Sesta Omelia

1 - Sino a quando vivono nelle foreste e non hanno ancora combattuto contro gli uomini, le belve sono meno selvagge e meno feroci; ma, quando i cacciatori dopo averle catturate le portano in città e chiuse in gabbia le incitano a combattere contro gli uomini, le belve, dopo averli assaliti, gustata la carne e bevuto il sangue umano, non solo non si astengono facilmente da tale cibo, ma anzi si precipitano con avidità su questo pasto.

Questo è veramente quello che proviamo anche noi: infatti, dopo che abbiamo combattuto contro i Giudei e respinto con energia i loro impudenti attacchi, sovvertito i loro ragionamenti, distrutto ogni superbia che si eleva contro la conoscenza di Dio e portato all’obbedienza di Cristo i pensieri ribelli, ci prese un desiderio, ancora maggiore, di riprendere la lotta contro di loro.

Che farò dunque? Vedete come la mia voce si è fatta debole e non può sostenere di nuovo un lungo sermone; mi accade come al soldato il quale, dopo aver respinto molti nemici, attaccato con grande vigore le loro schiere, e averne uccisi molti, improvvisamente, confuso, è costretto a ritirarsi tra i suoi essendosi rotta la spada. Quanto mi capita è ancora più grave. Infatti, il soldato a cui si è rotta la spada può pur sempre impadronirsi della spada di un vicino, assecondare il suo impeto e mostrare grande valore; ma se viene a mancare la voce non è possibile prendere in prestito la voce di un altro. Che fare? Fuggiremo anche noi? No, non lo permette la potenza e la forza della vostra carità. Ho molto rispetto per la presenza del nostro Padre e per la vostra sollecitudine, perciò intraprenderò questo compito superiore alle mie forze, contando sulle sue preghiere e sulla vostra carità. Nessuno di voi condanni come intempestivo questo sermone, se oggi [era una festa dei martiri], mentre i martiri ci chiamano al loro ricordo, tralasciamo di esporre le loro lotte e scendiamo nell’arena a combattere contro i Giudei.

Certamente questo sermone sarà più gradito agli stessi martiri; le nostre lodi non accrescono la loro gloria; che bisogno hanno delle parole umane essi le cui lotte hanno superato i limiti dell’umana natura, e il cui premio vince la forza della nostra mente? Sdegnarono questa vita terrena, sopportarono eroicamente i supplizi e le torture, disprezzarono la morte, volarono in cielo; sfuggiti ai flutti degli eventi umani raggiunsero un porto sereno non con oro, argento e vesti preziose, ma con immensi tesori che nessuno può rubare: la sopportazione, la fortezza, la carità. Ora i martiri sono giunti nel coro di Paolo, felici di fronte alle corone che li attendono, liberi ormai dalle incertezze del futuro. A che servirebbe dunque il nostro discorso? Certamente questo argomento sarà loro più gradito. Infatti, come dicevo prima, le nostre lodi non accrescerebbero la loro gloria. Al contrario, le nostre lotte contro i Giudei aumenteranno il loro gaudio e ascolteranno molto volentieri i sermoni che hanno come fine la gloria di Dio. I martiri in verità odiano i Giudei in modo particolare, perché amano immensamente Colui che i Giudei hanno crocifisso. Infatti costoro dicevano: "Il suo sangue cada su di noi e sui nostri figli" (Matt. XXVII, 25), i martiri versarono il loro sangue per amore di Colui che essi avevano ucciso. Per questo ascolteranno volentieri il nostro sermone.

2 - Abbiamo dunque sufficientemente dimostrato che, se questa servitù dei Giudei avesse dovuto avere fine, i profeti lo avrebbero predetto e mai avrebbero taciuto. Abbiamo infatti spiegato come tutte le cattività siano state predette: la prima, quella in Egitto; poi quella in Babilonia e la terza sotto Antioco Epifane.

Dimostrammo inoltre che, nelle Sacre Scritture, erano stati determinati per ognuna il luogo e il tempo mentre per la presente cattività nessun profeta ha predetto il tempo della fine. Daniele ha predetto che sarebbe venuta, portando una totale desolazione e il cambiamento del potere e della religione; e quanto tempo dopo il ritorno da Babilonia ciò sarebbe accaduto. Tuttavia quando avrebbe avuto fine e quando questi mali sarebbero terminati, non lo predisse né Daniele né alcun altro Profeta.

Al contrario predisse che sarebbe durata sino alla fine dei secoli. Quanto abbiamo detto è provato dalla durata del tempo trascorso, dalla mancanza sino ad oggi di un segno o un inizio di miglioramento e ciò, nonostante i numerosi tentativi di restaurazione del tempio. Tentativi fatti una prima volta, poi una seconda e ancora una terza: sotto Adriano, sotto Costantino, sotto Giuliano, ma tutti i loro sforzi furono contrastati; la prima volta dai soldati, poi dal fuoco divampato dalle fondamenta che ha posto un freno alla loro importuna ostinazione. Benevolmente ho chiesto loro: perché nonostante il lungo tempo trascorso in Egitto, siete tornati in patria? E perché, portati a Babilonia, veniste di nuovo a Gerusalemme? E la terza volta perché, malgrado tutti i mali sopportati sotto Antioco, siete tornati al vostro precedente costume, ai sacrifici, all’altare, al santo dei santi e a tutto quello che ritrovaste con l’antica dignità? Perché adesso nulla di simile è stato fatto? Anzi, sono trascorsi prima cento, poi duecento, poi trecento, quattrocento anni e ancora molti di più: poiché siamo ora nel cinquecentesimo anno da quel tempo (1) e non si vede apparire da nessuna parte un segno di cambiamento.

