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Leone XIII
Quod multum


Ciò che desideravamo vivamente e da molto tempo, cioè che ci fosse l’occasione di parlarvi come abbiamo fatto con i Vescovi di numerose altre popolazioni, con il proposito cioè di comunicarvi i Nostri consigli sugli argomenti che concernono la prosperità del cristianesimo ed il bene degli Ungheresi, Ci è reso possibile in maniera particolarmente positiva da queste stesse giornate nelle quali l’Ungheria, memore e lieta, celebra il bicentenario della liberazione di Buda.

Fra i meriti nazionali degli Ungheresi questa liberazione rimarrà di spicco per sempre, in quanto i vostri antenati recuperarono, con la pazienza ed il valore, la città capitale, nella quale i nemici si erano insediati per un secolo e mezzo.

Affinché rimanessero la memoria e la gratitudine per tale favore divino, giustamente Papa Innocenzo XI, Pontefice Massimo, stabilì che il 2 settembre, giorno nel quale si compì il prestigioso avvenimento, in tutto il mondo cristiano si celebrino riti solenni in onore di Santo Stefano, che fu il primo fra i vostri re apostolici.

Per la verità, si sa che la Sede Apostolica ebbe parte – e non certo di ultimo piano – nel meraviglioso e faustissimo evento del quale parliamo, che è quasi nato spontaneamente come conseguenza della splendida vittoria riportata tre anni prima sullo stesso nemico, presso Vienna; senza dubbio essa va attribuita in gran parte e a buon diritto all’impegno apostolico di Innocenzo; infatti, a partire da allora, le forze maomettane cominciarono ad indebolirsi.

In verità, anche prima di quel periodo, i Nostri Predecessori si erano preoccupati, in situazioni analoghe, di alimentare le forze dell’Ungheria con il suggerimento, con gli aiuti, con il denaro, con le alleanze. Da Callisto III ad Innocenzo XI sono molti i Pontefici Romani che sarebbe opportuno enumerare a questo titolo per rendere loro merito.

Uno eccelle fra tutti, Clemente VIII, al quale – quando Strigonia e Vincestgraz furono affrancate dalla dominazione turca – le massime Assise del regno decretarono pubblici ringraziamenti, poiché egli solo si era prodigato in favore dei derelitti, quasi disperati sulla loro sorte.

Pertanto, come la Sede Apostolica non è mai venuta meno alle aspettative della gente ungherese, ogni volta che toccò loro combattere contro i nemici della religione e dei costumi cristiani, così ora che la commemorazione di un evento attesissimo commuove gli animi, a voi volentieri si unisce nella comunione di una giusta gioia; pur tenendo conto della diversità dei tempi, questo solo vogliamo e a questo solo Ci dedichiamo: confermare la moltitudine nella professione cattolica e parimenti impegnarci per quanto possiamo nell’allontanare il comune pericolo, in quanto il Nostro compito è provvedere alla salvezza delle genti.

La stessa Ungheria è testimone che nessun dono più grande può giungere da Dio, alle singole persone o alle comunità, che quello di abbracciare, col Suo intervento, la verità cattolica e conservarla una volta ricevuta. In un enorme dono di tal fatta è automaticamente racchiusa la somma degli altri beni grazie ai quali non solo gli individui possono ottenere la felicità eterna nei cieli, ma le nazioni stesse giungono ad una prosperità degna di tale nome. Poiché il primo dei re apostolici aveva ben capito questo, nulla egli soleva richiedere con più calore a Dio; niente, in tutta la vita, seguì con più attenzione e con maggior costanza che portare la fede cattolica in tutto il regno e stabilirla fin da principio su solidi fondamenti. Perciò subito cominciò, fra i Pontefici Romani e i re ed il popolo d’Ungheria, quello scambio di attenzioni e di cortesie che non vennero mai meno nel periodo successivo.

