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Gregorio XVI
Litteras accepimus
Al Vescovo di Rennes.
Abbiamo ricevuto la lettera attestante la tua singolare devozione verso di Noi; ad essa hai accluso l’epistola a Noi inviata dal diletto figlio F. Lamennais: l’abbiamo letta avidamente, attratti dalla lieta speranza di rinvenire in essa quelle più limpide prove di fede sincera che da lui Ci aspettavamo per considerarlo interamente sottomesso al Nostro giudizio. Già di buon grado egli affermava di approvare tale giudizio con quel primo atto con il quale, subito dopo aver ricevuto la Nostra lettera enciclica, annunciò che avrebbe rinunciato alla pubblicazione del suo periodico e alla cosiddetta "amministrazione cattolica". Inoltre scrive di aver appreso con molta riluttanza dalla Nostra lettera al Venerabile Fratello Arcivescovo di Tolosa che Noi siamo ancora afflitti dal timore di quelle voci che sono diffuse tra il volgo, come se egli stesso con i suoi seguaci insistesse nelle precedenti macchinazioni, confermasse la sua avversione nei confronti dei Nostri giudizi e tentasse di procurarci una profonda amarezza.
Siamo sinceramente stupiti di tali sue affermazioni. Giustamente, e con ragione, infatti eravamo turbati nel considerare l’ingannevole attesa che il suo primo atto aveva suscitato e che credevamo fosse il preannuncio di dichiarazioni che avrebbero reso manifesto al mondo cattolico che egli teneva ben ferma e riconosceva quella sana dottrina che avevamo esposta con la Nostra lettera a tutti i Vescovi della Chiesa. Mentre sollecitavamo con preghiere tali dichiarazioni, giunse una lettera dello stesso Lamennais divulgata dai periodici che fatalmente accrebbe il Nostro dolore in quanto egli dimostrava di coltivare apertamente gli stessi precedenti principi che pensavamo avesse rinnegato.
A questi Nostri lamenti si aggiunse subito un altro motivo di dolore, cioè il manualetto intitolato "Il Pellegrino Polacco" (Le Pèlerin Polonais) pieno di temeraria malizia, in cui non può essergli sfuggito quale lungo e violento discorso abbia premesso uno dei suoi più eminenti alunni che l’anno scorso intrattenemmo in colloquio insieme con lo stesso Lamennais. Spiace davvero questo modo di passare in rassegna molte altre questioni che sono ovunque diffuse e Ci inducono ad operare anche ora per riaffermare gli istituti e le decisioni precedenti, e per sapere che altro il Lamennais abbia scritto e pubblicato a stampa da cui certamente si possa evincere in che modo falso e calunnioso sono state propalate tante proposizioni.
Peraltro risulta assai penoso per Noi (e lo ha riconosciuto lo stesso Lamennais) il Nostro dovere di giudicare tutto ciò che interessa la cattolicità, dato che in seguito egli afferma, nella stessa lettera a Noi inviata, che si sarebbe sentito "estraneo" quando si fosse discusso della Chiesa o della Religione. A quale fine tendono questi atteggiamenti, Venerabile Fratello, se non che egli onora la Nostra suprema autorità, ma dimostra anche che non ha ancora ottemperato in proposito al Nostro giudizio e agli insegnamenti da Noi impartiti?
Tutte queste questioni (per tacerne molte altre) suscitarono molesti sospetti in Noi, che fino ad ora abbiamo esaminato la ragione fondamentale di questo tristissimo affare, e accrebbero i motivi per cui quella inquietudine Ci turba profondamente.
Diciamo con gioia la verità: ora Ci infondono ardore e Ci sollevano dall’esitazione a buona speranza la promessa e l’impegno che Lamennais sottoscrive nella sua lettera, di essere pronto a riconoscere, con santa letizia, tutti quegli insegnamenti in forza dei quali possiamo pienamente convincerci della sua filiale obbedienza. Egli chiede infatti che gli si indichino i termini con i quali possa rendere manifesto il suo proposito.
A questa richiesta rispondemmo per iscritto soltanto quanto segue: che egli confermi unicamente e recisamente la dottrina esposta dalla Nostra lettera enciclica in cui si impartiscono "insegnamenti certo non nuovi" (per dirla con Innocenzo I, santissimo Nostro Predecessore) "ma quali sono stati definiti dalla tradizione apostolica e dei Padri"; e che egli in futuro non scriva o non approvi nulla che si scosti da essa. Se renderà questa testimonianza e la confermerà nei fatti, sarà certamente pieno il Nostro gaudio. Confidiamo infatti di vedere finalmente rimossa dalla casa di Israele la pietra dell’offesa e di compiacerci alfine che tutti sono unanimi secondo la scienza che proviene da Dio. Sollecitiamo pertanto la tua religiosità, la tua fede e la tua pietà, Venerabile Fratello, affinché, per quanto eccelli in prudenza, dottrina, grazia e autorità, altrettanto tu cerchi di raggiungere un fine così alto per cui questi Nostri ardenti voti potranno raggiungere esiti favorevoli. Ti designiamo come interprete della Nostra volontà presso quel diletto figlio; Ci aspettiamo da lui questa consolazione, tra tutte la più grata: di poterlo abbracciare con affetto paterno una volta che abbia ascoltato attentamente la voce del Padre amorosissimo, e che sospinga gli altri a credere con grande forza in quelle verità di cui la fede cattolica, la santità dei costumi e la sicurezza dell’ordine pubblico si servono per crescere più felicemente ogni giorno.
In un futuro glorioso ricorderà a se stesso che sono da imitare quali uomini prestanti per dottrina e dignità coloro che "riconoscendo di aver professato qualcosa di discordante dalla verità e dalla giustizia si accostarono volentieri al magistero di Pietro per emendarsi", ben sapendo (per testimonianza di San Leone Magno) che i Romani Pontefici avrebbero loro concesso la grazia della paterna carità, e che Noi neghiamo la stima affinché preparino la manifestazione della verità cattolica.
Frattanto con umile preghiera invochiamo dal Padre della luce, con il patrocinio della Vergine Santissima che di tutti è madre, signora, guida e maestra, perché la tua voce ottenga udienza dal cielo, così che potremo compiacerci che a Noi e alla Chiesa sia stata procurata tanta gioia. E affinché tutto ciò avvenga felicemente, a te, Venerabile Fratello, impartiamo con grande affetto l’Apostolica Benedizione come auspicio della protezione celeste.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 5 ottobre 1833, anno terzo del Nostro Pontificato.