La situazione dei Giudei è in rovina completa, e neppure in sogno si vede la speranza che avevano nei tempi precedenti. Infatti se gli Ebrei adducessero come motivo i loro peccati e dicessero: poiché abbiamo peccato contro Dio e lo abbiamo offeso, per questo non riacquistiamo la nostra patria; e se questi Ebrei che prima, quando erano accusati dai profeti reagivano con sfrontatezza e negavano gli atroci omicidi loro rimproverati, ora confessassero e condannassero le loro colpe, io, volentieri interrogherei ciascuno di loro: è dunque per i tuoi peccati o giudeo, che sei lontano da Gerusalemme da così lungo tempo? Che vi è in questo di nuovo e straordinario? Solo ora vivete in peccato, mentre prima vivevate con giustizia e rettitudine? Ma non è forse vero che da tempo, fin dall’inizio, avete peccato innumerevoli volte? Non vi rimprovera molte volte il profeta Ezechiele quando, rivolgendosi alle meretrici Olà e Oliba dice: "Edificaste in Egitto un lupanare, avete fatto pazzie con i barbari e adorato gli dei stranieri"? (Ezec. XXIII). Che dire di più? Quando il mare si apriva, quando le rupi si spaccavano, quando tanti miracoli accadevano nel deserto, non avete voi adorato il vitello d’oro? Non avete inoltre tentato di uccidere Mosè, una volta lapidandolo, un’altra scacciandolo, svariate volte e in molti altri modi?

Non avete anche continuato a scagliare bestemmie contro Dio? E non vi siete iniziati al culto di Belfagor? Non avete persino offerto in sacrificio ai demoni i vostri figli e figlie mostrando ogni specie di peccato e di empietà? (Num. XXV, Salmo 105, 37).

Non ha forse detto il profeta, parlando in nome di Dio: "Per quarant’anni sono stato disgustato con questa generazione e dissi: sempre costoro sono traviati nel loro cuore"? (Salmo 94, 10).

Come è potuto accadere che Dio non vi abbia respinti dopo il sacrificio dei figli, dopo il culto degli idoli, dopo tanta malvagità, dopo tanta ingratitudine e abbia lasciato con voi quel grande profeta, Mosè, e vi abbia dato segni così straordinari e prodigiosi? Vi capitarono dei fatti mai accaduti a nessun altro popolo: foste ricoperti da una nube stesa su di voi come un riparo, come una colonna luminosa che vi precedeva, mentre i nemici si arrendevano spontaneamente e le città erano conquistate quasi solo dalla vostra voce. Non erano necessarie né armi, né esercito, né combattimento, suonaste solamente le trombe e le mura crollarono da sé. Vi fu dato in abbondanza un cibo nuovo e sconosciuto, il profeta lo annunzia a gran voce dicendo: "Diede loro un pane celeste; l’uomo ha mangiato il pane degli angeli: mandò loro cibi in abbondanza" (Salmo 77, 25). Ditemi dunque per quale causa quando disprezzavate il Signore, adoravate gli idoli, uccidevate i figli, lapidavate i profeti, commettevate tante scelleratezze, avevate tuttavia da Dio tanta benevolenza e tanta provvidenza, mentre ora che non adorate gli idoli, non uccidete i figli, non lapidate i profeti, passate la vita in perpetua cattività? Il Dio di allora era un altro Dio e non quello di adesso? Non è forse il medesimo Dio che allora governava e che adesso si occupa di quanto accade?

Insomma, quale fu la causa per cui quando i vostri peccati erano ben più numerosi e più gravi, la benevolenza di Dio verso di voi era più abbondante, ed ora con peccati più lievi, Dio vi respinge fermamente e vi abbandona ad una perpetua ignominia? Se vi avversa oggi per i vostri peccati, a maggior ragione avrebbe dovuto farlo allora. Perché, se vi sostenne quando vivevate in modo empio, dovrebbe a maggior ragione sostenervi adesso che non commettete niente di simile.

Ma dunque perché vi ha abbandonati? Se voi vi vergognate di dirne la causa, ebbene la dirò io chiaramente, anzi, non io la dirò, ma la proclamerà la verità dei fatti. Dopo che uccideste Cristo, dopo che alzaste le mani sul Signore, dopo che spargeste il suo prezioso sangue, non vi è più per voi speranza alcuna di riparazione, di perdono, di espiazione.

Un tempo, le vostre azioni malvage furono commesse contro dei servi di Dio: contro Mosè, contro Isaia, contro Geremia; sebbene allora commetteste degli atti scellerati, la vostra impudenza non giunse al sommo della malvagità. Ora invece avete superato tutti i delitti di un tempo, avete raggiunto il colmo della malvagità, a causa dell’insania nel vostro furore contro Cristo, e per questo, ora, subite pene più gravi. E, se questa non è la causa della vostra vergogna, perché Dio vi sopportava quando uccidevate i figli e vi respinge oggi quando non fate più nulla di simile? Evidentemente con l’uccisione di Cristo, avete commesso un delitto ben più grave e scellerato che non l’uccisione dei vostri figli, o qualsiasi altra violazione della legge.

