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Leone XIII
Quod auctoritate
Quello che con Apostolica autorità già una volta e poi nuovamente decretammo, cioè che un anno sacro straordinario – aperti al pubblico vantaggio i tesori dei doni celesti che abbiamo il potere di dispensare – si celebrasse in tutto l’orbe cristiano, vogliamo ora stabilire, col favore di Dio, per il prossimo anno.
L’utilità dell’iniziativa non può sfuggire a Voi, Venerabili Fratelli, consapevoli come siete dei tempi e dei costumi; ma una certa singolare ragione fa sì che in questa Nostra decisione appaia maggiore opportunità che non forse nelle altre occasioni.
Invero, avendo Noi, con la precedente Nostra lettera Enciclica sul governo degli Stati, indicato quanto sia importante per essi accostarsi sempre più alla verità e all’ordinamento cristiano, già si può comprendere quanto sia consentaneo a questo Nostro proposito operare con tutti i mezzi possibili per eccitare e per richiamare gli uomini alle cristiane virtù.
Infatti lo Stato è tale quale lo fanno i costumi dei popoli; e come l’eccellenza delle navi e degli edifici dipende dalla bontà e dalla giusta collocazione delle singole parti, allo stesso modo il corso della cosa pubblica non può essere né giusto né senza danno se i cittadini non camminano nel retto sentiero della vita. La stessa disciplina civile, e tutte le cose che costituiscono l’azione della vita pubblica, soltanto per opera degli uomini nascono e periscono; e perciò gli uomini sogliono dare alle cose l’esatta immagine delle proprie opinioni e dei propri costumi. Affinché dunque penetrino nei loro animi quei precetti Nostri e, quel che più conta, sia ispirata ad essi la vita quotidiana di ciascuno, si deve fare ogni sforzo perché i singoli inducano l’animo a cristianamente sentire e ad operare cristianamente, non meno in pubblico che in privato.
In tale impresa è tanto più necessario impegnarsi quanto maggiori sono i pericoli incombenti da ogni parte. Infatti le grandi virtù dei padri nostri si dileguarono in non piccola parte: e le cupidigie, che di per sé hanno grandissima forza, una maggiore ne chiesero ai fini di licenza; l’insania delle opinioni, contenuta da nessuno o da freni poco adatti, ogni giorno più si diffonde: fra quegli stessi che sentono rettamente, molti, trattenuti da un certo falso pudore, non osano professare liberamente ciò che sentono e molto meno ancora operare in tal senso; la forza dei perniciosi esempi a poco a poco va penetrando nei costumi popolari; disoneste società di uomini, le quali già altra volta da Noi stessi furono indicate, espertissime in colpevoli inganni, si studiano d’imporsi al popolo e, in quanto possono, distoglierlo e strapparlo da Dio, dalla santità dei doveri, dalla fede cristiana.
Quindi, nell’incalzare di tanti mali, resi sempre maggiori dalla loro durata, nulla che arrechi con sé qualche speranza di alleviamento deve essere da Noi tralasciato.
Con questo intento e con questa speranza annunzieremo il sacro Giubileo ammonendo ed esortando tutti coloro cui sta a cuore la loro salvezza di raccogliersi un poco in se stessi, e d’innalzare i pensieri immersi nelle cose terrene a cose migliori. Il che non solo riuscirà salutare per i privati, ma per tutta la cosa pubblica, in quanto il vantaggio che ciascuno trarrà a perfezione del proprio animo, d’altrettanto gioverà per onestà e virtù alla vita e ai pubblici costumi.
Ma il desiderato esito dell’impresa, ben vedete, Venerabili Fratelli, è riposto per gran parte nella vostra opera e nella vostra diligenza, essendo necessario preparare il popolo a conseguire adeguatamente i frutti che sono proposti. Sarà dunque cura della carità e della sapienza vostra affidare questa impresa a scelti sacerdoti che, con ragionamenti adeguati all’intelligenza del popolo, istruiscano la moltitudine e principalmente la esortino alla penitenza, che secondo Agostino è "sofferenza quotidiana dei buoni ed umili fedeli; in essa ci battiamo il petto dicendo: rimetti a noi i nostri debiti" .
Non senza motivo rammentiamo in primo luogo la penitenza, e quella parte di essa che consiste nella volontaria mortificazione del corpo. Infatti, conoscete il costume del secolo: ai più piace vivere con mollezza, e non fare alcunché virilmente e con grandezza d’animo. Taluni, mentre cadono in molte altre miserie, spesso presentano falsi pretesti per non obbedire alle leggi salutari della Chiesa, giudicando troppo grave e intollerabile peso o l’obbligo imposto loro di astenersi da certo genere di cibi, o l’osservare il digiuno in pochi giorni dell’anno.
Snervati da questa abitudine, non fa meraviglia se a poco a poco si danno totalmente alle cupidigie che esigono sempre di più.
