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Pio IX
Cum catholica Ecclesia


La Chiesa Cattolica fondata e istituita da Cristo Signore per provvedere alla salvezza eterna degli uomini, avendo conseguito, in forza della sua divina istituzione, la forma di società perfetta, deve godere, nell’esercizio del suo sacro ministero, di quella libertà che la sottrae alla soggezione di qualsivoglia potere civile.

Poiché per operare liberamente, come era necessario, doveva fruire di quei supporti che rispondevano alle condizioni e alle esigenze dei tempi, per una speciale disposizione della divina Provvidenza avvenne che, quando l’Impero Romano si dissolse e fu diviso in vari regni, il Romano Pontefice, costituito da Cristo capo e centro di tutta la Chiesa, ottenne un Principato civile.

Questo fu disposto con somma sapienza da Dio stesso, perché in mezzo ad una tale moltitudine e varietà di sovrani temporali, il Sommo Pontefice disponesse di quella libertà politica che era indispensabile per esercitare, senza alcun impedimento, il suo potere spirituale, la sua autorità e la sua giurisdizione sul mondo intero.

Ciò era anche sommamente opportuno, perché non venisse offerto al mondo cattolico motivo di dubitare che quella Sede, a cui "per la sua posizione di preminenza deve necessariamente far capo tutta la Chiesa", potesse in qualche modo, negli atti di governo universale, essere condizionata da pressioni del potere civile o da interessi di parte.

È peraltro facile comprendere come un simile potere della Chiesa Romana, quantunque risenta per sua natura del temporale, assuma una connotazione spirituale in forza della sua sacra destinazione e dello strettissimo vincolo che lo lega ai più alti interessi della Società Cristiana. Ciò tuttavia non impedisce che possa essere perseguito tutto ciò che favorisce anche il benessere temporale dei popoli, come ampiamente dimostra la storia del potere civile esercitato per tanti secoli dai Romani Pontefici.

Poiché dunque il potere di cui parliamo riguarda il bene e l’utilità della Chiesa, non desta meraviglia che i nemici di essa abbiano spesso tentato di destabilizzarlo e di toglierlo di mezzo con tutta una serie di attentanti e di insidie. Ma ogni loro macchinazione, per la continua assistenza di Dio alla sua Chiesa, presto o tardi, si è dissolta nel nulla.

Il mondo intero è a conoscenza come in questi tristissimi tempi i subdoli nemici della Chiesa Cattolica e di questa Sede Apostolica, abominevoli nei loro disegni e divulgatori di ipocrite menzogne, tentino, nel disprezzo di ogni diritto divino e umano, di privare questa Sede del Principato civile di cui gode, e si sforzino di perseguire lo scopo, non con una palese aggressione o con la forza delle armi, come altre volte, ma con la maliziosa propaganda di false e pericolose teorie e col suscitare maliziosamente moti popolari. Né si vergognano di indurre le popolazioni ad un’empia ribellione contro i legittimi Principi, condannata a chiare lettere dall’Apostolo che insegna: "Ogni anima sia soggetta ai poteri superiori. Infatti non vi è potere se non da Dio: i poteri esistenti sono voluti da Dio. Dunque chi si oppone al potere, si oppone alle disposizioni di Dio, e chi vi si erge contro, procura la condanna a se stesso" (Rm 13,1ss.).

Mentre dunque questi malvagi mestatori aggrediscono il potere temporale della Chiesa e disprezzano la sua veneranda autorità, spingono a tal punto la loro impudenza da vantare pubblicamente la loro reverenza e il loro ossequio verso la Chiesa stessa. Ma ciò che suscita il più grande dolore è il constatare che si siano macchiati di questo malvagio modo di operare coloro che, come figli della Chiesa Cattolica, dovevano spendere l’autorità che esercitano sui popoli loro sottomessi nel difenderla e nel tutelarla.

In queste subdole e perverse macchinazioni, di cui Ci lamentiamo, ha parte precipua il Governo Subalpino. Tutti sanno ormai quanti e quali deplorevoli offese e danni per opera sua sono stati arrecati in quel regno alla Chiesa, ai suoi diritti e ai suoi sacri Ministri. Ce ne siamo fortemente lamentati specialmente nell’Allocuzione del Concistoro del 22 gennaio 1855. Queste Nostre legittime recriminazioni non furono prese in alcuna considerazione, e quel Governo spinse ulteriormente i suoi intenti temerari a tal punto che si permise di arrecare offesa alla Chiesa universale, attaccando quel Potere temporale di cui Dio stesso aveva voluto corredare questa Sede del Beato Pietro, per salvaguardare e tutelare, come abbiamo sopra annotato, la libertà del ministero apostolico.