3 - Oserete continuare a chiamare Cristo impostore e trasgressore della legge? Non dovreste piuttosto appartarvi e nascondervi voi che avete davanti agli occhi una verità tanto evidente? Infatti, se Gesù era un impostore come voi dite e un trasgressore della legge, allora voi, per averlo ucciso, meritereste addirittura una lode.

Poiché, se Fineas con l’uccisione di un uomo calmò l’ira del Signore contro il popolo come dice il Profeta: "Fineas si levò, placò il Signore e cessò la tribolazione" (Salmo 105, 30), e se con l’immolazione di uno solo liberò tanti uomini dall’ira divina, un vantaggio ben maggiore sarebbe venuto a voi se colui che avete crocifisso fosse stato un trasgressore della legge. Allora di nuovo vi chiedo, perché Fineas per aver ucciso un uomo che trasgrediva la legge fu considerato un giusto ed ebbe l’onore del sacerdozio? (Num. XXV, 7-13). Come mai, invece, voi che avete messo in croce un impostore, come voi dite, e nemico di Dio, non avete né lodi né onori, anzi dovete sopportare pene assai più acerbe di quando uccidevate i vostri figli? Non è forse evidente anche ai più ottusi, che siete sottoposti a questi castighi perché vi siete comportati con empietà verso il Salvatore, Principe dell’universo? Adesso voi vi astenete dal sangue impuro e osservate il sabato, mentre allora violavate anche il precetto del sabato. Dio per mezzo di Geremia promise che avrebbe risparmiato la vostra città, se voi rinunciavate a portare carichi il giorno di sabato (Ger. XVII, 21); adesso voi obbedite, non portate carichi il sabato, tuttavia nonostante questo Dio non si riconcilia con voi. Infatti il vostro peccato è il più grave di tutti; sicché lo scusarvi alludendo ai peccati commessi è assolutamente senza fondamento. Non è per i peccati commessi, ma proprio per questo delitto che vi trovate nelle presenti calamità.

Se così non fosse Dio non vi sarebbe stato tanto contrario, anche se aveste commesso peccati ben più numerosi; questo è evidente da quanto abbiamo detto prima e sarà ancor più chiaro da quanto dirò. Di che si tratta? Parlando per mezzo dei Profeti abbiamo udito Dio che diceva ai vostri antenati: "In verità voi meritereste innumerevoli mali, ma io agisco così a causa del mio nome perché non sia disonorato fra i gentili" (Ezech. XX, 22); e in altro momento: "Non per riguardo vostro io faccio questo, o casa d’Israele, ma per il mio santo nome" (Idem XXXVI, 22).

E questa è la spiegazione: "Voi, o Ebrei, avreste meritato pene e castighi molto più gravi, ma io vi ho aiutati e protetti perché non si possa dire che Dio per debolezza o impotenza ha abbandonato i Giudei in mano ai nemici".

Perciò se quel Cristo che avete crocefisso era un trasgressore della legge, anche se voi aveste commesso migliaia di peccati e molto più gravi dei precedenti, Dio vi avrebbe salvato proprio per questo: affinché il suo nome non venisse disonorato e Cristo non fosse considerato un grande uomo, e non si potesse dire che voi soffrite questi mali per causa di costui. Ora se vediamo che Dio per la gloria del suo nome perdonava i vostri peccati, a maggior ragione avrebbe dovuto farlo in questo caso: gradire questa uccisione e cancellare la moltitudine dei vostri peccati.

Poiché Dio, com’è evidente, vi è perpetuamente ostile, allora è chiaro che con la sua ira e col perpetuo abbandono vuol mostrare, anche ai più impudenti di voi, che colui che avete ucciso non fu trasgressore della legge, ma l’autore stesso della legge, venuto per colmarvi di beni infiniti.

Per questo voi che agiste contro di lui con empietà, trascorrete la vita nell’ignominia e nell’obbrobrio e invece noi, che lo adoriamo, mentre prima eravamo più disprezzati di voi, ora siamo più onorati e per grazia di Dio; siamo rispettati più di voi e tenuti in maggior considerazione. Chiedono: "Ma dov’è la prova che Dio ci ha respinti?". E allora io ti domando: "È forse necessario dimostrarlo con le parole quando gli avvenimenti lo gridano con voce più sonora delle trombe sia con la rovina della città, sia con la distruzione del tempio e con tutte le altre calamità, eppure voi desiderate ancora un’ulteriore dimostrazione?". Rispondono: "Sono gli uomini, non Dio, gli autori di questi mali". Al contrario, è certamente il Signore l’autore di tutto. Perché se incolpi gli uomini devi riflettere che se gli uomini avessero osato farlo e Dio non lo avesse voluto, non avrebbero potuto attuare il loro disegno.

Quando quel re barbaro si precipitò contro di voi trascinando con sé tutta la Persia, con la speranza di sottomettervi, e vi aveva rinchiusi nella città come in una rete o in una trappola, non è forse vero che allora, ripeto allora, poiché Dio vi era favorevole, senza guerre, senza conflitti, senza battaglia, quel re fu costretto a fuggire, contento solo di salvarsi, lasciando dietro di sé i cadaveri di centottantacinquemila soldati assiri?

