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Benedetto XIV
Nimiam licentiam


Deploriamo l’eccessiva licenza, la libertà e l’abuso in forza dei quali gl’indissolubili matrimoni cristiani, celebrati canonicamente, e perfino quelli saldi per lunga concordia di animi, senza la presenza di alcun motivo legittimo, in violazione delle leggi canoniche vengono sciolti con tanta facilità nelle Curie ecclesiastiche del Regno di Polonia, con grave offesa dei buoni.

Con altro nostro simile Breve dell’11 aprile 1741 a Voi indirizzato abbiamo esortato le Vostre Fraternità, nel nome del Signore, a vigilare sul gregge affidato alla vostra cura. Noi stessi stiamo considerando provvedimenti di riparazione e un modo opportuno d’intervento.

1. Nel frattempo avevamo appreso che in diverse regioni del mondo cristiano si era diffusa la cattiva abitudine di celebrare matrimoni segreti, comunemente definiti di coscienza. Fra le irregolarità e i disordini da essi derivanti, si trovava anche che i matrimoni occulti di questo tipo venivano a sciogliersi di per sé proprio quando altri matrimoni venivano pubblicamente celebrati. In un’altra nostra lettera Enciclica del 26 agosto dello stesso anno e indirizzata ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi, abbiamo prescritto che la cattiva abitudine sopra menzionata dovesse essere abrogata e si rispettassero scrupolosamente i Sacri Canoni e i decreti del Concilio Tridentino.

2. Inoltre, il 3 novembre 1741 aggiungemmo un nostro Breve, pubblicato a stampa, nel quale abbiamo chiaramente fissato leggi e regole relative alla validità e alla nullità dei matrimoni, per quanto dagli uomini può essere inteso. Secondo esse i Giudici Ecclesiastici, non condizionati da colpa, disonestà, inesperienza e ignoranza, allorché sono chiamati a decidere sulla validità o la nullità dei matrimoni, possono esprimere la sentenza secondo giustizia, non secondo le proprie inclinazioni.

3. È stato anche prospettato ed obiettato che questo tipo di male venne a crearsi in quanto le Commissioni chiamate a giudicare in seconda istanza le cause matrimoniali erano affidate a uomini inadatti e sprovvisti di preparazione giuridica: addirittura incapaci di giudicare. Noi, con altra Enciclica indirizzata a tutti i Vescovi, non solo abbiamo raccomandato e ordinato che ciascuno di essi, unitamente al Capitolo della Chiesa Cattedrale, compilasse una lista di uomini devoti al Signore, probi e sapienti, esperti nelle materie considerate, idonei a giudicare, e la trasmettesse a questa Santa Sede Apostolica, ma nel nostro Breve citato ci preoccupammo che le predette Commissioni di seconda istanza in materia di cause matrimoniali non facessero capo a nessuno, se non ai Vescovi più vicini, e soltanto nel caso in cui non si potesse fare altrimenti s’indirizzassero a qualcuno degli uomini preparati ed idonei indicati dalla Commissione.

4. In forza dei predetti provvedimenti della prudenza Apostolica e della nostra autorità, eravamo fiduciosi che, con la benedizione di Dio, il denunciato abuso e qualsiasi irregolarità sarebbero certamente scomparsi ovunque. Invece, con grande dolore del nostro cuore di Pontefice abbiamo appreso che costà erano stati escogitati nuovi inganni e nuovi sotterfugi con i quali eludere le salutari disposizioni Apostoliche. L’animo rabbrividisce nel riferire non solo gli accordi intervenuti fra i coniugi contendenti per lo scioglimento del matrimonio, ma addirittura che uno di essi, dopo che era stata pronunciata la sentenza di nullità da parte del Giudice ecclesiastico, osò appellarsi affinché s’imponesse all’altra parte, acquiescente nella sentenza, di pagare una certa somma di denaro, tanto che da parte del Giudice ecclesiastico presso il quale la pratica era stata svolta si condannasse in qualche modo l’appellante al pagamento di tale somma.

5. Dopo aver riflettuto a fondo su queste questioni, siamo giunti alla conclusione che l’irregolarità e la predetta confusione esistenti in Polonia siano nate per la maggior parte dal modo e dall’abitudine con cui i matrimoni sono contratti, celebrati, e in generale come s’iniziano. Molto spesso, in verità, mentre dappertutto si desidera la presenza del proprio Parroco quando si celebra verbalmente il matrimonio, si affida a qualsiasi sacerdote il compito d’intervenire, talvolta addirittura senza che il proprio Parroco lo sappia. Assai spesso si dispensa anche dalle prescritte pubblicazioni di matrimonio che si è soliti fare nella Chiesa parrocchiale dell’uomo e della donna per tre giorni festivi, durante la Messa solenne, e ciò senza che esista un legittimo ed urgente motivo che esoneri dalle pubblicazioni.

