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Leone XIII
Humanae salutis


Gesù Cristo, artefice dell’umana salvezza, quando col suo sangue ci trasse dalla schiavitù e stava per ritornare in cielo presso il Padre, affidò agli Apostoli, che aveva cresciuti alla propria dottrina e resi testimoni di ciò che Egli stesso aveva fatto ed insegnato, l’incarico di riempire il mondo della sapienza celeste. Era infatti necessario, con la volontà e l’aiuto di Dio, salvare tutti gli uomini, i quali non avrebbero potuto essere salvati se non fosse stata data loro la luce della verità. Consapevoli di così grande incarico, arricchiti dalla virtù dello Spirito Santo, essi si recano con grande coraggio nelle varie parti del mondo e dovunque annunciano la sapienza del Vangelo, spingendosi ancor più lontano di quanto si fossero spinte le armi del popolo dominatore delle terre; cosicché fin dai primordi della Chiesa fu valida l’affermazione: "La loro voce risuonò in tutta la terra, e le loro parole fino ai confini del mondo".

È stato tramandato che l’incarico di adempiere l’impegno apostolico nelle vastissime regioni dell’India sia toccato a Tommaso. Come testimoniano gli antichi documenti, dopo l’ascensione di Cristo ai cieli, egli si recò in Etiopia, in Persia, in Ircania, e raggiunse persino, con un percorso irto di difficoltà e fra fatiche pesantissime da sopportare, la Penisola al di là dell’Indo, dove per primo rischiarò quelle genti con la luce della verità cristiana; quindi, resa al sommo Pastore delle anime la testimonianza del proprio sangue, fu chiamato all’eterno premio celeste.

Da quel momento l’India non cessò mai di onorare l’Apostolo che tanta fama si era meritatamente conquistato in quella regione: nei più antichi testi di preghiere liturgiche ed anche in altri documenti delle Chiese di quel territorio, era usanza celebrare lodi al nome di Tommaso, ed anche nei secoli successivi, dopo la stessa luttuosa propagazione dell’errore, mai di lui si perse la memoria; anche se la fede che egli aveva seminata talora giacque tramortita, tuttavia essa non risultò mai rimossa dalle fondamenta. Perciò, sollecitata dal rinnovato impegno dei religiosi, poté espandersi più ampiamente; rigogliosa di egregi esempi di virtù e trascinata dal sangue dei martiri, educò quelle genti riportandole dalla cruenta ferocia all’umanità. In tale periodo, poi, il cristianesimo si diffuse con tanta ampiezza fra gli Indiani, che i figli della Chiesa raggiunsero felicemente, in tutta la penisola, il milione e seicentomila; i sacerdoti vi godono di grande considerazione, la dottrina cattolica viene insegnata nelle scuole con grande libertà, e brilla la fondata speranza che fra quella popolazione gruppi ancora più numerosi si avvicineranno a Gesù Cristo. Pertanto abbiamo deliberato di dare una struttura più definita ed adeguata al mondo cattolico dell’India; esso infatti, nonostante il grande e costante impegno dei Nostri Predecessori, non aveva ancora raggiunto quella organizzazione stabile e regolata che tanto giova a garantire la disciplina della vita cristiana e a generare la salvezza dei popoli.

Ricordando brevissimamente qualcosa del tempo passato, già all’inizio del secolo XIV i nobili discepoli della famiglia Francescana e di quella Domenicana tentarono di trarre dall’oblio l’antica fede; inviati in India per autorevole decisione dei Pontefici romani, essi s’impegnarono soprattutto a correggere le opinioni degli eretici e a rimuovere le superstizioni locali. Quando poi, attraverso il Capo di Buona Speranza, alle popolazioni europee si offerse un passaggio più celere verso le Indie, grazie all’afflusso di religiosi crebbero i salutari frutti. A quel tempo si conquistò meriti speciali la Compagnia di Gesù; fra i migliori si distinse fino al miracolo il grande apostolo delle Indie Francesco Saverio, il quale, avendo sopportato incredibili fatiche ed avendo coraggiosamente vinto enormi pericoli in terra e in mare, quasi come un trionfatore portò la sacrosanta Croce in quelle regioni e ricongiunse a Gesù Cristo, allontanandoli dalla multiforme superstizione, moltissimi uomini, non soltanto sulla costa di Malabar, ma anche in quella di Coromandel, nell’isola di Ceylon, e addirittura nelle più lontane province, fino al Giappone.

