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Leone XIII
Iampridem nobis


Già da tempo pensavamo di parlarvi, Venerabili Fratelli, per conferire con voi circa le presenti condizioni del cattolicesimo in Germania. Desideravamo vivamente attestarvi in special modo la grande paterna carità e lo zelo con i quali abbracciamo voi e i vostri diletti figli; e nel tempo stesso congratularci con voi per la chiara apostolica sollecitudine con la quale vi vedemmo animati e infiammati, voi tutti, Venerabili Fratelli, nei confronti del vostro gregge. Specialmente intendiamo dire delle cure che sempre adoperaste affinché i cattolici affidati alla vostra fede giammai tollerassero di essere distolti dalla virtù, dalla pietà e dalla via della salvezza.

Massimamente Ci stava a cuore manifestarvi il conforto e il piacere da Noi provati tanto per la tenace volontà con cui tutti i cattolici di Germania sono fedeli a voi ed obbediscono alle vostre parole, come per la disciplina e la concordia che ogni giorno più vigoreggiano in mezzo ad essi. Ciò che prima non fu possibile, Ci piace fare ora con questa lettera che vi mandiamo con buona speranza che, per beneficio della Provvidenza divina, rifulga presto il giorno che arrechi alla religione ed alla Chiesa in Germania il lieto inizio di cose migliori.

Nessuno di voi, Venerabili Fratelli, ignora che la mutua concordia, la quale per non breve spazio d’anni aveva felicemente regnato fra quest’Apostolica Sede ed il Regno di Prussia, sia andata incontro improvvisamente a gravi turbamenti, soprattutto per le leggi per le quali i cittadini cattolici si trovarono in grave pericolo e preoccupazione.

Ma questa calamità, che addolorò moltissimo il Nostro Predecessore Pio IX di felice memoria e Noi stessi, porse occasione, così disponendo Iddio, per far rifulgere maggiormente la virtù dei Pastori e dei fedeli di Germania, e la loro costanza nell’avita fede. Tale virtù e costanza tanto più sono degne di maggior lode in quanto essi, mentre operavano valorosamente a tutelare la causa della Chiesa mai si allontanarono dalla fedeltà e dall’ossequio dovuti alla maestà del Principe, mai dalla carità di patria; e con ciò appunto mostravano ai loro avversari di non essere mossi da rispetto dei diritti civili, ma unicamente da zelo di quella religione che comanda di ritenere santa ed inviolabile l’opera di Dio.

Pertanto avvenne che lo stesso supremo autore e rimuneratore dei meriti, Iddio, sparse gli amplissimi doni della sua bontà e delle sue grazie non solo su voi, Venerabili Fratelli, ma anche su tutto il popolo delle vostre Diocesi. Infatti, col suo favore, quantunque, a cagione delle nuove leggi, diminuisse di giorno in giorno tra i fedeli di Prussia il numero dei sacerdoti, e mancasse in più chiese chi amministrasse i sacramenti ai fedeli; quantunque uomini ingannatori, assunto il nome di vecchi cattolici, seminando nuove e prave dottrine, si sforzassero di trarsi dietro proseliti fraudolentemente ingannati, nondimeno, con gran gaudio vedemmo i diletti figli cattolici della Germania mantenere integra e salda la fede dei Padri, né mai cedere alle insidie dei maestri di nequizia, ma vincere i pericoli con la magnanimità cristiana, e muoversi con tanta maggior cura a vantaggio della Chiesa, quanto più la vedevano oppressa da aspre difficoltà.

Per queste cose di grande virtù e di gloria sentimmo lenirci il dolore da Noi provato per dette leggi, e con devoto affetto del cuore innalzammo lodi e ringraziamenti a Dio, che quel vigore miracolosamente aveva infuso nell’animo dei suoi figli; e, offertasi l’occasione, non potemmo tralasciare di onorare con pubblico elogio ben meritato la vostra virtù e quella di codeste genti cattoliche.

Ma per il Nostro ministero apostolico, per il quale dobbiamo vigilare affinché lo stato della Chiesa non soffra detrimento di sorta, e la intima vita della Chiesa stessa non sia esposta a perturbazione alcuna, non era sufficiente tutto ciò se non avessimo usato tutta la Nostra autorità e il Nostro zelo per rimuovere le difficoltà dei tempi odierni.