6. Perciò, essendo preclusa ogni via lungo la quale si possa conoscere se un matrimonio viene celebrato con il consenso e la necessaria libertà di ambedue i contraenti e se intercorra fra un contraente e l’altro qualche impedimento in forza del quale il matrimonio già celebrato debba essere sciolto, ne deriva la conseguenza di frequenti dispute sull’annullamento dei matrimoni, anche di quelli celebrati in Chiesa. Talvolta si discute se il matrimonio sia stato contratto con la forza, o con la paura o senza il pieno consenso di un coniuge; talvolta si allega un impedimento legittimo e canonico che si sarebbe potuto conoscere prima che il matrimonio venisse celebrato, se non fosse stato tenuto nascosto intenzionalmente; a volte, ancora, accade più frequentemente che si chieda la nullità del matrimonio perché celebrato davanti ad un altro Sacerdote, sia pure con il consenso del Parroco o del Vescovo, ma senza le necessarie e solite forme. Certamente non v’è nessuno che non comprenda che tutto quanto premesso è causa di alimento pressoché continuo alla nequizia diabolica, e costituisce una porta aperta alla malvagità: il vantaggio canonico del ricorso da Noi ricordato nella nostra Lettera – vantaggio che, dopo la sentenza relativa alla nullità del matrimonio, può essere acquisito con frodi ed espedienti – deve essere impedito; e s’impedisca del pari che gli scioglimenti dei matrimoni in Polonia si facciano più frequenti, poiché recano grave offesa e scandalo ai buoni.

7. Pertanto, al fine di potenziare la nostra debolezza, con tutte le energie del nostro impegno Apostolico, con l’aiuto del Signore ci sforziamo di porre un rimedio opportuno a questa pericolosissima perversità: motu proprio, con conoscenza certa, dopo matura riflessione, nella pienezza del potere Apostolico, con la presente dichiariamo nulli tutti i patti da farsi o cominciati in qualunque modo fra i coniugi per lo scioglimento del matrimonio. Siano impediti anche i patti in forza dei quali, direttamente o indirettamente, si appella la sentenza già emessa dal Giudice sulla nullità del matrimonio, anche se erano stati convenuti e approvati con giuramento, anche se erano stati concordati prima della pubblicazione della nostra citata Lettera, e dichiariamo che, anche se sono stati fatti, siano nulli, invalidi, inefficaci, privi di qualsiasi operatività al presente e nel futuro; ora per allora li annulliamo e invalidiamo, in modo che non siano mai considerati vincolanti, sia nel foro interno, sia in quello esterno, sotto pena di scomunica ipso facto dalla quale nessuno – chiunque abbia dato vita a questi patti – possa essere assolto se non da Noi e dal Romano Pontefice nostro successore pro tempore, eccettuato il caso di morte imminente.

Alla stessa pena di scomunica è e sarà oggetto ipso facto – e ora per allora lo disponiamo – qualsiasi Giudice che oserà intervenire perché sia data esecuzione a siffatti patti. Inoltre, ripetiamo e confermiamo l’ultima nostra citata Lettera, o Costituzione, e specialmente tutto ciò che riguarda l’ordine e la procedura dell’appello da parte del deputato difensore del matrimonio allorché fosse pronunciata dal Giudice la sentenza contro la nullità dello stesso matrimonio.

Alle Vostre Fraternità comandiamo, nel nome della santa obbedienza, di pubblicare nuovamente e diffondere la nostra Lettera, e vogliamo che ciò venga fatto parola per parola, come espresso nella presente.

8. Quantunque riteniamo che ciò che abbiamo finora compiuto, riferito e prescritto è sufficiente a che i fedeli di costì conoscano particolarmente la santità del matrimonio, e si accostino a questo grande Sacramento con la necessaria reverenza e pietà, e ne rispettino per sempre la santità e la mutua, indissolubile, inviolabile concordia di animi, tuttavia reputiamo che in questa importantissima materia non avremmo soddisfatto sufficientemente alla nostra sollecitudine Apostolica se non prospettassimo alle Vostre Fraternità le illuminate e salutari leggi e regole di altre Diocesi ben organizzate, nelle quali quasi mai, o raramente, si discutono controversie legali sui contratti matrimoniali e si pronunciano sentenze di nullità dei matrimoni stessi.

9. Il primo compito che spetta di diritto al Parroco è d’interessarsi dei matrimoni che si devono celebrare; in quanto Parroco è tenuto a prendervi parte se non è impedito da qualche motivo legittimo e gravissimo.

