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Leone XIII
Tempestivum quoddam


Roma, 30 dicembre 1889

Abbiamo ricevuto di recente un certo opportuno conforto dalle remote terre d’America e del pari dagli Svizzeri. Infatti, ciò che i cattolici insistentemente chiedevano, cioè che fosse loro permesso di aprire grandi Università per istruire la gioventù, è stato da poco ottenuto grazie alla loro tenacia con l’istituzione di sedi per lo studio delle maggiori discipline a Washington, Ottawa e Friburgo. In esse sarà considerato come legge inviolabile il proposito di coniugare l’incolumità della fede con la finezza della dottrina, e di educare gli adolescenti alle nobili arti non meno che alla religione. Perciò comprendiamo assai bene quanta riconoscenza sia dovuta anzitutto alla saggezza e alla costanza dei Vescovi, nonché alla cooperazione dei privati. Agli uni ed agli altri deve essere attribuito il merito, in quanto, concordando nelle opinioni e nell’impegno, hanno recato un memorabile beneficio di cui non solo la Chiesa ma anche la cittadinanza potrà fruire a vantaggio proprio. Infatti, Venerabili Fratelli, prevediamo già i futuri frutti di tali iniziative; e frattanto non poco Ci allieta il pensiero che il cattolicesimo, tutelato dalle leggi e dalla giustizia degli uomini, possa liberamente svilupparsi nelle città che abbiamo ricordato.

Questi fatti abbastanza lieti all’estero rendono più amaro il senso degli avvenimenti che accadono in patria. Qui infatti gli avversari non desistono dal combattere la Chiesa: anzi, con audacia ogni giorno crescente, manifestano il loro animo ostile e non temono inoltre di perseguire la gloria del peccato. Sono abbastanza eloquenti le parole pronunciate testé da un uomo pubblico, quando in un affollato comizio appositamente convocato, dichiarò esplicitamente quali fossero i propositi e la volontà dei governanti italiani circa la Chiesa e il Pontificato romano. E nel mese di giugno furono udite in Roma voci non dissimili, nei giorni in cui, con espressioni inusitate e altisonanti, si poneva innanzi non tanto l’onore di un apostata quanto l’ignominia della Chiesa. Appare così evidente che in entrambi i casi tali affermazioni mirano allo stesso scopo, e che esiste il comune proposito di coltivare l’avversione nei confronti della religione avita e di sottrarre all’abbraccio della Chiesa, se fosse possibile, tutto il popolo italiano, sotto gli auspici e la guida delle malvagie sette. Vi sono note, Venerabili Fratelli, quelle affermazioni, piene di audaci insolenze. Ci si compiacque di contestare i diritti dei Pontefici Romani nella città di Roma e di sminuirli nella opinione altrui a tal punto da definirli d’importanza pari alle regole che generalmente governano le case reali. Ciò che a Noi fu sottratto è rivendicato, dai nuovi possessori, come fermo e perpetuo diritto, come se dalla forza e dalla offesa potesse nascere il diritto. A questo punto è certamente superfluo ricordare i titoli del tutto particolari in forza dei quali la Sede Apostolica rivendica e rivendicherà il proprio diritto nell’Urbe. Parimenti non occorre rammentare la natura del principato civile dei Romani Pontefici, il quale è rivolto a tutelare, con efficace vigilanza, la dovuta libertà e dignità del ministero Apostolico e perciò ha unicamente in sé la propria ragione d’essere e di conseguenza differisce non poco dal comune fondamento degli Stati. Ma non possiamo né dobbiamo neppure tacere del tutto, dal momento che la forza nemica si rivolge contro la Sede Apostolica con questo impeto rinnovato. Tanto più che nella difesa del Nostro diritto non Ci proponiamo come fine la tutela di alcun bene effimero, ma guardiamo a beni ben più grandi e sublimi. Certo vogliamo che sia conservata integra la fede cristiana, come è doveroso; infatti la sua incolumità corre pericolo quando i governanti assegnano allo Stato la funzione di rivendicare la supremazia della ragione umana senza limiti, senza legge; e ciò, messo da parte ogni equivoco, non significa altro che respingere dalle fondamenta quanto ci è stato tramandato da Dio e separarsi del tutto dalla Chiesa. Pertanto non si tratta solo di far sì che la cittadinanza non preferisca qualche religione, e si conceda ai singoli individui l’eguaglianza del diritto senza alcuna discriminazione (per cui la stessa uguaglianza diventa ingiusta e assai dannosa); si tratta piuttosto di sfidare il cattolicesimo con pubblica dichiarazione di guerra e di associare le forze e le intelligenze con i peggiori nemici di Gesù Cristo. Sembra appena credibile che si sia giunti a tal punto e per di più nei confronti degli Italiani che per grazia di Dio hanno contemplato assai presto la luce della verità cristiana e hanno avvertito e custodito religiosamente i sommi e singolari benefici della bontà divina per diciannove secoli. La questione è davanti ai nostri occhi. Essi non minacciano a parole più di quanto non facciano; ché anzi con ogni mezzo si sforzano di raggiungere lo scopo e perciò di rivolgere il corso delle istituzioni e delle leggi a danno della Chiesa.