Stefano fondò e creò il regno, ma volle ricevere il diadema regio solo dal Pontefice Romano; fu consacrato re dall’autorità pontificia, ma volle che il suo regno fosse offerto alla Sede Apostolica; fondò con munificenza non poche sedi Vescovili e diede vita piamente a molte organizzazioni, ma in queste meritorie azioni ha avuto come compagne la massima benevolenza e l’indulgenza assolutamente singolare della Sede Apostolica in molte circostanze. Dalla sua fede e dalla sua pietà il re santissimo trasse la luce del consiglio e le migliori norme per governare lo Stato. Da null’altro, se non dall’assiduità della preghiera, egli ottenne quella forza d’animo con la quale rintuzzò le crudeli congiure dei nemici e respinse vittorioso i loro assalti.

Così, auspice la religione, è nata la vostra nazione: conservandola come custode e come guida, siete giunti non solo alla maturità, ma alla forza del comando e alla gloria a pieno titolo.

L’Ungheria ha conservato santa ed inviolata la religione ricevuta dal suo re e padre come un’eredità, anche nei tempi più difficoltosi, quando un pernicioso errore allontanò i popoli confinanti dal seno materno della Chiesa. Parimenti, insieme alla fede cattolica, il rispetto e l’amore devoto verso la sede di Pietro rimasero costanti nel re Apostolico, nei Vescovi e in tutto il popolo; d’altronde vediamo che continue testimonianze confermano la propensione favorevole e la paterna benevolenza dei Pontefici Romani verso gli Ungheresi. Oggi, dopo che sono trascorsi tanti secoli e sono accadute tante cose, rimangono, grazie a Dio, gli antichi vincoli; le stesse virtù dei vostri antenati non si sono assolutamente estinte nei posteri. Lodevole è inoltre l’impegno profuso, non senza frutto, nell’adempimento degli impegni Vescovili: il conforto fornito nelle calamità; lo studio mirato a difendere i diritti della Chiesa; la costante e fervida volontà di mantenere la fede cattolica.

Mentre riflettiamo su queste cose, l’animo è mosso da un giocondo senso di letizia, e a Voi, Venerabili Fratelli, e al popolo ungherese volentieri indirizziamo la lode meritata per avere ben agito. Tuttavia non possiamo tacere ciò che non sfugge quasi a nessuno, cioè quanto i tempi siano ostili alla virtù; quante volte la Chiesa sia combattuta con artifici; quanto ci sia da temere, fra tanti pericoli, che la fede, indebolita, languisca, anche là dove è solida e fondata su radici profondissime. È sufficiente ricordare quella funestissima fonte di mali che sono i principi del razionalismo e del naturalismo, diffusi senza freno dappertutto. Ne conseguono innumerevoli allettamenti corruttori: il dissenso o l’aperta opposizione del potere pubblico alla Chiesa; la pervicace audacia delle sette clandestine; il sistema qua e là adottato di educare la gioventù senza alcun rispetto per Dio.

Se mai in altri tempi, in questo di certo converrà che sia universalmente accertata non solo l’opportunità ma l’assoluta necessità della religione cattolica per la tranquillità e la salute pubblica. È confermato da quotidiane riprove fino a che punto si spingono a schiacciare lo Stato coloro che si sono abituati a non temere alcuna autorità e a non porre freni alle proprie bramosie. Perciò non può essere più un segreto per alcuno a che cosa mirino; con quali arti si adoperino; con quale tenacia muovano battaglia.