Il primo di questi palesi segni di aggressione venne alla luce quando, nel Congresso di Parigi riunito nell’anno 1856, da parte del Governo Subalpino, nel contesto di ostili argomentazioni, fu proposta una subdola linea di azione intesa a indebolire il potere civile del Romano Pontefice e a sminuire la sua autorità e quella di questa Santa Sede. Quando poi, nello scorso anno, divampò la guerra fra l’Imperatore di Austria e gli alleati Imperatore di Francia e Re di Sardegna, non fu tralasciato alcun inganno, né alcun intento malefico per indurre le popolazioni sottomesse al Nostro Potere Pontificio ad un’empia ribellione. Da quel momento furono inviati dei sobillatori, fu sparso denaro a piene mani, furono spedite armi, furono messi in atto, con riprovevoli scritti e giornali, stimoli di avversione, e fu impiegato ogni genere di azione fraudolenta anche da coloro che svolgevano la funzione di Delegati di quello stesso Governo in Roma: deposto ogni rispetto per l’onestà e per il diritto delle genti, si servivano iniquamente del loro incarico per promuovere segrete macchinazioni in danno del Nostro Governo Pontificio.

Scoppiate poi in molte province del Nostro Dominio delle sommosse, preparate da tempo in segreto, venne proclamata in quei luoghi la Regia Dittatura da parte dei suoi sostenitori e, subito, vennero scelti dal Governo Subalpino dei Commissari, chiamati in seguito anche con altro nome, con l’incarico di governare quelle province.

Mentre stava accadendo tutto questo, Noi, memori del Nostro gravissimo compito, non tralasciammo, con le Nostre due Allocuzioni del 20 giugno e del 26 settembre dello scorso anno, di esprimere vigorosamente tutta la Nostra doglianza per la violazione del Principato civile di questa Santa Sede, e di ammonire severamente gli aggressori sulle censure e sulle pene comminate dai Sacri Canoni in cui erano miseramente incorsi.

Era dunque logico credere che i promotori di queste violazioni avrebbero desistito dal loro iniquo proposito a seguito delle Nostre reiterate ammonizioni e recriminazioni, anche perché i Vescovi di tutta la Cattolicità e i fedeli di ogni ordine, dignità e condizione affidati alle loro cure, aggiungendo alle Nostre le loro istanze, si erano impegnati con unanime ardore a difendere con Noi la causa di questa Sede Apostolica, della Chiesa universale e della giustizia, ben sapendo quanto il potere civile in questione concorra al libero esercizio della giurisdizione del supremo Pontificato.

Il Governo Subalpino al contrario (lo riferiamo inorridendo!) non solo non ha dato alcun peso alle Nostre ammonizioni, alle Nostre lagnanze e alle pene ecclesiastiche, ma persistendo nella sua malvagità, dopo aver carpito l’assenso popolare col denaro, con le minacce, con il terrore e con ogni altro malizioso espediente, non esitò a invadere e ad occupare le summenzionate Nostre province e ad assoggettarle al suo potere e alla sua dominazione.

Vengono meno le parole per riprovare un così grande delitto che racchiude in sé molti misfatti di estrema gravità. Viene perpetrato infatti un grave sacrilegio, che comporta, nello stesso tempo, l’usurpazione degli altrui diritti contro ogni legge umana e divina, il sovvertimento di ogni ragione di giustizia e il pieno sradicamento delle basi di ogni Potere civile e di tutta la Società umana.

Poiché dunque siamo consapevoli, non senza il più vivo dispiacere del Nostro animo, che ulteriori istanze non troverebbero accoglienza presso coloro che, come aspidi sorde per essersi turate gli orecchi, non si sono ancora lasciati smuovere dalle Nostre ammonizioni e dalle Nostre lamentele, e, d’altra parte, sentiamo nel più profondo ciò che richiede da Noi la causa della Chiesa, di questa Sede Apostolica e dell’intero mondo cattolico, attaccata con tanta violenza da questi uomini perversi, avvertiamo il dovere di evitare che, il restare più a lungo indecisi, possa essere inteso come un venire meno al gravissimo compito del Nostro Ufficio.

La situazione è stata resa a tal punto insostenibile da indurci, seguendo i ben noti esempi dei Nostri Predecessori, a impiegare il Nostro supremo potere, a Noi affidato da Dio, non solo per sciogliere, ma anche per legare, ricorrendo a quel doveroso rigore verso i colpevoli che risulti anche di salutare esempio per gli altri.