Pertanto è conveniente richiamare a temperanza gli animi rilassati o proclivi a mollezza; per la qual cosa coloro che parleranno al popolo insegnino diligentemente e chiaramente ciò che è prescritto non solo dalla legge Evangelica, ma anche dalla ragione naturale: è necessario che ognuno comandi a se stesso e domini le proprie passioni; non si può espiare le colpe se non con la penitenza. Ed affinché questa virtù di cui parliamo si mantenga perenne, non sarebbe cosa errata se la si affidasse stabilmente alla custodia ed alla tutela di una istituzione. Voi facilmente comprendete, Venerabili Fratelli, quanto ciò sia importante: che ciascuno di Voi nella vostra Diocesi perseveri a tutelare e ad amplificare il Terzo Ordine dei fratelli Francescani, che si chiama secolare.
Certamente, per conservare e per alimentare nella moltitudine cristiana lo spirito di penitenza, sono validissimi gli esempi e la grazia del padre Francesco d’Assisi, che alla somma innocenza della vita congiunse tanto zelo da mortificare se stesso, da sembrare di avere in sé l’immagine di Gesù Cristo crocifisso, non meno per la vita e per i costumi, quanto per le stigmate divinamente impressegli. Le leggi del suo Ordine, che opportunamente mitigammo, sono assai lievi da sopportare: ma non hanno poca importanza riguardo alla virtù cristiana.
Poiché, in tante necessità private e pubbliche, ogni speranza di salute consiste nel patrocinio e nella tutela del Padre celeste, vorremmo ardentemente che rivivesse lo zelo costante della preghiera congiunto alla fiducia. In ogni importante tempo della repubblica cristiana, tutte le volte che la Chiesa venne minacciata da pericoli esterni o da difficoltà intestine, con preclaro esempio i nostri maggiori, alzati supplichevolmente gli occhi al cielo, insegnarono con quale mezzo e donde si dovessero chiedere la luce dell’animo, la forza della virtù e gli aiuti adatti ai tempi. Infatti stavano impressi nelle menti quei precetti di Cristo: "Chiedete e vi sarà dato" (Mt 7,7); "È necessario pregare sempre e non stancarsi" (Lc 18,1).
A tali precetti fa eco la parola degli Apostoli: "Pregate incessantemente" (1Ts 5,17); "Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini" (1Tm 2,1).
Su ciò, non meno acutamente che conforme a verità, a guisa di paragone, Giovanni Crisostomo lasciò scritto: Come all’uomo, che nasce nudo e bisognoso di tutto, la natura diede le mani affinché con l’aiuto di esse si procacciasse le cose occorrenti alla vita, così per le necessità soprannaturali egli – nulla potendo da solo – fu dotato da Dio della facoltà di pregare, affinché, servendosi saggiamente di essa, potesse facilmente ottenere le cose che si richiedono per la salvezza. Perciò, Venerabili Fratelli, ciascuno di Voi giudichi quanto da Noi sia gradito ed approvato il vostro zelo speso, soprattutto in questi ultimi anni, per Nostro incitamento nel promuovere la pia pratica del santissimo Rosario.
Né è da passare sotto silenzio la pietà popolare che, a questo proposito, si vede particolarmente attuata in quasi tutti i luoghi; ma è da curare con grande attenzione che si accenda maggiormente e si mantenga con perseveranza.
Nessuno di Voi si stupirà se insistiamo su ciò, come più volte facemmo, giacché comprendete quanta importanza abbia il fiorire presso i cristiani della consuetudine del Rosario Mariano, e appieno conoscete che nel genere di preghiere di cui parliamo, essa è parte e forma bellissima, conveniente ai tempi, di uso facile e fecondissima per utilità.
E poiché il primo e massimo frutto del Giubileo deve essere quello che più sopra abbiamo indicato, cioè un’emendazione della vita, un avvicinarsi alla virtù, crediamo necessario specificatamente fuggire da quel male che con la Nostra precedente Enciclica non tralasciammo di segnalare. Intendiamo accennare ad alcuni nostri dissidi interni e quasi domestici: dissidi che appena si può dire con quanto danno delle anime sciolgono, o certamente rallentano, il vincolo della carità.
La qual cosa perciò ora di nuovo vi rammentiamo, Venerabili Fratelli custodi della disciplina ecclesiastica e della mutua carità, perché vogliamo che la vostra vigilanza e la vostra autorità siano sempre rivolte a scongiurare così grave inconveniente.
Ammonendo, esortando e rampognando, fate in modo che tutti "siano solleciti nel conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace", e gli autori dei dissidi ritornino al dovere, meditando per tutta la vita che l’Unigenito Figlio di Dio, nello stesso approssimarsi degli estremi dolori, nulla chiese al Padre più insistentemente se non che tra loro si amassero quelli che credevano o avrebbero creduto in Lui, "affinché tutti siano una sola cosa; come Tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola" (Gv 17,21).