I più grandi imperi e le repubbliche più fiorenti sono costretti a combattere praticamente in ogni momento con branchi di uomini di tal fatta, uniti dalla sintonia delle opinioni e dalla comunione nelle azioni: pertanto ne deriva sempre qualche pericolo per la sicurezza pubblica. In alcuni luoghi, per contrastare un’audacia tanto grande e malvagia, con saggezza si è deciso di accrescere l’autorità dei magistrati e la forza delle leggi. Tuttavia, per evitare le minacce del socialismo, c’è un modo eccellente ed efficacissimo, impiegato il quale poco varrà come deterrente la paura della pena; esso consiste nel fatto che i cittadini siano profondamente attaccati alla religione e che le loro azioni siano improntate a devozione ed amore per la Chiesa. Questa è infatti la custode santissima della religione, la madre e l’educatrice degl’innocenti costumi e di tutte le virtù che spontaneamente sgorgano dalla religione. Coloro che seguono con spirito religioso integro i precetti del Vangelo, per ciò stesso automaticamente restano lontani da qualsiasi ombra di socialismo. Infatti la religione ordina che, come si venera e si teme Dio, così si deve essere soggetti ed obbedienti al legittimo potere; vieta assolutamente i comportamenti sediziosi; vuole che ciascuno veda rispettati i propri beni ed i propri diritti; vuole che coloro che hanno maggiori ricchezze aiutino con bontà d’animo le moltitudini dei poveri. Accompagna i bisognosi con ogni forma di carità; allevia coloro che soffrono con la più soave consolazione, con l’annunciata speranza di beni infiniti ed immortali, che giungeranno tanto maggiori quanto più duramente e più a lungo gli uomini avranno patito.

Per questi motivi, coloro che governano le nazioni non possono far nulla di più saggio ed opportuno che permettere alla religione di diffondersi negli animi senza alcuna barriera, per richiamarli, tramite i suoi precetti, all’onestà ed integrità dei costumi. Diffidare della Chiesa e trattarla con sospetto è in primo luogo palesemente ingiusto, ed inoltre non giova a nessuno, se non ai nemici dell’ordinamento civile e a coloro che sono desiderosi di sconvolgere il sistema.

L’Ungheria, per grazia di Dio, non ha visto i rilevanti moti nelle città, le folle terribili che in altri luoghi hanno distrutto la tranquillità delle popolazioni. Ma il pericolo incombente impone a Noi, e a Voi parimenti, Venerabili Fratelli, di vigilare e di sforzarci ogni giorno di più per mantener vivo e fiorente, costà, il nome della religione, e garantire l’onore delle istituzioni cristiane.

A tal fine, è auspicabile in primo luogo che la Chiesa possa godere, in tutto il regno Ungherese, di quella libertà piena e totale di cui godeva un tempo e di cui si è servita solo per il bene comune. Noi Ci auguriamo soprattutto che siano abolite dalle leggi le disposizioni che sono in conflitto con i diritti della Chiesa, ne limitano la libertà d’azione e pregiudicano la professione del cattolicesimo. Per ottenere ciò, Noi e Voi dobbiamo costantemente impegnarci, nell’ambito consentito dalle leggi, così come tanti illustri personaggi hanno fatto in precedenza. Frattanto, per tutto il tempo in cui resteranno vigenti le norme di legge di cui parliamo, è vostro compito far sì che nuocciano il meno possibile alla salvezza, dopo avere ammonito minuziosamente i cittadini su quali siano gli obblighi di ciascuno in tale frangente. Indicheremo alcuni punti che sembrano essere i più pericolosi.

Il primo dovere è dunque abbracciare la vera religione: in nessuna età dell’uomo esso può essere limitato. Nessuna età è priva di valore nel regno di Dio. Chiunque, saputo ciò, deve comportarsi di conseguenza, senza alcuna esitazione: dalla volontà di agire in tal senso scaturisce per ciascuno un sacro diritto, che non si può violare se non con la massima ingiustizia. Analogamente, coloro che hanno cura d’anime hanno il fondamentale compito di ammettere a far parte della Chiesa tutti coloro che, in età matura per decidere, chiedono di essere ammessi. Perciò, se i curatori d’anime sono costretti a scegliere diversamente, è necessario che essi sopportino la severità delle leggi umane piuttosto che provocare l’ira di Dio vendicatore.