10. Parimenti è dovere del Parroco – prima che le pubblicazioni del contraendo matrimonio siano esposte in Chiesa fra le Messe solenni – interrogare cautamente ora lo sposo, ora la sposa, separatamente, per accertarsi se si sposano liberamente, spontaneamente, volentieri e con piena convinzione. Inoltre deve sforzarsi di accertare, per quanto è possibile, che fra i contraenti non esista alcun impedimento di nessun genere; che uno dei due contraenti non abbia assicurato fedeltà e promessa ad altri, e che sia certo il consenso dei genitori e della famiglia. Dopo che i Parroci avranno diligentemente esaminato queste questioni, se appresero che qualcosa manca o è di danno, sospese le pubblicazioni matrimoniali sono tenuti a riferire i possibili ostacoli al proprio Vescovo, il quale, secondo le esigenze del caso, con la propria autorità e secondo il proprio ufficio provvederà opportunamente.

11. Se i Parroci non troveranno nulla che sia d’ostacolo ad effettuare le pubblicazioni, disporranno che esse vengano compiute nella Chiesa, per tre giorni festivi consecutivi durante le Messe solenni, come stabilito dal Concilio Lateranense svoltosi sotto Papa Innocenzo III, nostro Predecessore di felice memoria, e dal Concilio Tridentino, in modo che qualsiasi impedimento sconosciuto in precedenza possa essere manifestato dagli uditori interessati.

12. Anche se i Vescovi che vigilano sulle pecore loro affidate non ignorano quanto, per motivi di sicurezza, abbiamo detto in precedenza, cioè che il matrimonio celebrato davanti a qualsiasi Sacerdote non Parroco, avutone il permesso o dal Parroco o dal Vescovo, è valido; e che essi hanno il potere di dispensare da una pubblicazione sulle tre, e addirittura da tutte e tre se esiste un urgente, legittimo, gravissimo motivo, tuttavia evitino di esercitare indiscriminatamente tale autorità sia nella dispensa dalle pubblicazioni, sia nell’affidare a qualsiasi Sacerdote piuttosto che al Parroco la facoltà di celebrare il matrimonio, se non saranno convinti che un’inderogabile necessità lo impone. Senza dubbio, come abbiamo premesso, se essi avranno constatato che è assolutamente necessario concedere questa autorizzazione, tuttavia non la concedano subito ma soltanto dopo aver compiuto diligenti ricerche e siano in possesso di notizie sicure, in forza delle quali risulti con certezza che fra i contraenti non esiste alcun impedimento.

13. Quanto alla dispensa dalle pubblicazioni, avendo sempre presente il decreto del Concilio Tridentino sulla riforma del matrimonio, i Vescovi comprendono chiaramente che una facoltà sfrenata e smodata nell’uso delle dispense non appartiene loro in nessun modo, ma soltanto una facoltà che si attenga alla ragione della prudenza, da applicarsi in occasioni determinate da cause legittime, e da usarsi con cautela, così come recita il Concilio Tridentino: "Qualora vi fosse il fondato sospetto che il matrimonio possa essere furbescamente imbrogliato anche se venissero effettuate tutte e tre le pubblicazioni, allora si faccia una sola pubblicazione o per lo meno si celebri il matrimonio alla presenza del Parroco e di due o tre testimoni. Poi, prima della consumazione di esso, si facciano le Pubblicazioni in Chiesa, in modo che se esistono degli impedimenti, questi possano essere scoperti più facilmente".

14. Questa cura, questa diligenza, questo razionale comportamento tolgono di mezzo, Venerabili Fratelli, le gravissime preoccupazioni dei Vescovi a proposito della celebrazione dei matrimoni ed eliminano quasi tutte le occasioni dello scioglimento degli stessi: pertanto, seguite questo indirizzo. Lungo questo sentiero, aperto da tempo, sempre percorso con sicurezza, raccomandato caldamente dal citato Concilio Tridentino e affidato come ordine a tutti i Vescovi perché lo accolgano e lo pratichino, indirizzate i vostri passi veloci affinché anche in questo settore possiate soddisfare al compito che vi è stato imposto. Adoperatevi, vigili e diligenti, affinché i Parroci, i Direttori delle anime cristiane, i Coadiutori chiamati a collaborare con le vostre attività s’impegnino nei propri compiti con vigilanza, sollecitudine e integrità. Ancorché indotti da facile benevolenza o costretti da qualche legittima necessità, non adattatevi a concedere a qualsiasi Sacerdote, per motivi di lieve momento, la delega a partecipare ai matrimoni, rimuovendo la presenza giuridica dei competenti Parroci, necessaria nella celebrazione dei matrimoni. Osservate voi stessi le regole canoniche e le leggi sulle pubblicazioni nuziali prima della celebrazione del matrimonio, in modo che non possano essere minimamente scavalcate dalle altre parti interessate senza grave inquietudine dell’animo, tormento di coscienza e grave offesa e scandalo di molti.