In verità Dio ha frequentemente posto termine in tal modo a molte guerre.

Perciò adesso, se Egli non vi avesse abbandonati, i nemici non avrebbero potuto impadronirsi di Gerusalemme e devastare il tempio; né questa desolazione si sarebbe mantenuta sino ad ora, e nonostante i ripetuti tentativi, i vostri sforzi non sarebbero rimasti infruttuosi.

4 - Non queste sole considerazioni, ma altre ancora vi mostreranno chiaramente che gli imperatori romani vi hanno trattati così non a causa della loro bravura, ma perché avete suscitato la collera di Dio che vi ha abbandonati. Se questi avvenimenti fossero stati opera umana le vostre disgrazie avrebbero dovuto aver fine con la distruzione di Gerusalemme e la vostra ignominia non avrebbe dovuto durare fino ad ora. Supponiamo che, come voi dite, siano stati gli uomini ad abbattere le mura, a distruggere la città, a rovesciare l’altare, ma sono stati forse gli uomini a far sì che non abbiate più profeti? Sono gli uomini che vi hanno tolto la grazia dello Spirito Santo? Sono gli uomini che hanno abolito ciò che avevate di venerabile: la voce che usciva dal propiziatorio, la forza dell’unzione, la "dichiarazione" delle gemme preziose del sommo sacerdote? (2).

Non tutte le cose nella religione giudaica erano di origine terrena, ma molte e le più importanti erano di origine sovrannaturale e celeste.

Consideriamo un esempio: Dio volle che gli fossero offerti dei sacrifici; l’altare era di origine terrena, così la spada, la legna e persino il sacerdote, ma il fuoco che scendeva all’interno del santuario e consumava la vittima era di origine celeste. Non era un uomo a portare il fuoco nel tempio, ma una fiamma discesa dal cielo completava l’offerta del sacrificio. Inoltre, se vi era qualcosa da conoscere, una voce ispirata dai Cherubini usciva dal propiziatorio e prediceva il futuro; e ancora, le pietre preziose che ornavano i paramenti del sommo sacerdote, rilucevano di un particolare fulgore che indicava gli avvenimenti futuri e questo si chiamava "dichiarazione". Quando poi si doveva dare la Santa Unzione, la grazia dello Spirito Santo scendeva e penetrava nell’olio. I Profeti furono i ministri di questi servizi sacri, sovente una nube o un fumo oscuravano l’interno del santuario. Perché i Giudei con sfrontatezza non attribuissero agli uomini le loro sciagure, il Signore non solo permise la distruzione della città e la rovina del tempio, ma tolse loro anche tutto quanto aveva origine celeste, come il fuoco, la voce, il fulgore delle gemme e tutti gli altri prodigi di questo genere.

Perciò quando un giudeo ti dirà: "Sono gli uomini che ci hanno fatto guerra, che ci hanno teso delle insidie", tu rispondigli: "No, gli uomini non ti avrebbero fatto la guerra se Dio non lo avesse permesso". Ma sia pur vero che gli uomini abbiano distrutto le mura, è forse un uomo che impedì al fuoco di scendere dal cielo? È forse un uomo che ha imposto silenzio alla voce che si faceva sentire abitualmente dal propiziatorio? E la "dichiarazione" delle gemme? E l’unzione sacerdotale? E tutte le altre meraviglie, le ha forse tolte un uomo? O non è forse Dio che ve le ha tolte? Nessuno può dubitarne, ma allora, per qual motivo Dio l’ha fatto? Non è forse chiaro che Dio lo ha fatto perché vi odia e vi respinge completamente? Replicano i Giudei: "Non è vero, ma siccome non abbiamo più la nostra capitale per questo siamo privati di tutto". E allora noi diciamo: perché non avete più la vostra capitale? Non è perché Dio vi ha abbandonati? Allora chiudiamo le loro bocche impudenti con un più ampio ragionamento, e con la testimonianza delle Sacre Scritture dimostreremo che non fu la distruzione del tempio a causare la fine delle profezie, ma l’ira di Dio e lo sdegno provocato dal loro furore contro Cristo, ira e sdegno ancora più grandi di quando essi adorarono il vitello d’oro.

Quando Mosè vaticinava, non vi erano né tempio né altare; benché gli Ebrei persistessero nelle loro innumerevoli empietà, tuttavia non cessò il dono della profezia. Oltre a questo uomo grande e famoso, vi furono altri settanta profeti. Non solo, ma quando agli Ebrei fu ridato il tempio e ristabilito il culto e poi quando il tempio fu nuovamente distrutto dalle fiamme e gli Ebrei portati a Babilonia, Ezechiele e Daniele, ripieni di Spirito Santo, predicevano gli eventi futuri ed annunziavano molti fatti anche più straordinari di quelli passati. Ebbero pure una visione divina, nella misura in cui Dio glielo permise, sebbene non vedessero il Santo dei Santi, né potessero stare presso l’altare, e vivessero in un paese barbaro, fra uomini impuri. E allora ditemi, perché ora non avete nessun profeta? Non è chiaro che la causa è questa? Dio vi è contrario. E perché Dio vi è contrario? Anche questo è chiaro, a causa di Colui che avete crocifisso, a causa di questo empio delitto.