Per quanto concerne la società coniugale, impegnatevi, Venerabili Fratelli, affinché si radichi profondamente negli animi la dottrina cattolica sulla santità, unità e perpetuità del matrimonio; affinché sia spesso ricordato alla gente che i matrimoni fra cristiani, per la loro stessa natura, sono soggetti soltanto al potere ecclesiastico. Sia ricordato che cosa la Chiesa pensa ed insegna a proposito di quello che chiamano matrimonio civile; con quale atteggiamento e con quale spirito i cattolici debbano obbedire a leggi di codesto tipo; come non sia lecito ai cattolici, e ciò per validissime ragioni, contrarre matrimonio con cristiani estranei alla religione cattolica; chiunque osi far ciò, al di fuori della benevola autorità della Chiesa, pecca contro Dio e contro la Chiesa stessa.

Poiché il problema è – come vedete – così diffuso, coloro a cui compete debbono impegnarsi il più possibile affinché nessuno, per nessun motivo, s’allontani da questi precetti. Tanto più perché in questa materia più fortemente che in altre l’obbedienza alla Chiesa è strettamente connessa, tramite vincoli necessari, al benessere dello Stato. La società domestica alimenta e contiene infatti i principi e, per così dire, le basi migliori della vita civile; pertanto da ciò derivano in gran parte la pace e la prosperità della nazione. La società domestica si sviluppa secondo lo stesso andamento dei matrimoni; e i matrimoni non possono riuscire bene se non regolati da Dio e dalla Chiesa. Privato di queste condizioni; asservito alle alterne passioni; iniziato contro la volontà di Dio e privato perciò dei necessari conforti celesti: tolta anche la comunione di vita sul tema che maggiormente preme, cioè la religione, inevitabilmente il matrimonio genera frutti amarissimi, fino all’ultima distruzione delle famiglie e delle società. Perciò sono meritevoli non solo nei confronti della religione, ma anche della patria, quei cattolici che da due anni (da quando le Assemblee legislative ungheresi stabilirono ed ordinarono che fossero validi i matrimoni dei cristiani con gli ebrei) unanimemente e, a voce libera, ripudiarono tale norma ed ottennero con successo che fosse mantenuta l’antica legge sui matrimoni. Ai loro voti si unì, da tutte le parti dell’Ungheria, la unanime volontà di molti che confermavano di pensarla nello stesso modo ed approvavano la decisione con testimonianze palesi. Analoga univocità di pensiero ed altrettanta costanza d’animo possano essere espresse ogni volta che ci sia da combattere in favore del cattolicesimo; la vittoria sarà raggiunta; alla peggio, rimossa l’indolenza e superata l’inerzia, sarà più vigile e fruttuosa l’azione futura qualora i nemici del cristianesimo volessero assopire ogni valore cattolico.

Alla comunità deriverà un’utilità non minore se ci si preoccuperà di educare la gioventù con rettitudine e saggezza fin dall’età infantile. Tali sono i tempi e le abitudini in cui assolutamente troppe persone – con molto impegno – si dedicano a distogliere dalla vigilanza della Chiesa e dalla più proficua virtù religiosa i giovani dediti alle lettere. Vengono vagheggiate e talora richieste scuole che chiamano neutre, miste, laiche, allo scopo indubitabile che gli allievi crescano nella più totale ignoranza delle cose sante e senza alcuna preoccupazione religiosa. Dato che il male è tanto maggiore e tanto più diffuso dei rimedi, vediamo svilupparsi una generazione incurante del bene dell’anima, non partecipe della religione, spessissimo empia. Tenete lontana dalla vostra Ungheria, Venerabili Fratelli, con ogni mezzo e con ogni possibile sforzo, una calamità così grande. In questo momento è di grande giovamento non solo per la Chiesa ma anche per lo Stato educare gli adolescenti indirizzandoli fin dall’infanzia verso costumi cristiani e sapienza cristiana. Tutti coloro che ragionano correttamente capiscono perfettamente ciò; infatti vediamo in molti luoghi e in gran numero i cattolici intensamente impegnati nell’educazione dei bambini, e a tal fine si dedicano con attività preminente e costante, senza preoccuparsi né del costo né dell’imponente fatica. Conosciamo molte persone, anche in Ungheria, che con analogo proposito si sforzano di ottenere lo stesso risultato; nondimeno permettete, Venerabili Fratelli, che Noi sollecitiamo sempre più il vostro impegno episcopale.