15. Abbiate cura d’intervenire non con un pretesto, con una scusa o a motivo di una consuetudine e di un uso introdotto in qualche modo e vigente nelle vostre Diocesi, approfittando via via di quella condiscendenza che, dispensando dalle pubblicazioni senza legittimo titolo, genera disgusto ed è causa di tante liti. Infatti, una consuetudine perniciosa e il disfacimento dell’autorità non portano ad una norma di comportamento, ma alla condanna di quanti agiscono male.

16. Quanto a Voi, per la verità si asserisce che le concessioni e le dispense date frettolosamente e in gran copia fossero dovute all’esempio e all’incoraggiamento in forza dei quali l’Ordinario di questa Apostolica Sede in Polonia, Nunzio nell’epoca, avvalendosi del suo potere era eccessivamente indulgente in materia, largheggiando fra le altre cose in concessioni e dispense; al nuovo Nunzio attualmente operante in Polonia comandiamo di limitare tale comportamento, in modo che le Vostre Fraternità, eliminati tale esempio e tale incitamento, si astengano per l’avvenire dalle concessioni e dalle dispense anzidette.

17. Pertanto, Venerabili Fratelli, non vogliamo che Voi ignoriate le nostre tante preoccupazioni, le nostre tante esortazioni, le tante disposizioni imposte alla nostra Apostolica prudenza ed alla nostra autorità, intenti, secondo la decisione del nostro animo, ad adoperarci per la maggior gloria di Dio e per la salute delle anime, a che possano ridursi al minimo le antiche liti e controversie che s’intraprendono per la dissoluzione dei matrimoni: utilizziamo al massimo, con la nostra suprema autorità, più efficaci e rigorosi rimedi atti a rimuovere questi mali.

A Voi, infatti, è stato provato sufficientemente, e anche troppo, sulla scorta di giusti e razionali motivi, come possa accadere – se si farà diversamente da quanto prescrivemmo – che il giudizio delle cause matrimoniali della Polonia possa esaurirsi nella prima istanza. Inoltre, lasciata la prima istanza ai Vescovi locali e la seconda ai Metropolitani, occorre ordinare (così come, costretti dalla necessità, ordiniamo) che nelle cause matrimoniali della Polonia la prima sentenza pronunciata dalla Curia Episcopale e la seconda dalla Curia Metropolitana sulla nullità del matrimonio non diventino affatto esecutive se l’una e l’altra, secondo la procedura, non siano state opportunamente ed accuratamente esaminate ed approvate prima dalla Congregazione dei nostri Venerabili Fratelli della Santa Romana Chiesa dei Cardinali interpreti del Concilio Tridentino. Così pure per qualunque matrimonio, dopo l’una e l’altra sentenza pronunciate nelle vostre Curie, mentre nella Congregazione dei Cardinali l’una e l’altra sentenza vengono valutate, o presso la stessa Congregazione dei Cardinali non è stato presentato alcun ricorso – rispettato quanto è da rispettare – non si può dichiarare che il contratto è nullo, irrito, di nessuna validità, ora e in futuro.

18. Dichiariamo che la presente Lettera e i suoi contenuti debbono rimanere fermi, validi ed efficaci. Perché i risultati siano pieni e completi, occorre che essa sia inviolabilmente osservata da tutti coloro cui spetta e spetterà: dai Giudici ordinari e delegati, anche dagli uditori del Palazzo Apostolico; dai Cardinali di Santa Romana Chiesa, anche Legati de latere; dai Nunzi della Sede Apostolica e da tutti coloro che svolgono qualsiasi funzione preminente.

19. Infine vogliamo che agli esemplari di questa Lettera, anche stampati, firmati dalla mano di un notaio pubblico e muniti del sigillo di una persona costituita in dignità Ecclesiastica, si presti la stessa fede, in sede giudiziaria e anche fuori, che si presterebbe alla presente, se presentata o mostrata.

20. Per il resto, in nome del nostro impegno Pontificio, con tutte le nostre maggiori esortazioni Apostoliche chiediamo alle Vostre Fraternità di adoperarvi a cercare con la necessaria diligenza ed a scegliere quali ministri e ufficiali delle vostre Curie i più dotati di pietà, probità, dottrina, prudenza e di tutte le altre virtù cristiane, nonché affidabili per la lunga esperienza. Raccomandate loro decisamente che ciascuno si preoccupi di sostenere il proprio incarico con assoluta rettitudine; Voi stessi non trascurate di vigilare assiduamente, tenendo presente che dovete rendere ragione a Gesù Cristo, Principe dei Pastori, del governo del gregge a voi affidato, e che verrà assegnata l’eterna mercede promessa nei Cieli a coloro che avranno operato secondo la legge.

Noi, frattanto, quale auspicio di un prospero successo, impartiamo affettuosamente alle Vostre Fraternità la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, sotto l’anello del Pescatore, il 18 maggio 1743, anno terzo del Nostro Pontificato.