Ad una così intensa propagazione del cristianesimo giovò soprattutto, oltre alle costanti cure dei Missionari, l’opera degli illustri re del Portogallo e dell’Algarve; i quali meritatamente furono onorati e lodati dalla Sede Apostolica, perché "grazie al loro impegno fu scoperta una così grande parte della terra, precedentemente ignota all’Europa; e soprattutto perché, attraverso la conoscenza della verità cristiana, essa poté essere unita alla Chiesa di Dio" .

Quando la fede cattolica si diffuse più ampiamente nelle province che i Portoghesi avevano conquistato, sia sulla costa di Malabar, sia in quella di Coromandel, i massimi Pontefici si preoccuparono soprattutto di chiamare sacerdoti da ogni parte, per inviarli ad amministrare i sacramenti in quelle zone, e dar vita a quegli strumenti, pratici e di cultura, che meglio potessero giovare alla formazione dei cristiani. Accresciuta l’ampiezza dei domini portoghesi, nelle stesse colonie vennero fondate nuove Diocesi. Fra queste spicca la diocesi di Goa, che Paolo IV arricchì dell’onore del trono e dei diritti arcivescovili; si affiancano quelle di Cochin e di Cranganore; sulla costa di Coromandel, sorse quella di Meliapora, che Paolo V battezzò come Città di San Tommaso. Ai re del Portogallo e dell’Algarve, che avevano favorito lo sviluppo della cattolicità e specialmente avevano generosamente dotato con fondi loro le diocesi testé ricordate, i Pontefici romani, grati, concessero il giuspatronato delle nuove Sedi episcopali. Tutto quanto era riconosciuto utile per le antiche come per le più recenti aggregazioni cristiane, veniva realizzato con la speranza che in breve la luce del Vangelo avrebbe illuminato per ogni dove le genti dell’Estremo Oriente, e che i benefici che da essa derivano si sarebbero sparsi come un fiume abbondantissimo in tutta la società civile. Ma la sorte ritardò il felice svolgersi di quel ch’era stato intrapreso. Infatti, per una disgraziata sequenza di guerre e di altre vicissitudini, sembrava che un’immane sventura stesse per abbattersi sulla Chiesa che si stava sviluppando nelle Indie. Così, per non interrompere la diffusione del Vangelo e per non mettere a repentaglio la salvezza eterna delle anime di tante migliaia di uomini, i Pontefici romani si preoccuparono attivamente di quei vastissimi regni, in particolare di quelli che non avevano mai fatto parte delle colonie Portoghesi, e si dedicarono con il massimo impegno, proporzionato alla vastità di quella moltitudine, a trasferirvi istituzioni cristiane e a dotarle di quegli strumenti che servono ad educare gli animi e a mantenerli nel rispetto della santa religione, una volta che ne sia stata allontanata la malvagia eresia.

Quanto più la fatica era resa difficile dall’immensa distanza dei luoghi, dall’ampiezza dei territori, dai disagi dei viaggi, con tanta maggior cura i Pontefici vi si dedicarono in spirito di libertà, sia scegliendo gli operai evangelici, sia organizzando la struttura delle Missioni. Nei secoli XVII e XVIII, soprattutto ad opera dei religiosi che la Sacra Congregazione aveva inviato nelle Indie per propagare il verbo cristiano, si costituirono moltissime comunità di cristiani; le diverse lingue di quelle genti furono interpretate dai Missionari; furono redatti libri nel linguaggio dialettale del popolo; gli animi della maggioranza furono intrisi dello spirito dell’istituzione cattolica ed elevati alla speranza dei beni celesti. In quest’attività si distinse l’impegno dei fratelli Carmelitani, Capulatori, Barnabiti ed Oratoriani i quali, non contemporaneamente ma con analoga dedizione e pari costanza, si prodigarono per insegnare a quelle genti i principi cristiani.

