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Gregorio XVI
Dum intima
10 dicembre 1837
Mentre eravamo afflitti da intima amarezza per le diffuse, tristi e quasi rovinose vicende della Chiesa Cattolica – e Noi, che siamo posti in una sede in cui non basta piangere le sventure, rivolgeremo ogni cura e pensiero per restaurare le distruzioni di Israele, valendoci del divino potere affidatoci – all’improvviso si è aggiunto un nuovo motivo di afflizione che, confessiamo, è tanto più acerbo per Noi, quanto meno Ce lo saremmo aspettati. Né vi si può nascondere, Venerabili Fratelli, in che direzione vedano codesti accadimenti, né per quale motivo una subitanea sollecitudine di convocare la vostra riunione ha ispirato l’animo Nostro. Si tratta infatti di questione per nulla oscura e non solo nota attraverso private informazioni, ma già abbastanza divulgata attraverso pubbliche informazioni. Ci rammarichiamo di una gravissima offesa recata recentemente al Venerabile Fratello Clemente Augusto, Arcivescovo di Colonia, che per ordine regio è stato escluso da ogni funzione di giurisdizione pastorale, è stato rimosso dalla sua sede con la forza e con grande spiegamento di armati, ed è stato relegato altrove. Egli incorse dunque in tanta sventura perché, pur pronto da sempre a dare a Cesare quel che è di Cesare e memore del suo dovere di preservare religiosamente la dottrina e la disciplina della Chiesa, non si era proposto altre regole, in materia di matrimoni misti, all’infuori di quelle che erano state dettate da una lettera apostolica inviata all’Arcivescovo e ai Vescovi del territorio occidentale del Regno Prussiano dal Nostro Predecessore Pio VIII di felice memoria, il 25 marzo 1830.
Tuttavia questa Santa Sede, con lettera analoga, aveva a tal segno dilatato la propria indulgenza che, in verità, si può ben dire avesse raggiunto quei limiti oltre i quali è assolutamente illecito procedere. Voi sapete molto bene a quale criterio di tolleranza aveva aderito, assai a malincuore, il ricordato Nostro Predecessore, non da altro motivo indotto che dalla necessità di evitare più funesti mali alla Chiesa e al clero cattolico di quelle regioni a seguito delle minacce espresse. Chi dunque poteva pensare che tale dichiarazione pontificia, sebbene indulgentissima e più di una volta assecondata dall’ambasciatore regio in Roma, sarebbe poi stata interpretata in modo da pervertire i costanti principi della Chiesa Cattolica e da opporsi integralmente alla intenzione di questa Sede Apostolica?
Invero, ciò che nessuno poteva immaginare o escogitare e ciò che si poteva facilmente considerare come un crimine, tutto ciò è accaduto per artificiosa istigazione del potere secolare. Non appena Ci fu nota la cosa, non senza sommo turbamento dell’animo, non rinviammo l’occasione di affidare le Nostre richieste a coloro cui dovevano essere rivolte, dichiarando ad un tempo quanto fossimo obbligati, per dovere apostolico, ad ammonire tempestivamente i fedeli di non ritenere che fosse stato compiuto da questa Santa Sede ciò da cui essa apertamente aborre. E poiché a Noi fu risposto come se le Nostre rimostranze non poggiassero su alcun fondamento, sopraggiunse la lettera di un altro Presule della predetta regione che, prossimo alla morte, stava per rendere conto della sua gestione all’Eterno Giudice: ci inviò copia delle istruzioni trasmesse ai Vescovi sotto l’incalzare del Governo civile. In essa egli esattamente diceva che "in seguito si sarebbero prodotti gravissimi danni per la Chiesa, sarebbero violati i suoi canoni e, riflettendo al lume della divina grazia, ritrattava liberamente e con motu proprio l’errore che aveva sottoscritto". Di conseguenza Ci preoccupammo subito di rendere noto il fac-simile di quella copia al serenissimo Re e di riprovare assolutamente l’iniziale orientamento dei Vescovi suddetti di interpretare la lettera del Nostro Predecessore come contraria ai principi e alle leggi della Chiesa. Da questi fatti è facile per voi capire, Venerabili Fratelli, che Noi non abbiamo tralasciato alcunché nell’affrontare una questione di tal natura. Tuttavia (lo diciamo con mestizia e afflitti da profondo dolore) a Nostra insaputa e mentre attendevamo una equa risposta a queste Nostre richieste e dichiarazioni, fu intimato all’Arcivescovo di Colonia di seguire quella interpretazione, da Noi respinta, circa i matrimoni misti o di abbandonare l’incarico episcopale, essendo evidente che, se avesse agito diversamente, una decisione del Governo gli avrebbe vietato l’esercizio della giurisdizione pastorale.
Nessun indugio, come era naturale; egli si oppose e le cose si svolsero come fin dall’inizio, inorridendo, le abbiamo descritte. A questo punto ascoltate con Noi la decisione presa; infatti soltanto nel primo giorno del corrente mese l’odierno negoziatore per conto del Regno Prussiano annunciò che prossimamente sarebbe accaduto, o si sarebbe concluso in quello stesso periodo di tempo, ciò che era già stato fatto e compiuto nel giorno ventuno del mese precedente. Stando così le cose, Venerabili Fratelli, sentiamo di dovere a Dio, alla Chiesa e al ministero che assolviamo, che si alzi la Nostra voce apostolica e che deploriamo apertamente nella vostra adunanza la violazione dell’immunità ecclesiastica, il disprezzo della dignità ecclesiastica, l’usurpazione della sacra giurisdizione, la manomissione dei diritti della Chiesa Cattolica e di questa Santa Sede. Mentre compiamo tale atto, vogliamo parimenti rendere meritatissima lode al Presule di Colonia, uomo di eccezionale virtù, per aver propugnato, invitto e a proprio rischio, la causa della Religione. Cogliendo poi questa opportunità (a cui in privato finora non abbiamo rinunciato) ora pubblicamente e solennemente annunciamo che Noi riproviamo assolutamente qualsivoglia prassi introdotta ingiustamente nel Regno Prussiano circa i matrimoni misti contro l’autentico significato della dichiarazione resa pubblica dal Nostro Predecessore. Peraltro, di fronte ai mali ogni giorno crescenti contro la Sposa dell’Agnello immacolato, non possiamo fare a meno d’incitare caldamente voi, partecipi del Nostro impegno per l’insigne vostra pietà religiosa, a offrire umilmente con Noi fervide preci al padre delle misericordie, perché guardi propizio, dalla eccelsa dimora celeste, la vigna che la sua destra ha piantato, e allontani da essa, con somma clemenza, la perdurante tempesta.