Ottava Omelia

1 - Ecco passato il digiuno dei Giudei, o piuttosto, la loro ubriachezza. Vi è, infatti, una ubriachezza che non è data dal vino, e anche se astemi si può essere ubriachi e dissoluti. Se nessuno, invero, potesse essere ubriaco senza vino il Profeta non avrebbe detto: "Guai a coloro che sono ubriachi e non per il vino" (Isaia XXIX, 9). E se la ubriachezza non fosse possibile senza vino, Paolo non avrebbe detto: "Non ubriacatevi con il vino" (Tess. V, 18). Disse "non ubriacatevi con il vino" come se qualcuno potesse ubriacarsi senza vino. Infatti si può essere ubriachi per l’ira, per sconveniente concupiscenza, per avarizia, per amore della gloria e per altre innumerevoli passioni.

L’ubriachezza non è altro che la perdita della retta ragione, è delirare, uscire di senno. Può, quindi, essere giustamente giudicato ubriaco non solo chi ha bevuto molto vino, ma anche colui al quale una passione divora l’animo: infatti è ubriaco chi è preso d’amore per la moglie di un altro, chi passa il tempo con le prostitute. E come colui che per aver bevuto troppo vino cammina barcollando, dice parole volgari e scambia una cosa per un’altra, così anche l’impudico, pieno della sua cupidigia come di un vino, non dice parole ragionevoli ma solamente parole oscene, vergognose, volgari e ridicole, vede una cosa al posto di un’altra, senza più discernere quanto ha intorno.

Se brama violentare quella donna, con l’immaginazione la vede ovunque; è come un uomo istupidito e in preda al delirio che nelle riunioni e nei festini, in ogni momento e in ogni luogo se molte migliaia di persone gli rivolgessero la parola sembrerebbe neppure udirle; ma il suo animo è tanto preso da lei che sogna soltanto il peccato, sospetta di tutto e tutto teme, proprio come un animale prigioniero e stordito. Ugualmente è ubriaco colui che è posseduto dall’ira: anche a lui il viso diventa gonfio, la voce più aspra; gli occhi iniettati di sangue, la mente ottenebrata, la ragione scomparsa; la lingua trema mentre gli occhi guardano di traverso e le orecchie intendono una cosa per un’altra; senza dubbio l’ira è molto più violenta di qualsiasi vino perché la collera colpisce il cervello, solleva una tempesta e produce un’agitazione che non si può calmare

Ma se chi è dominato dalla concupiscenza e dall’ira è un ubriaco, molto di più lo è l’uomo empio, che bestemmia Dio, respinge la sue leggi e non vuol rinunziare a questa eccessiva ostinazione. Egli è ubriaco e pazzo, in condizioni peggiori di coloro che si danno alle gozzoviglie e sragionano, ma non sembra accorgersene. Perché proprio questo capita con l’ubriachezza, di non capire assolutamente che si agisce in modo turpe.

Quello che è gravissimo in coloro che hanno perso la ragione, è che mentre sono malati, non capiscono di essere tali: ed è così ora per i Giudei, sono ubriachi e non se ne accorgono.

Il loro digiuno è passato, è vero, un digiuno più vergognoso dell’ubriachezza; ma noi non allentiamo la sollecitudine per i nostri fratelli e non crediamo che in avvenire possa essere loro importuna. Faremo come i soldati: quando terminata la battaglia, messo in fuga il nemico e tornati dall’inseguimento, non corrono subito alle tende, ma prima ritornati sul posto del conflitto, raccolgono quelli dei loro che hanno perso la vita e li sotterrano.

Se vedono in mezzo ai morti alcuni che respirano ancora e che non hanno ferite letali, li portano nelle tende e prestano loro molte cure: estratto il ferro, chiamati i medici, deterso il sangue, usati tutti i rimedi e tutte le altre cure, li riportano alla salute. E anche noi, poiché col soccorso della grazia di Dio, abbiamo inseguito i Giudei armando contro di loro i Profeti, ora, che siamo tornati, vediamo se qualcuno dei nostri fratelli è caduto, se qualcuno ha partecipato al digiuno, se qualcuno ha preso parte alle loro solennità.

Certo non seppelliremo nessuno; al contrario, prendiamo i nostri feriti e curiamoli. Ma mentre nelle guerre ordinarie colui che è caduto e ha reso l’anima non può essere salvato dal compagno e riportato in vita, in questa guerra, in questa battaglia, anche se ha ricevuto una ferita mortale ci è possibile, con l’aiuto della grazia di Dio, riportarlo in vita.

Questa morte non è, come quell’altra, una morte della natura, ma morte della volontà e dei propositi. E si può suscitare di nuovo la morta volontà, si può persuadere l’anima morta a tornare alla sua vera vita e a riconoscere il suo Signore.

2 - Avanti fratelli, non stanchiamoci, non abbattiamoci, non perdiamoci d’animo, e nessuno mi venga a dire queste parole: era opportuno prima del digiuno stare in guardia da loro e togliere tutti gli ostacoli, adesso invece che il digiuno è passato, dopo che il peccato è stato commesso, dopo che l’iniquità è stata consumata, a cosa serve agire? Ma se qualcuno sa cosa vuol dire prendersi cura del fratello, sa anche che adesso è più opportuno darsi da fare e usare tutto il nostro zelo. Non basta infatti cercare la salvezza del fratello prima che il peccato sia commesso, ma, in verità, è dopo la caduta che bisogna tendere la mano.