Certamente, data la gravità del tema, noi dobbiamo desiderare e volere che alla Chiesa sia integralmente consentito di svolgere, nell’educazione pubblica dei fanciulli, quei ruoli che le sono stati attribuiti dal cielo; né possiamo esimerci dal richiedere con insistenza che vi dedichiate con zelo a questo obiettivo. Intanto non cessate di ammonire i capi famiglia, affinché non sopportino che i loro figli frequentino scuole dove si teme che la fede cristiana sia in pericolo. Allo stesso tempo fate sì che vi siano in abbondanza scuole raccomandabili per la correttezza dell’istituzione e la probità degl’insegnanti, governate dalla vostra autorità e dalla vigilanza del Clero. Vogliamo che sia così non soltanto nelle scuole elementari, ma anche in quelle di lettere e delle più avanzate discipline.

Grazie alla pia generosità degli antichi e soprattutto alla munificenza dei vostri re e dei vostri Vescovi, esistono molte eccellenti strutture per coloro che si dedicano allo studio delle lettere. Gode di ottimo ricordo fra Voi, elogiato anche dalla posterità, il Cardinale Pazmany, Arcivescovo di Strigonia, che fondò il grande Liceo cattolico di Budapest e lo fornì di una ricchissima dote. È bello ricordare che un’opera di tale entità fu compiuta con la pura e sincera intenzione di promuovere la religione cattolica; analogo intento fu confermato dal re Ferdinando II, affinché la verità della religione cattolica rimanesse intatta nei luoghi in cui era fiorente; dov’era indebolita fosse nuovamente rafforzata e il culto divino fosse propagato ovunque. Noi abbiamo ben chiaro con quanta forza e con quanta costanza vi siete adoperati affinché, senza alcun mutamento rispetto alla natura originaria, codeste sedi di ottimi studi continuino ad essere come le vollero i loro fondatori e cioè Istituti cattolici, nei quali la struttura, l’amministrazione e l’insegnamento rimangano sotto il potere della Chiesa e dei Vescovi. Vi esortiamo a non tralasciare alcuna occasione e a tentare con ogni mezzo affinché da ogni parte si consegua tale nobile ed onesto risultato. Lo otterrete certamente, considerata la grande sensibilità religiosa del Re Apostolico e la saggezza degli uomini che guidano lo Stato; non è infatti pensabile che vi tocchi sopportare che sia negato alla Chiesa Cattolica ciò che è stato concesso alle organizzazioni che sono in contrasto col cattolicesimo.

Se lo spirito dei tempi richiederà che si dia vita a nuovi istituti di questo tipo o che siano ingranditi quelli esistenti, non dubitiamo che seguirete l’esempio dei predecessori e vorrete dar prova di religiosità. Ci è stato anzi riferito che vi state preoccupando di realizzare un’opportuna accademia per formare insegnanti eccellenti. Ottima decisione quant’altre mai, all’altezza della vostra saggezza e della vostra virtù; speriamo che possiate portarla a compimento in breve tempo, con l’aiuto di Dio.