Perciò non risparmiammo cura alcuna, nessun ufficio tralasciammo affinché fossero revocate quelle leggi, le quali produssero alla Chiesa tante e così lunghe angustie, e a voi tante sofferenze. Tanto fu il Nostro impegno – ed ancora Ci sta nell’animo – di restaurare sopra solidi fondamenti la concordia e la pace, che non tralasciammo di dichiarare ai supremi Moderatori della cosa pubblica che era Nostra intenzione aderire benevoli al loro volere, fino al limite concesso e dalle leggi divine e dai doveri della coscienza. Ed anzi, non esitammo a rendere manifesto questo Nostro proposito con chiari argomenti, e siamo decisi per l’avvenire a nulla omettere di quanto appaia utile per restaurare e consolidare la concordia.

Ma, affinché quello che coi voti e con la speranza Nostra perseguiamo giunga al termine auspicato, è precipuamente da curare che tutto quanto delle leggi pubbliche è contrario alle ragioni della disciplina cattolica si muti in ciò che è più santo ed importante per la pietà dei fedeli; come pure tutto ciò che impedisce la libertà dei Vescovi nel reggere le proprie Chiese secondo le norme divinamente costituite, o nell’educare la gioventù dei sacri Seminari ai precetti delle disposizioni canoniche. Infatti, quantunque Ci stia molto a cuore la pace, tuttavia non Ci è lecito osare alcunché contro quelle cose che per virtù divina furono costituite e sancite: per esse, invero, se fosse necessario, per proteggerle non esiteremmo, sull’esempio dei Nostri Predecessori, a prendere qualunque estrema misura.

Quanto a voi, Venerabili Fratelli, non ignorate quale sia l’intima natura della Chiesa, e quale l’abbia costituita il suo divino fondatore, quali diritti ne scaturiscano, la cui forza a nessuno è lecito scuotere e disconoscere. In effetti, come Noi stessi con la Nostra lettera enciclica Immortale Dei testé dichiarammo, la Chiesa è una società soprannaturale e perfetta nel suo ordine. Infatti, come essa si propone di condurre i suoi figli all’eterna beatitudine, così ha ricevuto da Dio i presidii e gli strumenti con i quali farli, fin da ora, partecipi dei beni eterni, iniziando sulla terra e nelle lotte di questa vita l’edificio che avrà il suo ultimo coronamento e il suo supremo splendore in cielo. Alla sola Chiesa spetta stabilire quelle cose che riguardano la sua vita interiore, la cui ragione fu costituita da Cristo Signore, restauratore della nostra salvezza.

Cristo comandò che questa potestà, libera ed a nessuno soggetta, fosse presso il solo Pietro, e presso i Successori di lui, e – sotto l’autorità e il magistero di Pietro – presso i Vescovi nelle loro rispettive Chiese; la quale potestà dei Vescovi, per sua natura abbraccia principalmente la disciplina del Clero, tanto in quelle cose che si riferiscono ai sacri doveri, come in quelle che riguardano la regola della vita sacerdotale: "Infatti il sacerdozio è unito al Vescovo come le corde alla cetra" .

Ma come l’ordine sacerdotale, erede di così sublime ministero, si rinnova nei successori, nel corso dei secoli, senza mai degenerare, è necessario che coloro che sono chiamati a questo ordine seguano il più possibile, per sincerità di dottrina e per santità di vita, le orme di coloro che Cristo elesse come primi seminatori della fede; nessuno può dubitare che altri abbiano il diritto ed il dovere di istruire ed educare i giovani se non i Vescovi che Dio, per singolare beneficio, innalza fra gli uomini affinché siano suoi ministri e dispensatori dei suoi misteri.

Certamente, se gli uomini debbono ricevere l’insegnamento della religione da coloro ai quali fu detto "ammaestrate tutte le genti", con quanto maggior diritto spetta ai Vescovi la cura di offrire (a quelli che per il loro ministero saranno sale della terra ed ambasciatori di Cristo presso gli uomini) quei pascoli di sana dottrina che avranno giudicata migliore, mercé l’aiuto d’insegnanti da essi approvati? Né soltanto da questo gravissimo dovere sono vincolati i Vescovi, ma da quello, oltre a ciò, di vigilare sul bene degli alunni del sacro Ordine, e di permearli dei sensi di salda pietà, senza la quale né essi sono degni dell’onore sacerdotale, né possono essere capaci di compiere rettamente i loro doveri.