Con la creazione di un opportuno sistema di Vescovi si provvide a governare i fedeli e a regolare le Missioni dei sacri operai. I Nostri Precedessori s’impegnarono soprattutto a far sì che i religiosi mantenessero santa ed inviolata la dottrina cristiana in tutta l’India, senza consentire che fosse inquinata da alcun residuo delle superstizioni locali. Per la verità nessuno ignora con quanto impegno si dedicarono a svellere fin dalle radici la zizzania di vane norme e di riti in contrasto con la fede cristiana: zizzania disseminata dal nemico fra quei nuovi germogli di Chiese, e sviluppatasi soprattutto nei regni di Madura, Mysore e Carna. Inoltre essi si dedicarono a dirimere, con l’autorità pontificia, tutte le questioni sorte, su materie fondamentali, tra i Missionari di quelle regioni. Non appena venne a conoscenza di tali problemi, nel 1701 Clemente XI nominò Carlo Tommaso Tournon, Patriarca di Antiochia con potere di Legato a latere, Commissario e Visitatore Apostolico delle Indie Orientali. Clemente XI corroborò con la propria autorità i saggi decreti del Tournon, che Innocenzo XIII, Benedetto XIII e Clemente XII solennemente confermarono, affinché fossero diligentemente osservati. Poi benedetto XIV con la pubblicazione della Costituzione Omnium sollicitudinum , rimosse le cause dei dubbi e, aggiunte opportune spiegazioni, risolse la controversia che era stata aspramente combattuta per quasi mezzo secolo.

Parecchio più tardi, mentre i Pontefici romani si preoccupavano soprattutto del bene delle Indie, la tranquillità della Chiesa fu sconvolta dalle turbolente vicende d’Europa. Tali disordini impedirono l’incremento della fede anche fra gli Indiani. Per di più, nelle province australi della penisola s’aggiunse un’altra grave piaga, per colpa del tiranno Tipou Sahib, che vessò in molti modi la religione cattolica. Nonostante in seguito i Missionari si fossero dati proficuamente da fare a favore della religione cristiana, tuttavia Gregorio XVI, affrontando con coraggio e riflessione l’intero problema, affermò che "quei territori, per le diverse caratteristiche dei tempi, avevano bisogno che la Sede Apostolica andasse in soccorso della religione, colà messa a rischio, e che organizzasse il sistema ecclesiastico in modo tale da corrispondere all’esigenza di mantenere integra la fede" . Affrontando subito il tema, egli prese per i cristiani dell’India molte decisioni salutari, particolarmente utili a sviluppare la religione in quei paesi. Quando scoppiò un funesto dissidio che sembrava volgere al peggio, Pio IX, con il fedelissimo re Pietro, dedicò più volte le cure della Sede Apostolica (sempre rivolte al bene comune, ma che molti interpretavano diversamente) per individuare insieme gli interventi idonei a risolvere il problema. Così nel 1857 fu raggiunta una convenzione; tuttavia diversi ostacoli si frapposero all’attuazione delle condizioni fissate.

Quando poi, per la somma benignità di Dio, Noi assumemmo il governo della Chiesa, riflettendo con la massima attenzione su questo problema, abbiamo scritto ai ministri del regno Lusitano, perché affrontassero nuovamente la materia con Noi e non si rifiutassero di stendere le nuove condizioni che i tempi avevano suggerito. Quando essi si sono dichiarati d’accordo, abbiamo esposto il Nostro disegno in una lettera inviata il 6 gennaio di quest’anno al diletto Nostro Figlio re Ludovico; accertato il suo senso di giustizia, unito all’impegno per la pace, abbiamo concluso una formale convenzione sottoscrivendo congiuntamente molti utili accordi che, com’è consuetudine, sono stati scambiati per lettera . In primo luogo viene definito secondo un criterio equo il giuspatronato dei re di Lusitania; l’Arcivescovado di Goa viene arricchito della dignità patriarcale, mentre alle sue Diocesi designate come suffraganee vengono riconosciuti altri diritti. Inoltre viene stabilito che i governatori della Lusitania assegnino pubblicamente una rendita alle Diocesi sopra citate, a sostegno dei Canonici, del Clero e dei Seminari; inoltre, insieme ai Vescovi, s’impegneranno ad assicurare scuole per i bambini e case protette per gli orfani, e a dar vita ad altre pie istituzioni che risultino utili per la salvezza dei cristiani e per la rimozione della superstizione degli indigeni.

