da altri sostituti, ottengano facilmente quello che più conviene alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime.

16. Comprendiamo le difficoltà che freneranno i Missionari dal recarsi presso i Sanniti e i Calabri. Tuttavia, essendovi in quei luoghi i Padri Domenicani e i Gesuiti, i loro Generali per ordine Nostro raduneranno i Provinciali, affinché scelgano alcuni tra i loro uomini, che colà facciano le Missioni, senza alcun compenso da parte del clero o dei pubblici amministratori, quando faranno le Missioni. I loro nomi saranno comunicati al cardinale Spinello, a cui si rivolgeranno i Vescovi del Sannio e della Calabria, affinché le Missioni si svolgano regolarmente nelle loro Diocesi, come fuor di dubbio confidiamo accadrà nelle altre Diocesi che non sono molto lontane dalla città di Napoli.

17. Ma ci sembrerebbe inutile ogni nota, per l’esimia pietà e religiosità del Carissimo Nostro Figlio in Cristo, Carlo, Re delle Due Sicilie, se non vi ammonissimo a chiedere allo stesso Re di interporre generosamente la sua autorità, se sarà necessario, per fare regolarmente le Missioni. Infatti è noto a Noi per esperienza, né a Voi certamente è nascosto, che nulla già in passato fu a lui proposto nel Regno che non potesse soprattutto servire alla gloria di Dio.

18. Poniamo fine a questa Lettera, perché non sembri un po’ troppo lunga, mettendovi sotto gli occhi l’esempio del Santo Re Giosafat. I Sacerdoti, come ministri, andavano incontro al Re vincitore e "insegnavano al popolo di Giuda avendo il libro della legge del Signore, e percorrevano tutte le città di Giuda ed erudivano il popolo" (2Cr 17,9). Né bastò al Re l’opera dei Sacerdoti, ma egli stesso si recò presso il popolo di Bersabea "fino al monte Efraim e li richiamò al Signore, Dio dei loro padri" (2Cr 19,4), come viene detto al cap. 19. Stabilite di imitarlo; e non solo mandate i Sacerdoti attraverso le Diocesi, ma voi stessi percorretele tutte le volte che problemi più gravi ve lo permettano. Così il popolo, toccato dalla vostra presenza e dalla vostra virtù, sarà più infervorato ad imboccare la strada del Signore. Se c’è da sopportare qualche incomodo, commuoverete Dio più facilmente a questa condizione, che non vi faccia pagare per la negligenza con cui trascuraste di visitare la Diocesi – restando in Sede – quando era necessario: ciò che sappiamo per certo essere accaduto ad alcuni di voi. E non mancheranno i provvedimenti della Provvidenza Apostolica a questo male che si trascina nel tempo. Frattanto non tralasceremo di ricordare Voi e il vostro gregge, tutte le volte che celebreremo all’altare.

A Voi e al Popolo affidato alle Vostre cure, impartiamo di cuore la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, l’8 settembre 1745, anno sesto del Nostro Pontificato.