Voi senza dubbio, Venerabili Fratelli, edotti dalla ragione e dall’esperienza, pienamente conoscete quanto sia ardua, di quanto diuturno lavoro necessiti l’impresa di foggiare ed educare tali giovani.

Infatti, coloro che fin dai primi anni elessero Dio quale proprio erede, sono tenuti, secondo l’insegnamento del Principe degli Apostoli, a mostrarsi agli occhi del popolo cristiano come modello vivente di virtù e di continenza. Occorre che essi imparino presto, sotto il magistero dei Vescovi e sotto la disciplina di scelti maestri, a dominare le proprie cupidigie, a disprezzare le cose terrene e a desiderare quelle celesti affinché, infiammati dalla meditazione e dall’amore delle medesime, possano più facilmente conservarsi casti e puri fra le depravazioni del mondo. Oltre a ciò, è opportuno che presto si abituino ad avere costante ed impavido animo nello spiegare ai popoli e nel difendere la verità cattolica, che il mondo disprezza e perseguita con odio implacabile.

E invero, Venerabili Fratelli, cosa sarebbe da attendersi se, in tempi che richiedono più fiera battaglia per difendere la causa della Chiesa, gli uomini del sacerdozio, con l’aiuto della santa disciplina e della carità, non fossero tempestivamente preparati e uniti con fede ai propri Vescovi, così da accoglierne i dettami e da non vergognarsi di sopportare le asprezze nel nome di Gesù Cristo? Certamente la disciplina dei giovani anni, che viene impartita nei Seminari e negli altri Istituti ecclesiastici, è tale che gli alunni per il sacerdozio si formano al ministero apostolico lontano dall’attaccamento agli interessi umani, e a sostenere lietamente tutte le difficoltà della vita ed ogni genere di travagli per la salvezza delle anime. Ciò che conta è che (sotto la vigilanza e la direzione dei Vescovi e dei sacerdoti scelti da essi, onorandi per lungo esercizio di sacra disciplina) gli alunni imparino giustamente a misurare le proprie forze, e conoscano quanto esse valgano; e i Pastori, a loro volta, conosciute le attitudini e i costumi di ciascuno, possano consapevolmente giudicare quali fra essi siano degni dell’onore sacerdotale, e fare in modo che qualcuno non sia iniziato ai sacri ordini immeritatamente o malaccortamente. Come mai potranno aversi così salutari frutti se non sarà data piena facoltà ai sacri Pastori di rimuovere gli ostacoli e di giovarsi a tal fine degli opportuni aiuti? In proposito, poiché gli uomini della vostra nazione eccellono oltre che per altri titoli anche nella gloria delle armi, i vostri governanti sopporterebbero che i giovani, che ricevono negli Istituti militari i rudimenti della milizia per guidare le schiere e per esercitare i loro compiti, imparassero da altri, piuttosto che dai provetti nell’arte della guerra, la scienza delle armi, e da altri, piuttosto che dai più idonei maestri della milizia, apprendessero la disciplina degli accampamenti, l’uso delle cose e gli spiriti marziali?

Da ciò si comprende agevolmente perché, fin dai più antichi tempi della Chiesa, i Pontefici Romani ed i Vescovi cattolici abbiano posto ogni cura a costituire, per i candidati al sacerdozio, dei Collegi nei quali essi stessi, o per mezzo di provati maestri (che talora sceglievano fra i sacerdoti della Chiesa Cattedrale) istruissero i giovani nelle lettere, nelle più severe dottrine, e principalmente nei costumi degni della loro vocazione. Anche oggi sono ricordate le case aperte un tempo dai Vescovi e dai monaci per accogliere i chierici, e fra esse tuttora vive la chiara fama del Patriarcato Lateranense, dal quale, come da rocca di sapienza e di virtù, uscirono Pontefici Massimi e Vescovi illustri per santità di vita e di dottrina. E tanto importante e tanto necessario fu giudicato questo impegno per un’accurata e diligente preparazione dei chierici, che già fin dall’inizio del secolo VI il Sinodo di Toledo, "riferendosi a coloro che la volontà dei genitori dai primi anni destinava all’ecclesiastico ufficio", stabiliva "che, appena tonsurati od affidati al ministero dei lettori, nella casa della Chiesa, dovessero venire istruiti dal loro superiore sotto la guida del Vescovo". Da ciò emerge per quanto grave e giusta causa caldamente lavoriamo affinché i Seminari delle vostre Diocesi vengano costituiti, ordinati e composti secondo quelle norme che i Padri del Concilio Tridentino, com’è noto a tutti, tramandarono.