Da cosa risulta? Da questo: prima vivevate empiamente ed eravate esauditi in tante cose, ora invece, dopo la Croce, conducete una vita più morigerata, eppure soffrite pene maggiori e non godete più di quei privilegi che avevate prima.

5 - Questo è ben testimoniato dai profeti, e affinché comprendiate la causa dei presenti mali, ascoltate cosa dice Isaia, come egli predice allo stesso tempo i futuri benefici recati a tutti dalla venuta di Cristo e la vostra ingratitudine. Ecco le parole di Isaia: "Siamo stati sanati dalle sue piaghe" (LIII, 5) indicando la salvezza che la Croce ha portato a tutti noi; poi per indicare quali eravamo, il profeta aggiunge: "Siamo stati tutti come pecore sviate. Ciascuno deviava per la sua strada" (idem 6). Per spiegare il supplizio della Croce, così si esprime: "Non diceva una parola, come un agnello che si porta ad uccidere, come la pecora muta dinanzi a chi la tosa, così egli non aprì la bocca. Per la sua umiltà fu pronunziato il giudizio contro di lui" (idem VII, 8). Dove accadde questo? Nell’iniquo pretorio di Pilato.

Molte furono le testimonianze portate contro di lui, Gesù non rispose nulla. Il governatore gli disse: "Senti quanti testimoniano contro di te?" (Mt XXVII, 12). Non rispose e continuò a tacere. Un tempo per ispirazione celeste il profeta aveva detto: "Fu condotto a morte come un agnello e come un agnello davanti a chi lo tosa restò muto" (Is. LIII, 7). Parlando delle iniquità compiute nel pretorio: "Per la sua umiltà fu pronunziata la condanna" (Is. LIII, 8). Nessuno pronunciò una sentenza secondo giustizia, ma tutti accettavano le false testimonianze contro di lui. Questo perché Gesù non voleva vendicarsi, se egli l’avesse voluto avrebbe confuso e sconvolto ogni cosa. Infatti se nel momento in cui pendeva dalla croce spaccò le rocce, oscurò tutta la terra, nascose i raggi del sole, fece notte a mezzogiorno in tutto l’orbe terracqueo, così avrebbe potuto fare mentre era nel pretorio, ma non volle, mostrando mansuetudine e dolcezza. Per questo Isaia ha detto: "Per la sua umiltà fu pronunziato giudizio di condanna" (idem). Poi per dimostrare che era un uomo diverso dagli altri aggiunge: "Chi racconterà la sua generazione?". Chi è colui di cui si dice: "La sua vita è stata strappata dalla terra?". Per questo Paolo scrive: "La nostra vita sta nascosta in Dio con Cristo. Quando Cristo che è la nostra vita apparirà, allora apparirete anche voi nella gloria con Lui" (Coloss. III, 3-4).

Ma quello che mi ero proposto di esporre, cioè la causa dei mali presenti di cui soffrono i Giudei, lo farò dire dallo stesso Isaia. Dopo la seduta nel pretorio, dopo l’uccisione e l’Ascensione, il Profeta dice: "La sua vita è stata strappata dalla terra" e aggiunge: "Attribuirò ai malvagi la sua sepoltura e ai ricchi la sua morte" (Is. LIII, 9) (3). Non dice semplicemente Giudei ma malvagi: e chi invero può essere più malvagio di coloro i quali dopo aver ricevuto tanti benefici uccisero il benefattore? Se è vero che questo non accadde, se è vero che non vivete nell’ignominia, se è vero che non siete adesso privati di tutti i beni dei vostri padri, se è vero che la vostra città non è distrutta e il vostro tempio demolito, e infine se non è vero che le vostre disgrazie superano la peggiore tragedia, allora, o giudeo, non credere alle mie parole. Se al contrario i fatti parlano ad alta voce, se quanto era stato predetto dai profeti si è avverato, perché senza ragione sei tanto impudente?

Dove è ora tutto quello che era venerabile, dove è il gran sacerdote, dove la tunica sacerdotale e il pettorale, dov’è la "dichiarazione"? E non parlarmi di questi odierni patriarchi, tavernieri e trafficanti pieni di ogni iniquità. Ma dimmi quale sacerdote puoi avere, mentre non hai l’antico olio, né alcuna delle sante cose di un tempo? Ti chiedo: quale sacerdote quando non vi è più sacrificio, né altare, né culto? Vuoi che io ti reciti le leggi che concernono il sacerdozio, e in qual modo si soleva consacrare i sacerdoti?

Perché tu comprenda che coloro che chiamate patriarchi non sono sacerdoti, ma agiscono simulando come maschere di sacerdoti, non diversamente dalla recitazione degli istrioni sulla scena, dirò anzi che in verità non possono nemmeno sostenere la parte del sacerdote, tanto sono lontani non solo dalla verità ma dalla sua stessa immagine. Ricorda dunque, come il sacerdozio fu conferito ad Aronne, quanti sacrifici furono offerti per lui da Mosè, quante vittime immolate, come Mosè lo purificò, e come gli unse l’estremità dell’orecchio, la mano destra e il piede destro; come poi Mosè lo abbia introdotto nel Santo dei Santi e gli abbia ordinato di rimanervi per un determinato numero di giorni.

