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Pio IX
Cum saepe


26 luglio 1855

Come Voi ben sapete, Venerabili Fratelli, più di una volta, in questo vostro consesso, abbiamo deplorato, non senza immenso dolore dell’animo Nostro, le infelici condizioni della santissima religione nel Regno Subalpino. In particolare, nella Allocuzione a Voi rivolta il 22 gennaio di quest’anno, e pubblicata a stampa, Ci siamo nuovamente lamentati delle crudeli ferite che per parecchi anni il Governo Subalpino ha continuato ad infliggere, ogni giorno, alla Chiesa Cattolica, al suo potere, ai suoi diritti, ai sacri Ministri, ai Vescovi, alla suprema potestà e dignità Nostra e di questa Santa Sede. Con quella Allocuzione, alzando nuovamente la Nostra voce Apostolica, riprovammo, condannammo, e per di più dichiarammo inoperanti e nulli sia tutti e i singoli decreti promulgati dallo stesso Governo a detrimento della religione, della Chiesa e dei diritti di questa Santa Sede, sia l’iniqua, funestissima legge, allora resa pubblica, che tra l’altro sanciva la soppressione di quasi tutte le comunità monastiche e religiose di entrambi i sessi, delle Chiese Collegiali e anche dei semplici benefici di diritto e di patronato; i loro beni e le loro rendite dovevano essere sottoposti all’amministrazione e alla volontà del potere civile. Nella stessa Allocuzione non tralasciammo di ammonire gli autori e i fautori di tanti misfatti, in modo che più e più volte riflettessero sulle censure, sulle sanzioni spirituali che le Costituzioni Apostoliche e i decreti dei Concili Ecumenici comminano ipso facto contro gli usurpatori dei Diritti e dei beni della Chiesa. Tuttavia eravamo sorretti dalla speranza che coloro che pur si gloriano del nome di cattolici e vivono in un Regno in cui lo stesso Statuto stabilisce che la religione cattolica deve essere la sola religione di quel Regno, e ad un tempo prescrive che tutte le proprietà siano da tutelare come inviolabili, senza alcuna eccezione, finalmente turbati dalle giustissime recriminazioni dei Venerabili Fratelli eminenti Vescovi dello stesso Regno e dalle reiterate proteste, lagnanze e paterni moniti Nostri, richiamassero le menti e le volontà loro a più miti consigli, rinunciassero a perseguitare la Chiesa e si affrettassero a riparare i gravissimi danni recati ad essa. Facevano balenare tale speranza, in modo particolare, le molte promesse fatte agli stessi Vescovi; quindi pensavamo di poter contare su di esse.

Ma con amarezza diciamo che il Governo Subalpino non solo non prestò ascolto né alle recriminazioni dei suoi Vescovi né alle Nostre voci, ma addirittura, recando offese sempre più gravi alla Chiesa, all’autorità Nostra e di questa Sede Apostolica, e disprezzando le numerose proteste nonché i paterni moniti Nostri, non ebbe ritegno di approvare, sancire e promulgare anche la predetta legge, immutata nel testo, nel fine e nello spirito. Pertanto riesce a Noi assai greve e penoso, Venerabili Fratelli, il dover deflettere da quella mansuetudine e moderazione che attingemmo e derivammo dalla stessa natura, che apprendemmo dall’eterno Principe dei Pastori e che perciò esercitammo sempre volentieri con volontà costante, e adottare severe misure dalle quali il Nostro paterno animo rifugge apertamente. Tuttavia, avendo Noi constatato che ogni cura, sollecitudine, longanimità e pazienza da Noi usate per sei e più anni al fine di sanare in quel Regno i danni subiti dalla Chiesa, sono valse a nulla e che non emerge alcuna speranza che gli autori di azioni tanto temerarie vogliano prestare docile orecchio alle esortazioni, dal momento che essi, disprezzando del tutto i Nostri richiami, non desistono dall’aggiungere offese alle offese e dal compiere ogni tentativo per opprimere e sovvertire radicalmente, nel Regno Subalpino, la Chiesa e i suoi poteri, i suoi diritti e la sua libertà, siamo costretti ad usare contro di loro la severità ecclesiastica per non venir meno al Nostro dovere e per non abbandonare la causa della Chiesa. Con questo modo di agire, come certamente sapete, Ci adeguiamo agli illustri esempi di tanti Romani Pontefici Nostri Predecessori i quali, insigni per santità e dottrina, non esitarono a colpire i figli della Chiesa degeneri e ribelli, pertinaci violatori ed usurpatori dei suoi diritti, con quelle sanzioni che dai Sacri Canoni sono previste contro i colpevoli di siffatti crimini.

