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Gregorio XVI
In Concistoro
Al Patriarca di Lisbona.
Nel Concistoro che abbiamo celebrato il 3 di questo mese di aprile, ti abbiamo chiamato a presiedere codesta Chiesa patriarcale, come attesta la regolare lettera apostolica da Noi inviata sub plumbo. Abbiamo allegato ad essa un’altra lettera apostolica, sigillata sotto l’anello del Pescatore, che troverai acclusa alla presente. Da essa apprenderai che Noi, per particolare grazia, concediamo che tu possa esercitare immediatamente il tuo ministero pastorale e usare liberamente di tutti i diritti annessi. Ci è parso conveniente prevenire tutti quegli ostacoli che – come tu stesso prevedevi – sarebbero occorsi nella condizione attuale della tua Chiesa, nella quale si trovano due capitoli di canonici: uno costituito secondo i sacri canoni ma impedito di svolgere i propri uffici; un secondo che si è sostituito al primo, in questi tempi calamitosi, con manifesta violazione del diritto, e con il quale tu hai saggiamente dichiarato di aver nulla in comune né a parole, né a fatti. Codesta tua presa di posizione nei confronti del citato nuovo capitolo, come pure la tua dichiarazione affidata alla tua lettera a Noi pervenuta, con la quale professi di voler sottomettere al Nostro giudizio qualunque cosa tu abbia in animo di fare, Ci ha persuasi facilmente a non differire la promozione della tua fraternità all’ufficio patriarcale. Certamente Noi non potevamo minimamente approvare – come tu scrivi – quello che per una non consentita consuetudine si è introdotto costà contro tutte le sanzioni dei sacri canoni e che la tua fraternità ben conosce: cioè, che colui il quale viene designato al Patriarcato dal monarca, ma non è ancora eletto dalla Sede Apostolica, riceva frattanto la cura della Chiesa vacante conferitagli dal capitolo (o da altro ente al quale verrebbe trasmesso questo preteso diritto). Certamente in forza di questa consuetudine il potere dei Vicari capitolari verrebbe trasferito all’arbitrio dell’autorità laica; con questa funestissima conseguenza, che qualora il Romano Pontefice non trovasse degna dell’ufficio episcopale la persona nominata dal monarca, dopo non la potrebbe più rimuovere, se non difficilmente, dalla Chiesa che ha occupato: anzi, sarebbe quasi impossibile. Alla tua preparazione non sfugge, in verità, che i sacri canoni della Chiesa rigettano completamente quelle consuetudini che, sia in altri settori, sia specialmente nelle elezioni dei Vescovi, pongono vincoli alla libertà della Chiesa. A questo preciso argomento si riferiscono la Lettera di Onorio III, nel capitolo Noverit 49 nella sentenza di scomunica, e il responso di Celestino III nel cap. Cum terra 14 sulle elezioni.
Ma su questo argomento basta. Infatti non è Nostra intenzione contristarti, Venerabile Fratello, che amiamo con singolare e ardentissima carità nel Signore. Abbiamo anzi una opinione così grande della tua virtù, e siamo sostenuti da una così grande speranza che saprai adempiere con costanza e sollecitudine, con la benedizione di Dio, al tuo ufficio pastorale per la salvezza delle tue pecorelle e che con la tua opera potremo rimediare e restituire nell’ordine dei canonici il suddetto capitolo della Chiesa patriarcale e tutte le altre cose disperse, o malamente sopravvissute costà, che ora deploriamo.
Come pegno della Nostra particolarissima benevolenza aggiungiamo la Benedizione Apostolica che, Venerabile Fratello, con tutto il cuore ti impartiamo.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 6 aprile 1843, anno decimoterzo del Nostro Pontificato.