Ma è molto meglio ascoltare il racconto della Sacra Scrittura. È scritto: "Questa è l’unzione di Aronne e dei suoi figli" (Levit. VII, 35). "Il Signore parlò a Mosè dicendo: "Prendi Aronne e i suoi figli, le loro vesti, l’olio dell’unzione, il vitello offerto in espiazione del peccato, un montone, e convoca tutto il popolo alla porta del tabernacolo". E Mosè, a tutta la moltitudine convocata, disse: "Questo è quanto il Signore ha comandato di fare". Dopo aver fatto avvicinare Aronne e i figli - qui riassumo un po’ il discorso - li lavò con l’acqua, poi vestì Aronne con la tunica e lo cinse con la cintura, lo rivestì del manto e sul manto l’ephod e lo strinse con la cintura, gli mise poi il razionale con su scritte le parole "Dottrina e Verità" (4). Sul capo di Aronne Mosè pose la tiara e su questa la lamina d’oro. Quindi preso l’olio ne asperse l’altare per santificarlo, lo stesso fece con la base, i vasi, il bacile. Versò l’olio anche sul capo di Aronne e dei figli.

Mosè portò poi il vitello e dopo averlo immolato e dopo che Aronne e i figli ebbero poste le mani sulla testa della vittima, prese un po’ di sangue, unse le estremità dell’altare e lo purificò, poi versò un po’ di sangue anche sulla base dell’altare e lo consacrò per rendere propizio il Signore.

Dopo aver bruciato parecchie cose, alcune dentro l’accampamento, altre fuori, portò il montone e lo immolò in olocausto. Portò poi un altro montone per il compimento del rito; lo uccise mentre Aronne e i figli gli stendevano le mani sulla testa e ancora unse col sangue l’estremità dell’orecchio destro di Aronne, l’estremità della mano destra e del piede destro; lo stesso fece con i figli.

Mosè prese quindi una parte della vittima e la mise tra le mani di Aronne e dei figli, e così si fece l’offerta al Signore.

In seguito Mosè prese nuovamente il sangue e l’olio dell’unzione e ne asperse Aronne e i suoi paramenti; ne asperse anche i figli e i loro paramenti, li santificò e ordinò di cuocere la carne nell’atrio del tabernacolo e di nutrirsi con questa carne. "Dall’ingresso del tabernacolo non uscite, disse, per sette giorni finché non siano trascorsi i giorni della consacrazione. Occorrono infatti sette giorni perché le vostre mani siano consacrate e perché il Signore vi sia propizio"" (Lev. VIII, 1 segg).

Poiché la Scrittura racconta come fu consacrato Aronne, come venne purificato e santificato e con quali mezzi rese propizio il Signore e ora non vi è nulla di tutto questo, né vittima, né olocausto, né aspersione di sangue, né unzione di olio, né tabernacolo e neppure la permanenza nel tabernacolo per un numero di giorni prestabiliti, è evidente che l’odierno sacerdote dei Giudei è impuro ed empio, illegittimo e senza carattere sacro e che, infine, provoca l’ira del Signore. Infatti se non poteva essere consacrato se non con questi riti, è assolutamente certo che il loro sacerdozio non esiste. Vedi che posso dire a buon diritto che i Giudei sono lontani non solo dalla realtà ma anche dall’apparenza di verità.

6 - Non vi è questa sola testimonianza, ma vi sono molti altri avvenimenti dai quali si può comprendere quanto grande sia stata la dignità del sacerdozio. Quando degli uomini scellerati e corrotti insorsero contro Aronne, tentando di cacciarlo dalla carica, disputando sulla sua dignità, Mosè, uomo oltremodo mansueto, desiderando persuaderli con i fatti che egli non aveva innalzato Aronne a quell’onore perché fratello o cognato o parente, ma perché il Signore gli aveva ordinato di elevarlo al sacerdozio, comandò che ogni tribù portasse una verga. Mosè ordinò la stessa cosa ad Aronne e quando tutte le verghe furono raccolte, le prese e tutte insieme le ripose al chiuso. Fatto ciò comandò di attendere il giudizio divino che sarebbe stato dato per mezzo di esse (Num. XVII, 2 segg.).

Le verghe rimasero tutte insieme nello stesso luogo, ma la sola verga di Aronne germogliò e produsse fronde e frutta, affinché si comprendesse che il Signore della natura lo sceglieva per la seconda volta e lo faceva con le foglie invece che con le parole. In verità Colui che all’inizio aveva detto: "Germini la terra e si ricopra di erba" (Gen. I, 11) e aveva dato alla terra la forza di fare frutti, allo stesso modo fece sì che un pezzo di legno secco e senza linfa germogliasse pur senza terra e radice; in seguito la verga di Aronne fu argomento e testimonianza sia della malizia dei Giudei che del giudizio divino, pronunciato non con la voce ma con il suo solo aspetto, eppure più squillante di una tromba, e fu ammonimento perché tali misfatti non dovessero ripetersi in avvenire.