Pertanto, fiduciosi nella misericordia dell’onnipotente Iddio e nell’autorità dei beati Apostoli Pietro e Paolo, per quella potestà di legare e di sciogliere che a Noi, quantunque indegni trasmise il Signore, concediamo a tutti e singoli i cristiani fedeli dell’uno e dell’altro sesso pienissima indulgenza di tutti i peccati, a modo di generale Giubileo, però con la condizione e con l’obbligo che nel termine del prossimo anno 1886 compiano le cose che prescriviamo.
Quanti sono a Roma, cittadini od ospiti, visitino due volte la Basilica Lateranense, la Vaticana e la Liberiana ed ivi per parecchio tempo innalzino pie preghiere a Dio per la prosperità e l’esaltazione della Chiesa cattolica e di questa Sede Apostolica, per l’estirpazione delle eresie, per la conversione di tutti gli erranti, per la concordia dei Principi cristiani, e per la pace e l’unione di tutto il popolo fedele, secondo la Nostra intenzione. Gli stessi digiunino per due giorni usando cibi magri, oltre i giorni non compresi nell’indulto quaresimale, o altri consacrati a simile digiuno per precetti della Chiesa; oltre a ciò, dopo avere bene confessate le proprie colpe, ricevano il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, e facciano qualche elemosina, secondo le proprie forze, udito il consiglio del Confessore, in favore di qualche pia opera che riguardi la propagazione e l’incremento della fede cattolica. È concesso a ciascuno scegliere quella di tali opere che più gli piaccia: però crediamo di doverne nominare due per le quali la beneficenza sarà ottimamente impiegata, l’una e l’altra operanti in molti luoghi, bisognose di soccorso e di tutela, l’una e l’altra utili non meno alla popolazione che alla Chiesa: cioè le scuole private dei fanciulli, e i Seminari dei Chierici.
Tutti gli altri, che dimorano fuori della città e in qualunque altro luogo, visiteranno nel detto spazio di tempo per due volte tre Chiese designate da Voi, Venerabili Fratelli, o dai vostri Vicari o Delegati, o per vostro o per loro mandato da coloro che hanno cura d’anime; oppure se due sole saranno le Chiese, per tre volte; ovvero se il tempio sarà uno solo, sei volte; e del pari faranno tutte le altre opere che sono accennate più sopra.
Vogliamo che questa indulgenza si possa applicare, a titolo di suffragio, anche alle anime che uscirono da questa vita congiunte nella carità con Dio. Inoltre vi diamo facoltà di potere ridurre le stesse visite ad un numero minore, secondo il vostro prudente giudizio, per i capitoli e per le Congregazioni, tanto secolari quanto regolari, per i sodalizi, per le confraternite, per le associazioni, per i collegi che visiteranno processionalmente le menzionate Chiese.
Concediamo che i naviganti e i viaggiatori possano conseguire la stessa indulgenza quando, ritornati al loro domicilio o altrove in una stabile dimora, abbiano visitato sei volte il tempio principale, o la Chiesa parrocchiale, e compiute tutte le opere sopra prescritte.
Ai regolari d’ambo i sessi, anche chiusi in perpetuo nei chiostri, e a tutti gli altri, tanto laici quanto ecclesiastici, i quali o perché in carcere, o per infermità, o per qualunque altra causa siano impediti dal fare le opere suddette o ne compiano alcune, concediamo che il Confessore possa commutarle in altre opere di pietà, con il potere altresì di dispensare dalla Comunione i fanciulli che ancora non sono stati ammessi alla prima Comunione.
Oltre a ciò concediamo a tutti e singoli i cristiani, tanto laici quanto ecclesiastici, secolari e regolari d’ogni Ordine ed Istituto, anche se da nominarsi specificatamente, la facoltà di potere scegliersi a questo effetto qualsivoglia sacerdote Confessore approvato, tanto secolare quanto regolare: di tale facoltà possono anche fruire le Monache, le Novizie e le altre donne dimoranti nei chiostri, purché il Confessore sia approvato per le religiose.
Ai Confessori poi, in questa occasione e soltanto per il tempo di questo Giubileo, elargiamo tutte quelle stesse facoltà che largimmo con la Nostra lettera Apostolica Pontifices maximi del 15 febbraio 1879, ad eccezione tuttavia di tutte quelle che sono eccettuate nella stessa lettera.
Per il resto, si adoperino tutti zelantemente in detto periodo per invocare la Gran Madre di Dio. Infatti vogliamo consacrato questo Giubileo al patrocinio della Santissima Vergine del Rosario; confidiamo che con l’aiuto di Lei non pochi saranno coloro la cui anima, cancellata ogni macchia di peccato, si purifichi, e per la fede e per la pietà e per la giustizia non solo rinasca a speranza di sempiterna salute, ma anche come augurio di tempi migliori.
Auspice di tali celesti benefìci e a testimonianza della Nostra benevolenza, a Voi, al Clero e a tutto il popolo affidato alla vostra fede e alla vostra vigilanza, impartiamo amatissimamente nel Signore l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 dicembre 1885, anno ottavo del Nostro Pontificato.