Il prossimo primo gennaio, come sapete, entrerà in vigore un nuovo diritto penale. Su tale argomento, lo scorso anno, i legislatori hanno deliberato; Noi sulla stessa materia non tralasciammo di contestare doverosamente quei capitoli che col pretesto di punire gli abusi, di fatto mirano a limitare la giusta libertà del Clero e ad ostacolarne l’opera. Abbiamo affermato che in tal modo molte prerogative sarebbero state sottratte alla Chiesa poiché essa, per diritto proprio, è divinamente ordinata in forma di società perfetta e non deve sottostare ad alcuna autorità umana nell’adempimento della sua missione. Al tempo stesso Ci siamo lamentati che si recasse offesa a tutto l’ordine sacerdotale poiché contro di esso, senza alcun motivo plausibile, disprezzata l’autorità del diritto sacro, si adottarono leggi particolari con particolare severità. Tali leggi poi sono state approvate e promulgate con lievi emendamenti del testo. Noi pertanto, memori del Nostro dovere Apostolico, rinnoviamo le richieste che avanzammo dopo il primo affronto, ora che questo si è aggravato.

Ma voi vedete che un’altra calamità incombe sulla Chiesa: sappiamo di una legge sulle Opere Pie che fu or ora approvata con una frettolosa votazione e che è considerata come un passo verso altri provvedimenti idonei a cancellare ogni traccia di religione dalle istituzioni statali. Infatti lo spirito della legge è coerente con tale proposito: la sua forza anzitutto consiste in parte nell’abolire tutte le istituzioni fondate sulla carità, in parte nel trasformarle in una realtà di diversa natura così che, in un rivolgimento tanto grande, appaia evidente e prossima la distruzione delle istituzioni religiose. Ma principalmente non è conforme alla carità né alla giustizia considerare caduchi e vani quasi tutti quei beni che sono stati fondati o lasciati per testamento, o per motivi di culto divino, o a suffragio dei defunti, o per dotare le fanciulle che desiderano farsi monache e destinarli ad altri scopi. È evidente che in tal modo si viola la volontà dei donatori, poiché essi hanno devoluto il loro danaro per gli scopi già ricordati, e a nessun patto per altri: scopi che hanno attinenza con la religione, con il conforto delle anime pie dei defunti, con la perfezione della virtù e perciò sono per natura tanto immutabili e perpetui quanto i diritti e i doveri che uniscono l’uomo a Dio.

Ma invero non possiamo neppure passar sotto silenzio che è lecito eleggere nei consigli di amministrazione delle istituzioni assistenziali quasi tutti, donne comprese, con esclusione dei Parroci. Con ciò piacque loro ricordare la ben nota ostilità verso i loro Vescovi e il Romano Pontefice: in modo che non vi fosse alcun dubbio circa l’intenzione e la causa per cui hanno escogitato la legge di cui stiamo parlando. Dicono che la beneficenza deve essere assolutamente laica perché riesca più gradita; dicono infatti che si è soliti ricevere con vergogna, e che gl’infelici si perdono d’animo quando sono assistiti dalla carità cristiana. Ma è segno di meschinità ravvisare nei cristiani coloro che errano del tutto nel modo di considerare quella virtù che è la prima e la sovrana di ogni altra. Invero, una sincera volontà di giovare agli uomini non può nascere se non da intimo amore, che occorre sia radicato unicamente e profondamente nell’animo di coloro che considerano gli individui quasi altri se stessi e li amano come fratelli, coloro che sanno che gli altri, al pari di se stessi, sono stati creati da Dio come da un padre e che del pari sono stati redenti dal sangue di Gesù Cristo, e sono perciò chiamati alla stessa felicità nei cieli. Anzi, Gesù Cristo abbraccia con tanto amore i poveri e gl’infelici, da ritenere che la beneficenza raccolta per essi sia collocata presso di Lui, e che Egli si consideri vincolato al beneficio. La carità associata a questi sentimenti è assai lontana dal mortificare l’animo degli sventurati; se mai, lo eleva a tanta dignità personale, quanta l’uomo, senza il lume della dottrina celeste, non può neppure immaginare.