Né certo per altro motivo la Sede Apostolica, essendosi fra i Pontefici Romani ed i Capi degli Stati, secondo i diversi momenti storici, stabiliti speciali concordati, in questi volle bene chiarito ed assicurato quanto concerneva i Seminari, e volle che fosse intatto e sicuro il diritto dei Vescovi nel governarli, escluso qualunque altro potere.

Un significativo documento in proposito porge, fra gli altri, la Lettera Apostolica che comincia De salute animarum, la quale fu pubblicata dal Nostro Predecessore Pio VII di felice memoria il 18 luglio 1821 in occasione del concordato stipulato da lui stesso con il Re di Prussia e in cui si trattava della nuova circoscrizione delle Diocesi. Siano dunque completamente liberi il diritto e il potere dei Vescovi di svolgere l’opera loro per educare la mansueta milizia di Cristo nella palestra dei Seminari; siano liberi i Vescovi di designare, a loro giudizio, i sacerdoti per i vari uffici, e da nessun ostacolo siano impediti di compiere tranquillamente il loro ministero pastorale.

Dalle cose dette vedete, Venerabili Fratelli, quanto fosse conforme a verità e giustizia quello che Noi dichiarammo: cioè che per stabilire la fausta concordia fra le due potestà, invocata con tanti voti, occorre che le leggi siano sancite in modo che la libertà necessaria alla vita ed all’azione della Chiesa ne resti salva. E Noi confidiamo che i pubblici governanti opereranno con giustizia per la Nostra causa e Ci concederanno quanto, in virtù di diritti santissimi, domandiamo.

Né invero le Nostre domande sono tali che, acconsentendo alle stesse, qualche governante sacrifichi qualche cosa della sua dignità e del suo potere, ché anzi da esse scaturiscono grandi vantaggi e duraturi per il pubblico bene. Infatti, quegli insegnamenti che da voi, Venerabili Fratelli, e dai vostri cooperatori nel ministero della parola si tramandano ai popoli in quelle cose che riguardano i loro doveri verso l’autorità civile, si riducono a questo: ogni uomo deve essere soggetto a poteri superiori: "non solo per timore di castighi, ma anche per propria coscienza" (Rm 13,5); deve con pacato animo sopportare i pubblici oneri; deve astenersi da complotti e sedizioni; deve vivere in vicendevole scambio di fraterno affetto, e assolvere fedelmente i mutui doveri nella società umana. Ché, se maggiore di quello che oggi non sia diventasse il numero dei cooperatori vostri, per questo incremento si aggiungerebbe aiuto a coloro che hanno il compito di propagare nel popolo così salutari insegnamenti; al tempo stesso si potrebbero più facilmente affidare alla cura di rispettabili sacerdoti le Chiese parrocchiali prive da tanto tempo del conforto dei loro Pastori; il che dai voti dei cattolici è chiesto ardentemente.

Oltre a ciò, come sapete, Venerabili Fratelli, in seno alla società umana sono molti i semi di pubbliche perturbazioni, come fiamme pronte qua e là a minacciare un terribile incendio; fra essi, precipua è la questione operaia che tiene inquieti gli animi dei governanti, i quali cercano il modo di ovviare agli imminenti pericoli e di impedire la via ai seguaci delle sette, che spiano ogni occasione per aumentare mercé le pubbliche calamità, e per tramare nuove cose con gran detrimento della società. E davvero è mirabile quanto possano anche in ciò, con l’opera loro, i ministri della Chiesa ben meritare dell’umana società: il che sappiamo essere avvenuto nelle tempeste e nelle calamità di altri tempi. Infatti i sacerdoti che, per ragione del loro ministero, quasi ogni giorno hanno contatti con uomini delle classi inferiori e con essi sogliono familiarmente e intimamente conversare, conoscono bene addentro i travagli e i dolori di quella parte del genere umano; e, traendo opportuni aiuti e ammaestramenti dalle fonti della divina religione, sono idonei ad arrecare agli animi infermi quei sollievi e quei rimedi che in sommo grado possono lenire i presenti mali, risollevare le forze affrante e frenare gli animi inclini a turbolenti disordini.

