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Leone XIII
Quam aeruminosa


Quanto infelice e sventurata sia la condizione di coloro che ogni anno emigrano in massa dall’Italia verso le regioni dell’America per cercare mezzi di sussistenza, è così noto a voi che non è il caso di insistervi da parte Nostra. Anzi, voi vedete da vicino i mali da cui essi sono oppressi e che sono stati da molti di voi ricordati con dolore in frequenti lettere a Noi inviate. È deplorevole che tanti miseri cittadini italiani, costretti dalla povertà a mutar patria, incorrano spesso in angustie più gravi di quelle cui vollero sfuggire. E spesso alle fatiche di vario genere in cui si logora la vita del corpo, si aggiunge la rovina delle anime, assai più funesta. La stessa prima traversata degli emigranti è piena di pericoli e di sofferenze; molti infatti s’imbattono in uomini avidi, di cui diventano quasi schiavi e, stivati come mandrie nelle navi, e trattati in modo disumano, sono lentamente spinti alla degradazione della loro stessa natura. Quando poi approdano nei porti previsti, ignari della lingua e dell’ambiente, vengono addetti al lavoro quotidiano e si trovano esposti alle insidie degli speculatori e dei potenti a cui si erano sottomessi. Coloro poi che con il proprio spirito d’iniziativa riuscirono a procacciarsi quanto basta al proprio sostentamento, vivendo tuttavia tra chi non pensa ad altro che al bisogno e al vantaggio proprio, abbandonano a poco a poco i nobili sensi dell’umana natura e imparano a condurre la stessa vita di chi ha orientato tutte le speranze e tutti i progetti verso la terra. Da qui derivano spesso gli stimoli della cupidigia e gl’inganni delle sette, che costì di soppiatto assalgono la religiosità indifesa e trascinano molti sulla via che conduce alla perdizione.

Tra questi mali, certo il più luttuoso consiste nel fatto che, in mezzo ad una così grande moltitudine di uomini, in tanta vastità di territori, e in difficili condizioni ambientali, non è facile che gli emigranti si trovino vicina come sarebbe giusto, la salutare assistenza dei ministri di Dio, i quali, conoscendo la lingua italiana, possano trasmettere loro la parola di vita, somministrare i sacramenti, recare quegli opportuni soccorsi dai quali la loro anima sia elevata alla speranza dei beni celesti e la loro vita spirituale sia sostenuta e fortificata. Perciò in tanti luoghi sono molto rari coloro che, in punto di morte, siano assistiti da un sacerdote; non sono rari i neonati a cui manca il sacerdote che infonda il lavacro rigeneratore; sono molti che contraggono matrimonio senza tenere in alcun conto le leggi della Chiesa, per cui la prole cresce simile al padre e così presso siffatti gruppi sociali i costumi cristiani sono cancellati nell’oblio e si sviluppano pessimi comportamenti.

Riflettendo su tutto ciò e deplorando la misera sorte di tanti uomini, che come gregge privo di pastore vediamo errare per luoghi scoscesi e ostili, e insieme ricordando la carità e i dettami dell’eterno Pastore, ritenemmo Nostro dovere recare ad essi tutto l’aiuto possibile, offrire loro pascoli salutari e provvedere al loro bene e alla loro salvezza con tutti i mezzi che la ragione suggerisce. Tanto più volentieri abbiamo affrontato questa impresa, in quanto siamo sospinti dall’amore verso persone che hanno in comune con Noi la terra natale e Ci arride la speranza che non Ci verrà mai a mancare l’impegno vostro e la vostra cooperazione. Perciò avemmo cura che nella sacra Congregazione di Propaganda Fide si studiasse questo argomento. Ad essa demmo l’incarico di cercare e valutare i rimedi con cui sia possibile allontanare o almeno alleviare tanti mali e disagi, e di proporre a Noi il modo di realizzare compiutamente un tale proposito, mirando al duplice risultato di giovare alla salute delle anime e di lenire, per quanto possibile, i disagi degli emigranti.