Non soltanto in questo, ma anche in un altro modo il Signore dichiarò che Aronne era il sacerdote. Siccome molti Ebrei si erano sollevati contro di lui desiderando la sua carica (infatti il potere è occasione di lotta ed è ricercato da molti), Mosè allora comandò che fossero portati dei turiboli, si mettesse l’incenso, e si attendesse la sentenza celeste. Mentre facevano bruciare l’incenso la terra si aprì e inghiottì quelli che avevano preso parte al complotto, quelli che avevano preso i turiboli furono invece divorati da un fuoco sceso dal cielo (Num. XVI, 18). Perché il trascorrere del tempo non facesse cadere nell’oblio questo avvenimento e la meravigliosa sentenza di Dio venisse ignorata dai posteri, Mosè ordinò che i turiboli venissero fissati all’altare: come la verga senza voce parlò col solo suo aspetto, così i turiboli avrebbero parlato a tutti nell’avvenire ammonendo gli uomini e consigliandoli a non imitare la pazzia degli antenati, per non dover subire gli stessi castighi. Vedi dunque come venivano eletti un tempo i sacerdoti? Quello che accade ora presso i Giudei è un gioco che merita derisione, una vergogna, un traffico da osteria, pieno di immensa empietà.

E tu, dimmi, segui questi uomini che ostinatamente sono sempre contrari alla legge di Dio, sia con i fatti che con le parole? E corri alla loro sinagoga? Non temi che un fulmine caduto dal cielo ti bruci il capo? Ignori forse che quelli che non avevano rubato, ma erano stati visti nella caverna dei ladri, furono puniti come gli stessi briganti? Ma perché parlo di briganti? Certamente sapete tutti e ricordate, cosa accadde quando uomini scellerati e ingannatori rovesciarono le statue: furono portati in giudizio e condannati all’estremo supplizio, non solo quelli che avevano compiuto il misfatto, ma anche quelli che ne erano stati spettatori, considerandoli consenzienti.

E tu, dove corri? Là dove il Padre viene insultato, dove il Figlio è coperto di bestemmie, dove è disprezzato lo Spirito Santo e Vivificatore? Ma non hai timore, non inorridisci quando entri in questi luoghi impuri e malsani? Dimmi, che scusa, che perdono avrai tu che ti getti nel baratro e di tua volontà ti butti nel precipizio? Non dirmi che là vi è la legge e vi sono i libri dei profeti: questo non è sufficiente a rendere sacro un luogo. Quale di queste due domande è più importante? Che questi libri siano in quel luogo? O che si parli di quanto è scritto nei libri? Evidentemente è meglio che si parli di quanto è scritto nei libri e che li si tenga a cuore. Rispondimi dunque: qualora il diavolo recitasse le Sacre Scritture, per questo la sua bocca diverrebbe santa? Non puoi affermarlo, un diavolo resterebbe quello che era: un diavolo. E che dire dei demoni? Se predicassero e dicessero: "Questi uomini sono servi dell’Altissimo nostro Signore e vi annunziano la via della salvezza" (Atti XVI, 17), li metteremmo forse nel rango degli Apostoli? Giammai, continueremmo ad esecrarli e odiarli. Allora se le parole pronunziate non santificano, possono santificare i libri posti in un luogo? Assolutamente no. Per qual motivo? Proprio per questo io odio la sinagoga, perché possiede la legge e i profeti, e la odio ancora di più che se non li avesse mai posseduti. Perché? Perché possiede così svariate esche e mezzi fraudolenti con i quali inganna i più ingenui. Una volta Paolo si fece maggior premura di cacciare un demone perché parlava, che se quello avesse taciuto: "Infatti Paolo, stanco e annoiato di ascoltarlo disse allo spirito: "Esci da lei"". Perché? Perché gridava: "Questi uomini sono servi del sommo Dio" (Atti XVI, 18). Tacendo infatti i demoni non ingannavano molti, parlando invece potevano adescare e persuadere molte persone ingenue, che li avrebbero senza dubbio obbediti in tutto il resto. Era un mezzo per aprire la porta ai loro inganni e potere in seguito dire il falso più sfacciatamente: perciò mescolavano qualche verità, comportandosi come coloro che, preparando una bevanda avvelenata, ungono con miele il bordo della coppa perché il veleno sia accettato più facilmente. Questo infastidiva Paolo e lo spinse ad affrettarsi per chiudere la bocca al demone che usurpava un’autorità che non gli conveniva.

Per questo io odio gli Ebrei, perché hanno la legge e la violano e in tal modo tentano di adescare gli ingenui. Sarebbero meno colpevoli se, non credendo più ai Profeti, rifiutassero anche di credere a Cristo. Ma in verità adesso hanno rinunciato ad ogni speranza di perdono, perché mentre ostentano di credere ai Profeti, coprono di ingiurie Colui che i Profeti hanno annunziato.