Ora, una carità di tal natura invano la si può cercare al di fuori della chiesa di Dio, la sola che Gesù Cristo lasciò erede della sapienza, della disciplina, dei carismi suoi; la Chiesa che in ogni tempo diede le più sublimi testimonianze di quanto abbia saputo ubbidire ai precetti del suo divino Autore ed imitarne gli esempi. Esiste forse un dolore che la Chiesa non abbia tentato di alleviare non solo con materna pietà ma anche con particolare, vigilante prudenza? Così, soprattutto con la sua opera e con la sua autorità, o almeno con la sua saggezza, con la sua disponibilità e con la sua protezione si è recato ovunque opportuno conforto alle diverse sventure delle genti, ma ancor più in quei luoghi ove più fiorente è la Chiesa e più diffusa la pratica delle virtù cristiane. Insigne per tale merito è l’Italia, che nel conservare inalterata la fede cattolica nella prospera e nell’avversa sorte, fu straordinariamente feconda in ogni età di siffatte opere benefiche. Tanto più è disumano e indegno della gente italica l’aver voluto sottrarre alla Chiesa la facoltà di esercitare la pubblica beneficenza. Avevano addotto come pretesto i proventi carpiti o malamente impiegati; ma la luce della verità scaturì da dove meno avrebbero voluto. La questione amministrativa ha chiaramente confutato l’accusa falsamente inventata.

Tra le altre cose, l’audace confisca giunse a moltiplicare le offese per cui coloro che hanno il potere civile si impadronirono della stessa amministrazione dei sacri beni. Voi ben comprendete, Venerabili Fratelli, dove è indirizzato il discorso: proprio a quei provvedimenti che hanno colpito in questi ultimi mesi il Venerabile Fratello Luigi, Vescovo titolare Troadense, Ordinario di Acquaviva e di Altamura. Voi tutti conoscete le azioni compiute; dapprima al vescovo Troadense furono interdetti i beni di entrambe le Chiese; poi lo si rimosse dall’incarico; lo si sfrattò dalla sede; contemporaneamente fu attribuito ad un altro il governo di quelle Chiese, come se si trattasse soltanto di un affare amministrativo, del tutto soggetto all’autorità ed all’arbitrio del potere civile. Per questo fatto, non soltanto sono state infrante le leggi della Chiesa, ma sono anche stati violati gli stessi originali diritti del Nostro primato pontificio. Pertanto, non senza grande angoscia, deploriamo tale affronto; nello stesso tempo condanniamo e con l’autorità Apostolica respingiamo i suddetti provvedimenti, adottati e applicati con la forza.

Per quanto riguarda il Clero e il popolo di quelle Chiese, invitiamo entrambi, nel nome del Signore, di adempiere seriamente al dovere loro richiesto. Come è giusto che ascoltino i dettami del potere politico in questioni di natura civile, così nei problemi che riguardano il potere delle anime non possono essere sottoposti legalmente a nessun’altra autorità se non alla Nostra, se non intendono (che Dio non voglia!) separarsi da questo centro dell’unità cattolica.

Ora, prima che siano designati i Vescovi da mettere a capo delle sedi delle Chiese vacanti, a maggior gloria di Dio e a vantaggio della Chiesa nominiamo Cardinali di Santa Romana Chiesa due prestigiosi uomini, i cui nomi tuttavia, per giusti motivi, tratteniamo in pectore e renderemo noti a Nostro arbitrio. Con le dispense, le deroghe e le clausole necessarie e opportune. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Così sia.