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Leone XIII
Si è compiuto


Roma, 2 marzo 1891

Si è compiuto in questi giorni per Noi un altro anno di Pontificato. Anch’esso passò tra gravissime sollecitudini e amarezze per le contrarietà di ogni genere suscitate dovunque contro la Chiesa. L’anno che comincia, se pur la divina bontà Ce lo accorda, non sappiamo bene che cosa sia per apportarci; ma le condizioni presenti dell’umana società Ce lo fanno presagire fecondo anch’esso di nuove tribolazioni. Giungono pertanto opportuni e Ci sono altamente graditi i voti che in tale ricorrenza innalza a Dio per Noi il Sacro Collegio dei Cardinali, e che per la bocca del suo Decano Ci ha testé manifestato. Dei quali voti accresce agli occhi Nostri il valore e nell’animo Nostro il gradimento l’averli voi affidati alla potente intercessione del Pontefice San Gregorio Magno, ora che pel XIII centenario della sua elezione rivivono e s’illustrano le gesta di quel memorando Pontificato.

Lungi da Noi l’ombra pur del pensiero che miri a stabilire il più lontano paragone con un Pontefice per tanti titoli così grande. La sua grandezza non può essere per Noi che stimolo a seguirne da lungi gli splendidi esempi. I tempi però in molte cose si rassomigliano; e da questa somiglianza giova trarre ammaestramenti e conforti per i guai e i bisogni dell’epoca nostra.

Allora, come adesso, la Chiesa e il Pontificato ebbero nemici accaniti da combattere: i Longobardi e gli altri barbari esercitarono per lungo tempo la pazienza e la costanza di San Gregorio: ma forse più sensibili sofferenze gli cagionarono gli altri nemici interni, meno feroci dei barbari, ma più perniciosi ed astuti. I barbari infine alla predicazione evangelica, deposta la nativa ferocia, si mansuefecero, si convertirono alla fede, rivestirono sentimenti cristiani e costumi civili. Quelli invece in mezzo alla luce della verità rimasero ciechi, ostili al Pontefice e ribelli alla Chiesa. Di questi nemici è ai tempi nostri più che mai grande il numero, raffinata la malizia, implacabile l’odio; ma le male loro arti, le insidie, gli assalti non prevarranno contro la roccia su cui divinamente è fondata la Chiesa: essa anche oggi uscirà dall’aspra lotta che sostiene, incolume e vittoriosa.

Del resto Gregorio, anche in mezzo ai più fieri nemici e a difficoltà senza numero del suo travagliatissimo pontificato, era pieno di sollecitudine per tutti i popoli della terra; e mentre prodigava le sue cure all’oriente perché conservasse integra la fede, salda l’unione colla Chiesa di Roma, centro di tutte le altre, in Inghilterra mandava uomini apostolici ad arricchirla dei benefici della fede, i quali poi fecero di quella nazione la terra dei Santi. Sull’esempio di tanto Pontefice anche Noi portiamo il più vivo interesse alle illustri Chiese di oriente, affinché strette al centro della cattolica unità rifioriscano di vita novella. Anche Noi coi voti più caldi del Nostro cuore affrettiamo il momento in cui i consolanti progressi della fede cattolica in Inghilterra tocchino la meta desiderata.

Ma San Gregorio fu altresì ai suoi tempi la salute di Roma, il presidio del popolo italiano. Come già la grande figura di San Leone Magno aveva fatto indietreggiare sul Mincio Attila, flagello diDio, così la maestà e la parola di San Gregorio fecero retrocedere fino al Ticino Agilulfo e le sue genti che, dopo avere empito tutto all’intorno di devastazioni e di stragi, erano sul punto di dare l’assalto all’eterna città. E del popolo italiano, quasi abbandonato dagl’imperatori di Bisanzio ed angariato dai loro rappresentanti, Gregorio prese sempre le difese, ne patrocinò le ragioni, si oppose agli oppressori, provvide ai bisogni ed incoraggiò i Vescovi italiani a fare altrettanto. Così anche la storia di quei tempi luminosamente conferma quello che Noi non abbiamo mai cessato di ripetere all’Italia dei giorni nostri; che cioè la Chiesa e i Pontefici sono di essa i più insigni benefattori e i migliori amici; e che combatterli ed avversarli come nemici, non è solo empietà, ma vera stoltezza politica.

Finalmente, come ella, Signor Cardinale, ha ricordato, San Gregorio coll’opera e la parola si oppose alla schiavitù, e non risparmiò sacrifici per ridonare, per quanto era in suo potere, agli schiavi la libertà. Ma per questa parte le condizioni dei tempi nostri sono molto migliori; la lotta contro la schiavitù incontra il più grande favore: principi e governi vi sono ora impegnati; e Noi che nel tempo del giubileo sacerdotale incoraggiammo con lettere encicliche il disegno di dare la libertà agli schiavi del Brasile, non abbiamo di poi nulla omesso per il trionfo, in Africa specialmente, di questa grande opera di fede e di civiltà. L’azione della Chiesa, educatrice e moralizzatrice per eccellenza, è indispensabile per la riuscita: sarebbe vano abolire la tratta, i mercati, la condizione servile, se gli animi ed i costumi rimanessero barbari. Perciò i missionari cattolici hanno su questo campo il loro posto principale e quasi privilegiato: su questo campo i missionari di tutte le nazioni dovrebbero convenire, ed è grandemente a desiderare che loro non manchi il favore e l’aiuto dei rispettivi governi. Lode a quelli che già lo prestano e sono disposti a prestarlo. In quanto a Noi, se benigno il Signore Ci farà toccare il giubileo episcopale, le risorse che in tale occasione la generosità dei cattolici vorrà mettere nelle Nostre mani, destineremo in larga parte a questo nobilissimo scopo. Esso mirabilmente collima colla propria e divina missione della Chiesa, che è quella di dilatare sulla terra il regno di Gesù Cristo, e di fare gustare il frutto della redenzione a chi siede tuttavia nelle tenebre e nell’ombra di morte.

Piaccia al Signore, per l’intercessione del Santo Pontefice Gregorio, dare prosperità ed incremento a queste opere che i tempi reclamano, e coronarle del più lieto successo.

Con questa speranza ripetiamo al Sacro Collegio il gradimento dei suoi voti; e a tutti i suoi membri, ai Vescovi, ai Prelati e a tutti qui presenti impartiamo dall’intimo del cuore l’Apostolica Benedizione.