Poiché, con queste premesse, a buon diritto confidiamo che la concordia degli animi si manterrà serena e salda fra i popoli cristiani dell’India, riteniamo che sia venuto il momento di strutturare tutto l’apparato cattolico nella penisola al di qua del Gange, affinché le genti che colà salgono il monte preparato come casa del Signore sentano i benefici di un regime stabile e ben ordinato.

Il territorio settentrionale dell’India forma tre Vicariati – poiché l’originaria Missione Indostana fu divisa in due da Gregorio XVI nell’anno 1845 , e recentemente Noi l’abbiamo divisa in tre – e abbraccia Agra, Patna e Punjab, considerate separate come regioni ecclesiastiche. La prima comprende il vecchio territorio, eccetto le parti assegnate alle altre. La seconda comprende le regioni chiamate Nepal Behar, la piccola provincia di Sikkim, l’antico regno di Ayadhya, il Bundelkand e gli altri principati confinanti. La terza comprende la regione del Punjab, alla quale in seguito è stato aggiunto il regno del Cashmire.

A queste regioni è subordinata, vicina al fiume Indo, la Missione di Bombay, che nel 1854 Pio IX divise in due parti, staccando la regione australe – ossia quella di Poona – dalla boreale. Quest’ultima, oltre alle isole di Bombay e Salsette, conta le province e i regni di Broak, Ahmedabad, Baroda, Guzerate, Marwar, Catch, Sindhi, Beluchistan, fino a Kabul e al Punjab. La regione australe riunisce i regni e le province di Konkàn, Kandeish e Dekkan, fino ai confini con i regni di Nizam, di Maissour e del Kanarak settentrionale, esclusi (sia dall’una sia dall’altra) i territori e le province recentemente attribuiti all’Arcidiocesi di Goa e all’Arcidiocesi di Daman, detta anche di Cranganore. Lungo la costa di Kanarak e Malabar, oltre all’Arcidiocesi di Goa ci sono tre Vicariati, situati fra i monti Ghates e il mare occidentale, e precisamente: quello del Mangalore, separato nel 1853 da quello Verapolitano o Malabarico , che si estende nella provincia di Kanarak fino al fiume Ponany; quello Verapolitano, dal fiume stesso fino ai confini della Diocesi di Cochin da Noi recentemente ricostituita, e quello di Quilon, che si estende dai confini meridionali della predetta Diocesi fino al promontorio Comorino, con l’eccezione delle parrocchie assegnate alla Diocesi di Cochin.

Alla parte orientale della penisola appartengono dieci Missioni. Nel Golfo del Bengala, tre sorgono sulla foce del fiume Gange; poi ci sono il Vicariato occidentale, che ha sede nella città di Calcutta, e quello orientale, entrambi derivati, nel 1850 dall’unico Vicariato del Bengala . Quelli che furono dichiarati appartenenti alla giurisdizione del Vescovo di Meliapore sono da togliere dal numero dei sudditi di entrambi i Vicariati. Ad essi si aggiunge, nel centro della provincia civile del Bengala, la Prefettura Apostolica, fondata nel 1855. Confinante con il Vicariato occidentale del Bengala c’è la vastissima Missione chiamata di Vizagapatam, che comprende tutto il territorio tra i confini del Vicariato di Bombay ed il mare del Bengala, fino al fiume Godavery, e che nel 1850 fu separata dalla Missione di Madras . La vicina Missione è quella di Hyderabad, che si estende attraverso il regno di Nizam e la provincia di Masulip verso il fiume Krichna; su designazione di Gregorio XVI nel 1851 essa fu eretta alla dignità di Vicariato .