7 - Insomma, se credi che un luogo sia santo perché vi sono riposti la legge e i libri dei profeti, devi considerare santi anche gli idoli e i loro templi. Una volta, in una guerra degli Ebrei contro gli Azoti, questi ultimi, vincitori, si impadronirono dell’arca e la misero nel loro tempio (I Re, V). Quel tempio divenne forse sacro perché vi era l’arca? Sicuramente no, ma restò profano ed impuro. E presto gli avvenimenti lo dimostrarono. Alfine di far vedere ai nemici che la loro vittoria era effetto non della debolezza di Dio, ma delle colpe degli Ebrei che avrebbero dovuto venerarlo, l’arca, prigioniera in terra straniera, mostrò la sua forza e per due volte rovesciò l’idolo al suolo e lo mandò in frantumi. Ben lontana dal santificare il luogo, addirittura lo combatteva. Ma adesso, che arca possono avere i Giudei in un luogo in cui non vi è il propiziatorio? E non vi sono neppure le tavole del testamento, l’oracolo, il Sancta Sanctorum, il velo, il sommo sacerdote. E ancora: non vi è l’olocausto, né l’incenso, né il sacrificio, nulla di quanto rendeva l’arca degna di venerazione. Per me l’arca che oggi hanno i Giudei, non vale più delle cassette che sono vendute in piazza, direi anzi che vale meno perché quelle cassette non possono ferire coloro che sono vicini, mentre l’arca può ogni giorno dare gran danno a quelli che si accostano a lei. "Fratelli, non siate fanciulli per la saggezza, ma siate bambini per la malizia" (I Cor. XIV, 20). Liberate da questo timore senza fondamento coloro che sono impauriti, e insegnate loro che non è necessario temere e rispettare quest’arca, ma che quelli che si affrettano in quel luogo profanano il tempio di Dio a causa della coscienza propensa al giudaismo e a causa di questo culto inopportuno. È detto: "Tutti voi che cercate giustificazione nella legge sarete allontanati dalla grazia" (Gal. V, 4). Questo è necessario temere, per non udire in quel giorno da chi vi giudicherà: "Andate via, non vi conosco" (Luca XIII, 27). Avete fatto causa comune con quelli che mi crocifissero, avete rinnovato, contro la mia volontà, le solennità che avevo abolito, siete corsi alla sinagoga dei Giudei che si comportavano verso di me con empietà e violavano la legge.

Ora io ho abbattuto il loro tempio e ridotto ad un cumulo di rovine proprio quel tempio venerabile e pieno di oggetti degni di ogni rispetto e riverenza, e voi frequentate un luogo che non è meglio delle taverne o delle spelonche dei ladri.

Quando vi erano ancora i Cherubini, vi era l’arca e fioriva la grazia dello Spirito Santo, il Signore aveva detto: "Avete fatto del tempio una spelonca di ladri" (Ger. VII, 11) e anche: "Una casa di mercanti" (Matt. XXI, 13) per le loro iniquità e i loro delitti. Ora, dopo che la grazia dello Spirito Santo li ha abbandonati, è scomparso tutto quello che era venerabile e grato a Dio; poiché praticano questa empia religione, quale appellativo trovi degno delle loro sinagoghe? Se il tempio era già una caverna di ladri quando là si adorava veramente Dio, adesso se lo chiami lupanare, luogo di malaffare, asilo di diavoli, fortezza del demonio, rovina delle anime, precipizio e baratro della perdizione, qualunque nome tu le dia è sempre meno di quanto si meriti.

Desideri vedere il tempio? Non correre alla sinagoga, tu stesso sii il tempio. Dio distrusse l’unico tempio di Gerusalemme, ma ne eresse innumerevoli altri ben più venerabili. "Voi - dice l’apostolo Paolo - siete il tempio del Dio vivente" (II Cor. VI, 16). Ebbene adorna questo tempio, scaccia tutti i cattivi pensieri per essere un prezioso membro di Cristo e il tempio dello Spirito Santo, e poi cerca di rendere altri simili a te.

E come quando vedi i poveri non ti allontani con indifferenza, così quando vedi qualcuno che corre alla sinagoga, non far finta di nulla, ma fermalo con le parole e riportalo alla chiesa. Questa è l’elemosina più grande che si possa fare e un guadagno maggiore di diecimila talenti; ma che dico? Diecimila talenti? Un guadagno maggiore di tutto l’universo visibile. Perché un uomo è più prezioso di tutto il mondo: per l’uomo furono creati il cielo e la terra, il mare, il sole e le stelle. Valuta quindi quanto grande è la dignità di colui che si tratta di salvare e non trascurare di averne cura.

Poiché se tu spendessi anche delle enormi somme in elemosine, nulla sarebbe in confronto all’aver salvato un’anima e averla ricondotta dall’errore alla pietà. Chi dà al povero calma la sua fame, ma chi riconduce un giudaizzante sulla retta via estingue l’empietà: quello ha dato sollievo al povero, questo ha impedito l’iniquità; il primo ha liberato il corpo dall’indigenza, il secondo ha strappato l’anima dall’inferno.

Ti ho mostrato il tesoro, non trascurare questo guadagno. Non parlarmi di povertà, non prendere a pretesto la miseria, si debbono soltanto adoperare delle parole e dispensare dei discorsi. Non abbandoniamoci dunque alla pigrizia, ma con premura e ardore cerchiamo i nostri fratelli e, anche loro malgrado, portiamoli a casa, serviamo loro un pranzo, sediamo oggi con loro ad una mensa comune, affinché dopo aver rotto il digiuno davanti ai nostri occhi, e averci dato una prova convincente e manifestato la loro piena fede e la loro conversione, ottengano per loro stessi e per noi i beni eterni: per la grazia e la carità di Nostro Signor Gesù Cristo, col quale e per il quale sia gloria al Padre in unità con lo Spirito Santo, ora e sempre nei secoli dei secoli. Così sia.