Perciò in questo vostro ampio consesso di nuovo alziamo la Nostra voce Apostolica e di nuovo riproviamo, condanniamo e decretiamo nulli e inoperanti sia la legge suddetta sia tutti e singoli gli altri atti e decreti promulgati dal Governo Subalpino a detrimento della religione, della Chiesa, dell’autorità e dei diritti Nostri e di questa Santa Sede, sui quali Ci siamo espressi con dolore sia nella Nostra Allocuzione del 22 gennaio del corrente anno, sia in questa presente. Inoltre, con incredibile afflizione dell’animo Nostro, siamo costretti a dichiarare che tutti coloro i quali, nel Regno Subalpino, non esitarono a proporre, approvare, sancire i predetti decreti e la legge contro i diritti della Chiesa e di questa Santa Sede, nonché i loro mandanti, fautori, consulenti, aderenti, esecutori, sono incorsi nella scomunica maggiore e nelle altre censure e sanzioni ecclesiastiche inflitte dai Sacri Canoni, dalle Costituzioni Apostoliche e dai decreti dei Concilî generali e soprattutto dal Concilio Tridentino . Invero, pur adottando la severità apostolica, a ciò sospinti dalla inevitabile necessità di adempiere al Nostro dovere, tuttavia ben sappiamo e ricordiamo che Noi, pur senza merito, operiamo qui in terra come vicario di Colui che, colto dall’ira, si ricorda della misericordia. Pertanto, levando gli occhi Nostri al Signore Dio Nostro, da Lui con umile ostinazione non desistiamo dal chiedere ch’Egli voglia rischiarare col lume della Sua grazia celeste e ricondurre a più sani propositi i figli degeneri della Sua santa Chiesa, di qualunque ordine, grado e condizione, sia laici, sia chierici anche insigniti di sacro carattere, i cui errori non possono essere mai abbastanza commiserati, poiché nulla di più gradito al Nostro cuore, nulla di più desiderabile e di più lieto vi può essere che il pentimento degli erranti e il loro ritorno alla saggezza. Né dimentichiamo, in ogni orazione supplica e ringraziamento di invocare lo stesso Dio prodigo di misericordia, perché non desista mai dal soccorrere e consolare con i fecondi doni della Sua divina grazia tutti i Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi del Regno Subalpino, soggetti a tante angustie e tribolazioni, in modo che essi, come finora agirono con tanta lode del loro nome, così perseverino nella loro eminente virtù episcopale, con costanza e con prudenza, nel difendere strenuamente la causa della religione e della Chiesa e nel vigilare con grande zelo sulla incolumità e sulla salute del proprio gregge. Inoltre senza indugio offriamo umilissime e fervide preghiere al clementissimo Signore della pietà perché si degni di confortare con il Suo aiuto celeste non solo il fedele Clero di quel Regno, che in gran parte adempie nobilmente al suo dovere seguendo l’esempio dei suoi Vescovi, ma anche tanti eminenti laici dello stesso Regno i quali, egregiamente animati da sentimenti cattolici e sinceramente devoti a Noi e a questa Cattedra di Pietro, assai si gloriano di operare per la tutela dei diritti della Chiesa.

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Nessuno di Voi ignora, Venerabili Fratelli, che non sono ancora trascorsi quattro anni da quando decidemmo di non risparmiare alcun impegno, alcun tentativo, alcuna fatica pur di affrontare le questioni ecclesiastiche della Spagna. A Voi è notissima la Convenzione da Noi stipulata nel 1851 con la carissima in Cristo Figlia Nostra Maria Elisabetta, Cattolica Regina di Spagna; tale Convenzione fu sancita e solennemente promulgata come legge dello Stato in quel Regno. Né vi sfugge in che modo, nella stessa Convenzione, tra i molti articoli che furono in essa introdotti allo scopo di tutelare i diritti della religione cattolica, fu in primo luogo stabilito che la stessa augusta religione, escluso qualsiasi altro culto, continuando ad essere la sola religione della Nazione spagnola, fosse da preservare, come prima, in tutto il Regno della Spagna, con tutti i diritti e le prerogative di cui deve godere conforme alla legge di Dio e alle norme Canoniche. La Convenzione prevedeva che l’insegnamento in tutte le scuole pubbliche e private fosse del tutto conforme alla dottrina cattolica; che i Vescovi, nell’espletare l’ufficio episcopale, e nelle questioni che riguardano il diritto, l’esercizio dell’autorità ecclesiastica e della ordinazione sacra, fruissero di quella piena libertà che i Sacri Canoni prescrivono; che la Chiesa si avvalesse del tutto liberamente del suo diritto originario, cioè fosse libera di acquistare con ogni legittimo titolo nuove proprietà e che fosse inviolabile la proprietà di tale Chiesa per tutti i beni che allora possedeva o che in futuro avesse acquistato. Perciò eravamo sorretti dalla fiducia che le Pontificie Nostre cure e sollecitudini avrebbero raggiunto l’esito desiderato e che in Spagna la Chiesa cattolica, conforme ai Nostri desideri, si sarebbe fortificata ogni giorno di più, sarebbe fiorita nella prosperità e nella felicità particolarmente perché tutta quella inclita Nazione assai si gloria di professare la religione cattolica e di aderire saldamente alla Cattedra di Pietro.