Nella regione di Coromandel la principale città è Madras, che ottenne fin dal 1834 il Vicario Apostolico, con giurisdizione dal fiume Krichna a Palar, tra il confine della Missione di Bombay e il mare, con esclusione del territorio che di recente Noi abbiamo assegnato alla Diocesi di Meliapore. L’antico Vicariato del territorio di Coromandel, verso i confini meridionali, nel 1850 fu diviso in tre Missioni , e cioè quella di Pondicherry, tra il fiume Palar a nord ed il fiume Cavery a sud; quella di Mayssour, nella parte occidentale della regione, comprendente il regno di questo nome e le province di Coorg, Colegal, una parte di Winad e Salem; infine, quella di Coimbatour, che si stende tra le missioni di Verapoli, Mangalore e Madura ad est dei Monti Ghates. Nell’estremo sud della penisola si estende la Missione di Madura, delimitata dal mare di Coromandel, dai monti Ghates e dai fiumi Cavery e Vettar, con l’eccezione di quei territori che abbiamo assegnato al Vescovo di Meliapore; Gregorio XVI costituì anch’essa in Vicariato nel 1846, pochi giorni prima di morire .

L’isola di Ceylon è divisa in tre Vicariati: quello di Colombo, quello di Jaffnen e quello di Kandyen. Dei tre responsabili di essi – in sostituzione dell’unico che c’era prima – due furono designati da Pio IX nel 1849: uno per le province occidentale e meridionale, l’altro per i restanti territori dell’isola; il terzo fu nominato da Noi nel 1883, dopo aver separato dagli altri il territorio centrale dell’isola .

Poiché dunque in tutte le Missioni dell’India che abbiamo ricordate, grazie all’impegno e alla fatica dei messaggeri del Vangelo il cristianesimo è così sviluppato che non solo si può invocare in piena libertà il nome del Nostro Salvatore, ma si contano molte Chiese che si avvalgono sapientemente e utilmente di molte istituzioni, in primo luogo Noi ringraziamo vivamente Dio ottimo massimo per aver donato tanta prosperità alla cattolicità. Poscia, poiché dai Nostri Predecessori è stata sommamente desiderata la costituzione della gerarchia ecclesiastica in India e nell’Isola di Ceylon, Noi ci apprestiamo a fare ciò. Con l’aiuto di Dio confidiamo che da questa deliberazione discenderanno molti e rilevanti beni, in particolare l’aumento della concordia e della carità; l’omologazione e la saldezza della disciplina, un più stretto rapporto dei popoli con i Vescovi e massimamente con il Pontefice romano; una più celere diffusione del cattolicesimo, insieme ad un più ampio rispetto delle virtù cristiane.

Chiesto il parere – come l’importanza della materia esigeva – del sacro Consiglio dei Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa preposti alla diffusione del cristianesimo; elevate preghiere, nell’umiltà del Nostro cuore, a Dio onnipotente; implorata la protezione dell’Immacolata Madre di Dio, dei santi Apostoli Pietro e Paolo, di San Tommaso Apostolo e di San Francesco Saverio, che un tempo portarono tra quelle genti la luce del Vangelo e che ancor oggi le difendono e proteggono con il patrocinio celeste; motu proprio, con certa scienza e Nostra matura deliberazione, nella pienezza della potestà Apostolica, a maggior gloria del nome di Dio e ad incremento della fede cattolica, con l’autorità di questa Lettera istituiamo in tutte le Missioni delle Indie orientali la gerarchia episcopale, secondo quanto fissato dalle leggi canoniche.

Inoltre, fedeli al tracciato dei Nostri Predecessori, che eressero dapprima l’Arcidiocesi di Goa e le attribuirono come suffraganee le sedi di Cochin, Meliapore e Cranganore, sulla base delle motivazioni espresse nella convenzione recentemente firmata con l’illustre e fedelissimo re del Portogallo e dell’Algarve, confermiamo nuovamente e ribadiamo che le stesse debbono costituire un’unica provincia ecclesiastica.