Né minore opera valida ed utile possono dare gli ecclesiastici, permeati di quello spirito che la Chiesa conferisce ai suoi ministri, in quelle regioni lontane e remote da ogni civiltà, nelle quali in questi tempi molti Principi d’Europa hanno fondato delle colonie. Gli stessi Governanti della Germania non solo si curano di stabilire le colonie e di ampliare i possedimenti, ma anche di aprire nuovi sbocchi alle industrie ed ai commerci. Gli stessi bene meriteranno della civiltà anche sotto questo rapporto, se si adopereranno con arti e metodi urbani a civilizzare le tribù barbare e selvagge. Ma per accattivarsi gli animi e le volontà delle genti rozze ed incolte, occorre istruire queste coi salutari precetti della religione, guidarle a conoscere la vera bellezza del giusto e dell’onesto e renderle consapevoli della dignità di figli di Dio, alla quale anch’esse, per i meriti del nostro Redentore, sono state chiamate.

I Romani Pontefici, avendo a cuore soprattutto tali cose, si curarono con ogni diligenza e costanza di mandare agli incolti popoli i banditori del Vangelo. Certamente l’opera della quale parliamo non è compito né di eserciti, né di magistrati civili, né di dominatori, quantunque essi ne traggano abbondantissimo frutto; ma è compito, come attesta la storia, di quegli uomini che, uscendo dagli accampamenti della Chiesa, assumono sopra di sé i travagli ed i pericoli delle sacre spedizioni, e, come nunzi ed interpreti di Dio, non paventano di peregrinare in mezzo a barbare genti, pronti a dare di buon animo, per la salvezza dei fratelli, la vita e il sangue.

Pensando ed esaminando tutte queste cose siamo portati a sperare che, con l’ispirazione e col favore di Dio, i Nostri voti possano approdare all’esito desiderato. Quanto a voi, Venerabili Fratelli, con continue preghiere sforzatevi d’implorare Iddio. Siccome i vostri animi non sono mossi da cupidigie o da ambizioni umane, ma unicamente dallo zelo per la divina gloria e dall’amore verso la Chiesa, non è da dubitare che, col favore della grazia divina, riporterete la degna mercede della vostra costanza.

E poiché in tutte le imprese, per ottenerne un felice esito, fu sempre fondamentale la forza dell’unione degli animi e della mutua carità, niente vi sia più caro che tutelare con ogni cura il santo vincolo della carità fra voi. A questo proposito, Venerabili Fratelli, vogliamo che ponderiate che le perturbazioni alle quali siete esposti, non riguardano soltanto le singole Diocesi quanto le comuni ragioni della Chiesa universale; la tutela di esse, come sapete, fu affidata a questa Sede Apostolica, nella quale furono costituiti la suprema potestà di reggere la Chiesa, il suo supremo magistero e il centro dell’unità cattolica. Pertanto, a questa Cattedra Apostolica siano sempre rivolti i vostri occhi, e siate persuasi che nulla è più importante che prestare ogni cura ed ogni opera affinché alle controversie , che esistono in codesta regione, sia posto finalmente un termine, proprio come voi e i vostri fedeli desiderate.

Infine, invocando dall’intimo del cuore il Padre delle misericordie affinché guardi i travagli e i dolori vostri, e accondiscenda propizio ai comuni voti, come attestato della Nostra somma dilezione, ed auspice dell’aiuto e del conforto celeste, a voi, Venerabili Fratelli, a tutto il Clero e ai fedeli affidati alla fede di ciascuno di voi, amantissimamente nel Signore impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 6 gennaio 1886, anno ottavo del Nostro Pontificato.