Invero, con somma meraviglia e amarezza dell’animo Nostro, abbiamo visto (e non avremmo mai supposto un tale evento) impunemente infranta e violata in quel Regno la predetta Nostra Convenzione addirittura contro la stessa volontà del popolo Spagnolo, dolente e protestante; abbiamo visto recare nuove offese (che siamo costretti a deplorare presso di Voi, Venerabili Fratelli) alla Chiesa, ai suoi diritti, ai Vescovi, alla suprema potestà Nostra e di questa Santa Sede. Infatti furono promulgate leggi con le quali il primo e il secondo articolo della stessa Convenzione vengono sovvertiti, non senza grave detrimento della religione, e si prescrive che i beni della Chiesa devono essere venduti. A ciò si aggiunge che furono pubblicati vari decreti coi quali si interdice ai Vescovi la facoltà di conferire gli Ordini sacri, si proibisce alle Vergini consacrate a Dio di ammettere altre donne al noviziato nel loro istituto religioso e si stabilisce che siano da ricondurre allo stato secolare le Cappellanie laicali e le altre pie istituzioni. Non appena abbiamo appreso che si stavano preparando così gravi oltraggi alla religione, alla Chiesa, a Noi e a questa Santa Sede, Noi, adempiendo al Nostro dovere, senza frapporre alcun indugio, non tralasciammo di protestare e di reclamare energicamente presso il Governo Madrileno contro tutti questi provvedimenti temerari, sia tramite il Nostro Cardinale Segretario di Stato, sia tramite il Nostro incaricato di affari residente a Madrid. Ritenemmo inoltre che si dovesse chiedere allo stesso Governo che delle Nostre recriminazioni fosse data notizia ai fedeli affinché – nel caso in cui la proposta di legge sull’alienazione dei beni della Chiesa non fosse respinta – gli stessi fedeli si astenessero dall’acquistarli. Abbiamo anche richiamato alla memoria del Governo di Madrid che nella Nostra lettera Apostolica sulla stessa Convenzione dichiarammo in modo esplicito che siccome i patti sottoscritti nella stessa Convenzione erano così sfacciatamente violati e infranti, sarebbe stata fuori luogo ulteriormente l’indulgenza che Noi avevamo usato a proposito della stessa Convenzione, e perciò dichiarammo che da Noi e dai Romani Pontefici Nostri Successori non avrebbero subito sanzione alcuna coloro che prima della Nostra Convenzione avevano acquistato beni della Chiesa.

Ma non solo furono vane le Nostre giustissime recriminazioni e le richieste degli eminenti Sacri Vescovi di Spagna ma, per di più, non pochi di quei prestigiosi Vescovi che meritatamente e con pieno diritto si erano opposti alle predette leggi e ai predetti decreti, furono brutalmente strappati dalle loro Diocesi, inviati e relegati altrove. Certo comprendete, Venerabili Fratelli, quale angoscia Ci opprime nel constatare che le tante cure e sollecitudini da Noi rivolte a instaurare in quel Regno le attività ecclesiastiche sono state vane, e che colà la Chiesa di Cristo è nuovamente colpita da gravissime sventure e che sono conculcati la sua libertà, i suoi diritti, l’autorità Nostra e di questa Santa Sede. Pertanto non abbiamo tollerato che il Nostro incaricato di affari si trattenesse più a lungo colà e gli impartimmo l’ordine di partire dalla Spagna e di far ritorno nell’Urbe. Siamo profondamente addolorati poiché vediamo che la nobile Nazione Spagnola a Noi sommamente diletta per l’insigne sua devozione al cattolicesimo e per gli egregi meriti verso la Chiesa, verso di Noi e questa Apostolica Sede, a seguito di questo nuovo stravolgimento delle cose sacre è costretta a vedere ancora una volta in pericolo la religione.