Se è importante per il bene pubblico l’educazione di tutti gli adolescenti, tanto più è importante quella di coloro che devono essere avviati ai sacri ministeri. A questa dovete dedicarvi, uno per uno, Venerabili Fratelli, ed impiegare la maggior parte delle vostre veglie e delle vostre fatiche; infatti i giovani chierici sono una speranza, e per così dire un abbozzo di forma sacerdotale; Voi conoscete bene di quanta fama la Chiesa goda per i suoi sacerdoti e come ne tragga giovamento la stessa salvezza eterna delle genti. Per formare un chierico sono assolutamente necessarie due cose: la dottrina per la cultura della mente, e la virtù per la perfezione dell’anima. Alle discipline umanistiche sulle quali è solitamente basata l’educazione dell’adolescente, vanno aggiunte le discipline sacre e quelle canoniche, dopo essersi assicurati che la dottrina di tali materie sia sana, assolutamente incorrotta, intieramente in accordo con i documenti della Chiesa (soprattutto di questi tempi) e ricca di forza e di argomenti, affinché sia in grado di esortare... e confutare coloro che contraddicono.

La santità della vita, senza la quale la scienza è solo vento e non costruisce, racchiude non soltanto i costumi probi ed onesti, ma anche l’insieme delle virtù sacerdotali donde deriva la somiglianza con Gesù Cristo, sommo ed eterno sacerdote, che è la caratteristica dei buoni preti. A questo tendono i Seminari; e Voi, Venerabili Fratelli, avete non poche istituzioni di rilievo sia per preparare i ragazzi alla vita sacerdotale, sia per formare solidamente i sacerdoti. Le vostre preoccupazioni e i vostri pensieri siano concentrati soprattutto su questi obiettivi; procurate che all’insegnamento delle lettere e delle scienze siano posti uomini di valore, nei quali l’esattezza della dottrina sia unita all’innocenza dei costumi, affinché a buon diritto possiate fidarvi di loro in un settore così importante. Scegliete i responsabili della cultura e i maestri di religiosità fra coloro che eccellono per prudenza, saggezza ed esperienza; la regola della vita comune venga temperata dalla vostra autorità in modo che gli alunni non solo non compiano qualcosa di contrario alla pietà, ma anzi abbondino di tutti quegli strumenti con i quali si alimenta la fede: con opportuni esercizi siano stimolati al quotidiano miglioramento delle virtù sacerdotali. Dall’impegno e dalla diligenza spesi per formare i sacerdoti riceverete frutti più desiderabili, e vi accorgerete che sarà molto più facile e molto più vantaggioso gestire il vostro ruolo di Vescovi.

Ma è necessario che le vostre paterne cure si spingano ancora più in là, in modo da accompagnare i sacerdoti nel compimento stesso dei loro sacri doveri. Con attenzione e con delicatezza, come conviene alla vostra carità, controllate che essi non assumano mai atteggiamenti profani; che non siano mossi né dalla cupidigia né dalla preoccupazione per impegni secolari: che anzi eccellano esemplarmente nella virtù e nelle opere, senza mai tralasciare la preghiera ed accostandosi castamente ai sacri misteri. Cresciuti e rafforzati con queste concezioni, i sacerdoti affronteranno spontaneamente la fatica quotidiana degl’incarichi sacri e si dedicheranno con impegno, come è giusto, ad educare gli animi della gente, soprattutto con la predicazione e con il ricorso ai sacramenti.

Per ritemprare le forze del loro animo, che per la debolezza umana non possono essere perennemente al culmine, non c’è nulla di meglio che – come altrove è consuetudine particolarmente apprezzata – ritirarsi di tanto in tanto per periodiche meditazioni spirituali, disponibili, in tali periodi, soltanto per Dio e per se stessi. Quanto a Voi, Venerabili Fratelli, visitando, secondo la vostra discrezione le diocesi, avrete naturalmente e opportunamente l’occasione di conoscere le attitudini e le abitudini dei singoli, e parimenti di accertare che cosa – nelle contingenti circostanze – sia necessario proibire (e con quali motivazioni) oppure correggere, se si sia insediato, qualche peccato. In questo caso, affinché il potere della disciplina ecclesiastica non sia infranto, dove sia necessario occorrerà applicare con la giusta severità le norme dei canoni sacri: tutti dovranno capire che il sacerdozio e i vari gradi della dignità altro non sono che il premio delle buone azioni, e che sono riservati a coloro che abbiano servito la Chiesa; che si siano prodigati per la salvezza delle anime; che siano apprezzati per dottrina e per integrità di vita.