Pertanto, dopo aver invocato la luce del Divino Spirito con preghiere pubbliche e private, e dopo aver sentito il parere di una scelta Congregazione di Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, con l’autorità di Dio Onnipotente, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, e Nostra, dichiariamo nuovamente che tutti coloro che hanno fomentato la ribellione nelle predette province del Nostro Stato Pontificio, ne hanno promosso l’illegale annessione, l’occupazione, l’invasione e cose simili, di cui Ci siamo lamentati nelle menzionate Nostre Allocuzioni del 20 giugno e del 26 settembre dello scorso anno, o hanno preso parte a qualcuna di queste imprese, nonché i loro mandanti, i complici, i fiancheggiatori, i consiglieri, i seguaci o chiunque altro abbia favorito la realizzazione di quanto sopra descritto, sotto qualsiasi pretesto o in qualunque modo, o vi abbiano preso personalmente parte, sono incorsi nella Scomunica Maggiore e nelle altre censure e pene ecclesiastiche irrogate dai Sacri Canoni, dalle Costituzioni Apostoliche e dai Decreti dei Concili Generali e particolarmente del Tridentino . E, se ciò è necessario, li colpiamo nuovamente con la Scomunica e con l’Anatema.

Dichiariamo inoltre che gli stessi sono anche incorsi nella perdita di ogni e qualsivoglia privilegio, grazia e indulto concessi, sotto qualunque titolo, da Noi o dai Romani Pontefici Nostri Predecessori, e che non potranno essere assolti e liberati da queste censure se non da Noi o dal Romano Pontefice in carica (eccetto il caso di pericolo di morte, ma pure allora con la condizione di ricadere nelle stesse censure non appena sarà migliorato lo stato di salute). Saranno pure impossibilitati e incapaci di ottenere il beneficio dell’assoluzione fino a quando non avranno pubblicamente ritrattato, revocato, annullato ed eliminato tutto ciò che, in qualsiasi modo, hanno promosso; non avranno effettivamente restituito ogni cosa alla situazione primitiva o non avranno reso in altro modo una doverosa e congrua soddisfazione alla Chiesa, a Noi e a questa Santa Sede.

Perciò, sulla scorta di quanto precisato nella presente Lettera, decretiamo e, in pari tempo, dichiariamo che tutte le persone elencate, anche se meritevoli di una menzione del tutto particolare, nonché i loro successori nelle cariche, non potranno mai considerarsi sciolti ed esentati, con il pretesto di questa Lettera o con qualsiasi altro pretesto, dall’obbligo personale di ritrattare, revocare, annullare ed eliminare le succitate responsabilità o dal procurare altrimenti, in modo concreto ed effettivo, un doveroso e conveniente risarcimento alla Chiesa, a Noi e alla Santa Sede, ma sono e saranno sempre tenuti a questi adempimenti se vorranno ottenere il beneficio dell’assoluzione.

Mentre dunque ottemperiamo con dolore all’incombenza del Nostro dovere, spinti da una triste e impellente necessità, non Ci è possibile dimenticare che Noi sosteniamo qui in terra le veci di Colui che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva, e che è venuto nel mondo per cercare e salvare ciò che era perduto. Per questo, nell’umiltà del Nostro cuore, imploriamo e supplichiamo, con fervide ed incessanti preghiere, la Sua misericordia perché illumini propizio, con la luce della Sua grazia divina, tutti coloro che abbiamo dovuto colpire con il rigore delle pene ecclesiastiche e, con la Sua onnipotenza li riconduca dalla via della perdizione al sentiero della salvezza.

Decretiamo che la presente Lettera, con tutto il suo contenuto – anche se le persone citate ed altri che si trovano coinvolti nelle vicende menzionate o pensano di esservi in qualche modo coinvolti, a qualunque condizione, rango, ordine, posizione di prestigio e di potere possano essere ascritti o possano, per altri motivi, ritenersi degni di una particolare e specifica menzione, accampano la scusa di non aver dato il loro assenso, ma siano stati chiamati a prendervi parte, siano stati sentiti e interpellati senza che fossero state loro sufficientemente illustrate, chiarite e giustificate le intenzioni per cui venivano decise queste operazioni – non possa mai, per questo o per qualsivoglia altro motivo, argomento, pretesto e pregiudizio, essere considerata affetta da vizi di surrezione, orrezione o nullità, da mancanza di volontà da parte Nostra o di consenso da parte degli interessati, o da qualunque altro difetto. Non potrà pertanto essere impugnata, violata, ritrattata, rimessa in discussione o ricondotta a questioni giuridiche, né potrà essere promosso e ottenuto, contro le sue disposizioni, il favore di un pronunciamento, della restituzione in integrum, o qualsiasi altro favore di diritto, di fatto o di remissione: ciò (anche se quanto è stato impetrato fosse confortato da una concessione avente pienezza di potere) non potrà mai essere fatto valere né in giudizio, né fuori.