Inoltre, con la Nostra autorità Apostolica, ai sensi della presente deliberiamo che i Vicariati Apostolici di tutta la penisola e dell’isola di Ceylon, così come sopra descritti, oltre che la Prefettura situata nel centro della provincia del Bengala, vengano eretti in Chiese Episcopali.

Tra le nuove Diocesi, quelle che seguono – e precisamente le Chiese di Agraen, Bombay, Verapoli, Calcutta, Madras, Pondicherry e Colombo – eleviamo all’onore della dignità arcivescovile. Per quanto riguarda la designazione di Chiese provinciali o suffraganee, spetta del tutto a Noi stabilire ciò che sembrerà più opportuno.

I singoli Arcivescovi e Vescovi riferiranno a tempo debito sullo stato della propria Chiesa alla Nostra Congregazione di Propaganda Fide, la quale anche in futuro si occuperà specificamente, come ha fatto finora, di tali regioni, e verrà tenuta al corrente di tutto ciò che i Responsabili religiosi proporranno in relazione al loro ruolo.

L’Arcivescovo di Goa ed i suoi Vescovi Suffraganei riferiranno dello stato delle chiese alla Sacra Congregazione per gli affari straordinari della Chiesa. Essi stessi si preoccuperanno di dar vita ad istituzioni pie e di assistenza, come previsto dalla ricordata convenzione, e di proteggere ed ampliare con ogni mezzo la fede cattolica, ciascuno nella propria giurisdizione.

Resta integro per tutti i Vescovi dell’India decidere le cose che, secondo il diritto comune e secondo i tempi, possono realizzare, nonché tutte quelle cose che sono permesse all’autorità dei Vescovi secondo la disciplina della Chiesa. Noi e questa Sede Apostolica saremo vicini ai Vescovi nello svolgimento dei loro compiti con l’impegno, con l’autorità, con il consiglio e con quanto sembri razionalmente utile ed opportuno per la salvezza delle anime.

Inoltre esortiamo vivamente il Clero e tutto il popolo a mantenersi concordi e a servire senza tentennamenti la carità, contenti ed operosi nell’obbedire, in ogni atto della vita, ai Vescovi ed in particolare a questa Sede Apostolica; così ornati ed arricchiti di virtù cristiane, contribuiscano a far sì che coloro che ancora miseramente sono lontani dalla verità li prendano ad esempio verso la meravigliosa luce ed il regno di Cristo.

Infine deliberiamo che questa Nostra Lettera non possa mai essere contraddetta od impugnata per surrezione od orrezione, ovvero per difetto della Nostra intenzione o per qualunque altro motivo; che rimanga sempre valida e vigente; che mantenga presso tutti il suo effetto e debba essere rigorosamente osservata, nonostante quanto deciso nei Concilii Apostolici, Sinodali, Provinciali ed universali, con sanzioni generali o speciali, e quant’altro contrario, anche se degno di particolare menzione. A tutto ciò che osta a quanto sopra detto, Noi espressamente deroghiamo. Dichiariamo irrito e nullo ciò che chiunque, con qualunque autorità, scientemente o per ignoranza, volesse compiere contro queste decisioni. Vogliamo inoltre che le copie di questa Lettera, anche a stampa, sottoscritte di pugno di un pubblico Notaio e munite del sigillo di persona investita di dignità ecclesiastica, vengano tenute nella stessa considerazione che avrebbe questo documento se venisse mostrato, in quanto espressione della Nostra volontà.

A nessuno sia dunque lecito distruggere questa pagina della Nostra erezione, costituzione, istituzione, restituzione, dismembrazione, soppressione, assegnazione, aggiunta, attribuzione, decreto, mandato e volontà; ovvero temerariamente disobbedirle. Se qualcuno avrà osato farlo, sappia che incorrerà nell’ira dell’onnipotente Iddio e dei Suoi beati Apostoli Pietro e Paolo.

Dato a Roma, presso San Pietro, il primo settembre dell’anno dell’Incarnazione 1886, anno nono del Nostro Pontificato.