Poiché la causa principale dei mali crescenti sta nel fatto che a quegli infelici manca l’assistenza sacerdotale che amministra e accresce la grazia celeste, decidemmo di inviare costì dall’Italia numerosi sacerdoti, i quali possano confortare i loro conterranei con la lingua conosciuta, insegnare la dottrina della fede e i precetti di vita cristiana ignorati o dimenticati, esercitare presso di loro il salutare ministero dei sacramenti, educare i figli a crescere nella religione e in sentimenti di umanità, giovare infine a tutti, di qualunque grado, con la parola e con l’azione, assistere tutti secondo i doveri della missione sacerdotale. E affinché ciò possa compiersi più facilmente, con Nostra lettera sotto l’anello del Pescatore del 15 novembre dello scorso anno istituimmo l’Apostolico Collegio dei Sacerdoti presso la sede vescovile di Piacenza, sotto la direzione del venerabile Fratello Giovanni Battista vescovo di Piacenza, ove possano convenire dall’Italia gli ecclesiastici che animati dall’amore di Cristo, vogliano coltivare quegli studi, esercitare quelle funzioni e quella disciplina per cui possano con ardore e con successo andare in missione nel nome di Cristo, presso i lontani cittadini italiani, e diventare efficaci dispensatori dei misteri divini.

Tra i discepoli di quel Collegio che abbiamo voluto fosse come un seminario di ministri di Dio per la salute degli Italiani che vivono in America, abbiamo voluto che fossero accolti ed educati anche i giovani provenienti dai vostri Paesi, nati da genitori italiani, purché, come chiamati dal Signore, desiderino essere iniziati agli ordini sacri, in modo che poi, fortificati dal sacerdozio e ritornati costà, sotto la vostra autorità pastorale possano svolgere quelle funzioni del ministero apostolico di cui vi sia necessità. Non dubitiamo affatto che al loro ritorno essi saranno da voi ricevuti con paterna carità e che otterranno le opportune facoltà di esercitare il sacro ministero presso i loro concittadini dopo aver avvertito il parroco; infatti essi verranno a voi come truppe ausiliarie affinché, sotto l’autorità di ciascuno di voi, nella cui diocesi si troveranno, si dedichino alla sacra milizia. Certamente nell’esordio della loro attività, questi aiuti non potranno essere copiosi quanto la situazione e il tempo richiedono, né l’opera di coloro che verranno inviati potrà essere all’altezza del numero e delle necessità dei fedeli, così che in ogni e più remoto luogo vi siano sacerdoti che abbiano cura delle anime. Perciò consideriamo un’ottima iniziativa se nelle diocesi che contano un maggior numero di immigrati dall’Italia, si costituiranno convitti di sacerdoti che, uscendo di là percorrano le regioni circostanti e le coltivino con sacre spedizioni. Toccherà poi alla saggezza vostra distinguere in che modo e in quali luoghi si possano più opportunamente fissare quei domicili.

Ci siamo preoccupati di significare a voi, con questa lettera, tutto ciò che abbiamo ritenuto doveroso per la Nostra Provvidenza Apostolica. Se poi qualcuno di voi, o per sentimento e giudizio personale, o per opinioni maturate con i Fratelli, riterrà che da Noi si possa fare dell’altro a vantaggio e conforto di coloro per i quali abbiamo scritto questa lettera, sappia che Ci farà cosa gradita se sull’argomento riferirà in modo dettagliato alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide.

Da questa iniziativa che abbiamo intrapreso per la cura e la salvaguardia di innumerevoli anime prive di ogni conforto della religione cattolica, Ci ripromettiamo copiosi frutti, soprattutto se, come confidiamo, si aggiungeranno a sostenere e a proteggere tale impresa le cure e le sovvenzioni di quei fedeli alla pietà dei quali corrispondono le ricchezze.

Per il resto, dopo aver pregato Dio misericordioso – che vuole tutti gli uomini salvi e in condizione di conoscere la verità – affinché sia propizio a questa impresa e le assicuri un prospero svolgimento, come testimonianza dell’intimo amore per voi, Venerabili Fratelli, per tutto il Clero e per i fedeli di cui siete guida, con grande affetto nel Signore impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 10 dicembre 1888, nell’anno undecimo del Nostro Pontificato.