E poiché il dovere del Nostro ministero Apostolico esige che Noi difendiamo con tutte le forze la causa della Chiesa, a Noi affidata per volontà divina, non possiamo astenerci dall’esprimere le Nostre recriminazioni e richieste palesemente, pubblicamente e nel modo più solenne.

Perciò, alzando ripetutamente la Nostra voce in questo consesso, chiediamo ragione di tutti i soprusi che in Spagna sono stati commessi e si commettono dal potere civile contro la Chiesa, contro la sua libertà e i suoi diritti, contro l’autorità Nostra e di questa Santa Sede, e particolarmente ancor più lamentiamo che la solenne Nostra Convenzione sia stata violata contro lo stesso diritto delle genti; che sia stata ostacolata la specifica autorità dei Vescovi nell’esercizio del sacro ministero; che sia stata usata violenza contro gli stessi Vescovi e che sia stato usurpato il patrimonio della Chiesa contro ogni legge umana e divina. Inoltre, con la nostra autorità apostolica, respingiamo, abroghiamo e dichiariamo del tutto nulle e prive di ogni validità nell’oggi e in futuro le già ricordate leggi e i citati decreti. Ancora: con il massimo vigore di cui siamo capaci richiamiamo, esortiamo e scongiuriamo gli autori di tanti misfatti di considerare seriamente che non potranno sottrarsi alla mano di Dio tutti coloro che non temono di affliggere e perseguitare la santa Sua Chiesa.

Ora Noi non possiamo trattenerci dal rivolgere il più vivo ringraziamento, le più ampie e meritate lodi ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi di Spagna che nel compiere il proprio dovere senza lasciarsi intimorire da alcun pericolo, non desistettero dall’alzare la loro voce congiungendo animi, impegno, decisioni, e dal difendere con strenua costanza la causa della Chiesa. Dobbiamo altresì tributare particolari lodi al fedele Clero Spagnolo che, memore della propria vocazione e del proprio dovere, si adoperò con ogni energia nel collaborare a tale scopo. Un doveroso tributo di lodi rivolgiamo anche a tanti egregi laici spagnoli che, guardando con singolare devoto ossequio alla religione santissima, alla Chiesa, a Noi e a questa Santa Sede, si sono gloriati di difendere con la voce e con gli scritti i diritti della stessa Chiesa. Dunque Noi, per sentimento di carità apostolica, commiseriamo la deplorevole condizione in cui attualmente si trovano quella nobile e a Noi carissima Nazione e la sua Regina, e con insistenti preghiere supplichiamo Dio Ottimo Massimo perché con la Sua virtù onnipotente voglia proteggere, consolare e sottrarre a tante angustie la stessa Nazione e la Regina.

Ora vogliamo che sappiate, Venerabili Fratelli, che Noi siamo afflitti da un’inimmaginabile angoscia per la tragica condizione in cui è ridotta la santissima Nostra religione in Svizzera e soprattutto (ahi dolore!) in alcuni dei più importanti distretti cattolici di quelle regioni federate. Infatti in quei luoghi il potere e la libertà della Chiesa cattolica sono oppressi; l’autorità dei Vescovi e di questa Santa Sede è conculcata; la santità del matrimonio e del giuramento è violata e disprezzata; i Seminari dei Chierici e i Cenobi delle Famiglie Religiose o sono soppressi o sottoposti all’assoluto arbitrio del potere civile; i beni ecclesiastici e il complesso dei benefici sono usurpati; il Clero cattolico è perseguitato e vessato in modo deplorevole. Oggi Vi esponiamo questa realtà dolorosa e non mai abbastanza compianta in modo succinto, dato che abbiamo in animo di pronunciare un’altra Allocuzione in questo vostro consesso, su tale argomento oltremodo penoso.

Frattanto, Venerabili Fratelli, non tralasciamo, notte e giorno, di pregare e di scongiurare con assidue e fervide orazioni il clementissimo Padre delle misericordie e il Dio di ogni consolazione affinché, con la potenza delle Sue braccia, soccorra e difenda la Sua Santa Chiesa oppressa da tante sventure, agitata da tante tempeste, e la sottragga a tutte le avversità che l’affliggono.