Con un Clero dotato di queste virtù, si sarà provveduto in misura non esigua anche a favore del popolo, il quale – amante com’è della Chiesa ed attentissimo alla religione dei padri – volentieri si lascerà condurre dai ministri della fede.

Voi non dovete tuttavia tralasciare alcuna di quelle attività che vi paiano valide per conservare fra la gente l’integrità della dottrina cattolica, la disciplina evangelica nelle azioni, nella vita, nei costumi. Impegnatevi affinché spesso vengano intraprese sacre missioni per l’educazione delle anime; mettete alla loro testa uomini di provata virtù, animati dallo spirito di Gesù Cristo ed infiammati di carità per il prossimo.

Per prevenire od eliminare gli errori d’opinione, distribuite con abbondanza fra il popolo scritti che collimino con la verità e conducano alla virtù. Sappiamo che già si sono costituite società che hanno proprio questo lodevole e fruttuoso obiettivo, e che non si sono impegnate invano. Noi desideriamo che esse crescano di numero, e che di giorno in giorno ottengano risultati sempre più positivi. Ancora questo vogliamo: che Voi stimoliate tutti, ma in particolare coloro che eccellono per cultura, ricchezza, dignità o potere, affinché in ogni momento della vita, in privato e in pubblico, curino con il massimo impegno il nome della religione e la causa della Chiesa; secondo la vostra indicazione più fortemente si sforzino e non rifiutino di aiutare e far sviluppare tutte le iniziative cattoliche già esistenti o che saranno create.

Allo stesso modo è necessario resistere ad alcune opinioni fallaci – elaborate a sproposito con lo scopo di proteggere l’onore individuale – che addirittura ripugnano alla fede ed ai precetti dei comportamenti cristiani ed aprono la strada ad azioni turpi e scellerate. Infine è necessaria la vigilanza assidua e coraggiosa contro le associazioni illecite delle quali deve essere capito in anticipo e sventato l’influsso con tutti i mezzi, in particolare quelle che abbiamo indicate altrove specificatamente nella Nostra Lettera Enciclica. Vogliamo che di questo vi incarichiate con solerzia tanto maggiore, dal momento che società di codesto genere quanto più sono numerose ed hanno ricchezze, tanto più hanno potere.

Queste sono le cose, Venerabili Fratelli, che vi abbiamo scritto sotto la spinta della carità; confidiamo che esse saranno accolte da tutto il popolo Ungherese con animo pronto all’obbedienza.

Se i vostri padri trionfarono a Buda contro un nemico odiosissimo, ciò non fu ottenuto soltanto dalla forza bellica, ma dal vigore della fede, la quale, così come all’inizio generò gran forza e prestigio all’impero, così procurerà prosperità nella popolazione e gloria all’estero in futuro. Noi desideriamo che codesti benefici e codesti favori vi siano destinati, e perciò preghiamo, con l’intercessione della grande Vergine Madre di Dio, alla quale il regno d’Ungheria è consacrato e dalla quale ha anche preso il nome. Per lo stesso fine umilmente imploriamo l’intervento di Santo Stefano che, avendo ornato e avvantaggiato il vostro Stato con ogni genere di benefici, lo guarderà dall’alto dei cieli, come Noi speriamo, e lo proteggerà con sicuro patrocinio.

Con questa speranza, a Voi singolarmente, Venerabili Fratelli, al Clero ed a tutti i vostri fedeli impartiamo la Benedizione Apostolica più affettuosa nel Signore, come auspicio dei doni celesti e testimonianza della Nostra paterna benevolenza.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 agosto 1886, anno nono del Nostro Pontificato.