Questa Lettera deve dunque mantenere sempre inalterata e ferma la sua efficacia, sia al presente che in futuro; deve poter perseguire ed ottenere in pienezza tutti i suoi frutti, e deve essere scrupolosamente fatta valere da tutti coloro ai quali ciò incombe, e da chiunque in seguito sarà a ciò deputato.

Sulla scorta di queste disposizioni, e non altrimenti, dovranno procedere tutti i giudici ordinari e delegati, gli stessi uditori delle cause del Palazzo Apostolico, i Cardinali di Santa Romana Chiesa, come pure i Delegati a latere, i Nunzi della Santa Sede e ogni altro giudice, qualunque sia la carica e il potere esercitati e che potranno esercitare, essendo stata tolta, a tutti e a ciascuno, l’autorità e il potere di giudicare e di decidere diversamente. Nell’eventualità che si procedesse in merito diversamente da quanto stabilito, indipendentemente dal grado di autorità del giudice, a ragion veduta o per ignoranza, l’atto risulterebbe nullo ed inefficace.

Non si oppongono alle suesposte disposizioni, nei limiti in cui ciò è necessario, la Nostra prassi e quella della Cancelleria Apostolica di non revocare il diritto acquisito, le Costituzioni e le Ordinanze Apostoliche. Né vi si oppone l’insieme delle concessioni corredate da giuramento, da ratifica Apostolica o da qualsivoglia altra forma di autenticità come statuti, consuetudini, usi, costumanze immemorabili, e pure privilegi, indulti, Lettere Apostoliche accordati ai sunnominati e a qualsiasi altra persona, sia pure rivestita di autorità ecclesiastica e civile, contraddistinta da altra qualifica, qualunque possano essere la sequenza e il tenore dei termini usati, anche se accompagnati da clausole, da deroga a precedenti deroghe, più efficaci, pienamente confacenti allo scopo, insolite e irritanti, e da altri Decreti di pari valore concessi in forma assolutamente legale per procedimento, conoscenza e pienezza di potere, emanati nel corso di Concistori, stesi in qualunque altro modo in contrasto con quanto premesso, nuovamente riproposti, ripetutamente approvati, confermati e rinnovati.

A tutte e singole queste disposizioni, anche se per una loro valida deroga non potrebbe bastare una menzione basata su clausole generiche, capaci di esprimerne il contenuto, o su una qualsiasi descrizione pure attinente, ma sarebbe necessaria una menzione che ne abbracciasse l’insieme e che fosse mirata, specifica, espressa, integra e le riportasse parola per parola; se pure si ritenesse di impiegare qualche altra ricercata forma, e le disposizioni suesposte, riportate parola per parola, senza tralasciare nulla e conservando il senso letterale ivi racchiuso, vi venissero espresse ed inserite, pur considerandole pienamente e validamente inserite e riconoscendo, in altri momenti, inalterato il loro valore; al fine di ottenere i risultati di quanto disposto, per questa volta soltanto, intendiamo apportare una speciale e specifica deroga, vogliamo che si proceda in deroga, togliendo efficacia a qualsiasi altra disposizione in contrario.

Poiché, come tutti sanno, questa Lettera non potrà essere pubblicata con sicurezza ovunque, e in special modo là dove ciò sarebbe sommamente necessario, vogliamo che la stessa o le copie siano pubblicamente affisse, come è costume, alle porte della Chiesa Lateranense, della Basilica del Principe degli Apostoli, della Cancelleria Apostolica, della Curia Generale a Montecitorio ed in Campo di Fiori a Roma, e così pubblicate ed affisse, impegnino, tutti e singoli coloro ai quali sono dirette, come se fossero state intimate nominalmente e personalmente a ciascuno di loro. Vogliamo anche che alle sue trascrizioni o copie, anche stampate, sottoscritte di proprio pugno da qualche pubblico notaio e munite del sigillo di una persona costituita in dignità ecclesiastica, venga riconosciuto ovunque e da tutti, sia in giudizio, sia fuori di esso, lo stesso valore dell’originale, come se questo fosse esibito o mostrato.

Dato a Roma, presso San Pietro, sotto l’anello del Pescatore, il 26 marzo 1860, quattordicesimo anno del Nostro Pontificato.