Infatti se Dio all’inizio avesse agito in tal modo, ci avesse avvisati prima del peccato, e dopo il peccato avesse abbandonato l’uomo e lo avesse lasciato nella perpetua rovina, nessuno di noi si sarebbe salvato. Ma Dio non fece questo: indulgente, amava il genere umano e desiderava vivamente la nostra salvezza. Anzi, proprio dopo il peccato mostra tutta la sua sollecitudine, dal momento che prima del peccato aveva ammonito Adamo dicendogli: "Mangia del frutto di ogni albero del Paradiso. Ma dell’albero del bene e del male non mangiare perché in qualsiasi giorno tu ne avrai mangiato morrai" (Gen. II, 16-17). Affinché Adamo non peccasse, Dio provvide con la facilità della legge, la larghezza delle concessioni, la severità del supplizio e la prontezza del castigo. Non disse infatti: dopo uno, due, tre giorni, ma lo stesso giorno in cui ne mangerete morrete. Usò dunque tutti i modi possibili per avvertire l’uomo di stare in guardia; tuttavia, quando dopo tanta sollecitudine, tanti insegnamenti, esortazioni, favori, Adamo cadde e non obbedì agli ordini divini, Dio non disse: "A che serve? Quale vantaggio aspettarsi? Ha mangiato, è caduto, ha trasgredito la legge, ha ascoltato il diavolo, ha disprezzato il mio ordine, ha ricevuto una ferita mortale, è morto, appartiene alla morte, è incorso nella sentenza di condanna: perché, dopo tutto questo, parlargli ancora?". Ma il Signore non disse nulla di tutto questo, andò subito da lui, gli parlò, lo confortò e gli indicò il rimedio (Gen. III): cioè lavoro e sudore, e non desistette se non dopo aver fatto tutto il possibile, tentato tutto, affinché la natura umana decaduta si risollevasse e, liberata dalla morte, potesse arrivare al Cielo. Dando all’uomo beni più grandi di quelli perduti, mostrò coi fatti al diavolo che non aveva avuto nessun profitto dalle sue insidie e che avrebbe visto di lì a poco gli uomini cacciati dal Paradiso in cielo con gli Angeli.

Lo stesso fece il Signore con Caino: prima del peccato lo aveva avvertito dicendo: "Hai peccato, stai quieto; egli verrà da te e tu gli imporrai la tua autorità" (Gen. IV, 7). Considera la sapienza e la prudenza di Dio. Tu temi, dice il Signore, che tuo fratello, a causa dell’onore che gli ho accordato, ti spogli delle prerogative della primogenitura, e usurpi il diritto di autorità che ti è dovuto. Infatti era stabilito che i primogeniti fossero più onorati dei figli nati dopo. Stai tranquillo, dice il Signore, non temere, non perderti d’animo per questo: "Egli verrà e tu gli imporrai la tua volontà". Ecco il senso di queste parole: "Conserva i tuoi diritti di primogenitura, ma sii per tuo fratello un rifugio, un sostegno, una protezione, comanda e dominerai su di lui; ma non precipitarti all’omicidio e non lasciarti andare a questa empia uccisione".

Caino tuttavia non lo ascoltò né si calmò, ma compì questo terribile delitto e colpì alla gola il fratello. E dopo? Disse forse Dio: lo lasceremo vivere? Che utilità ne avremmo? Ha commesso un delitto, ha ucciso suo fratello, ha disprezzato i miei ammonimenti, ha osato commettere un omicidio irreparabile e imperdonabile, dopo tale e tanta mia sollecitudine, insegnamento e consiglio; ha bandito tutto ciò dal suo cuore e ha cambiato idea. Sia dunque in avvenire respinto e abbandonato e ritenuto indegno di qualsiasi mio riguardo.

No, Dio non disse niente di tutto questo, ma agì. Andò di nuovo da Caino e per ricondurlo sulla retta via gli chiese: "Dov’è tuo fratello Abele?" (Gen. IV, 9-10), affinché non negasse e per portarlo, anche suo malgrado, alla confessione del delitto. Avendo Caino risposto: "Non so", il Signore disse: "La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra". I fatti stessi denunziano ad alta voce che sei colpevole di omicidio. E Caino che disse? "È troppo grande il mio peccato perché io meriti il perdono e se mi scacci dalla terra sarò nascosto anche dal tuo cospetto" (Ibid. IV, 13-14). Ecco il significato di questo discorso: ho commesso una colpa delle più gravi, che non merita perdono e che non può essere scusata o condonata, ma se volete vendicarvi per quello che ho fatto, io sarò abbandonato da tutti quando avrò perso il vostro aiuto. E allora il Signore? "Non sarà così" disse. "Se qualcuno ucciderà Caino sarà punito sette volte tante" (Ibid. IV, 15). Non temere, aggiunse, vivrai una lunga vita e se qualcuno ti ucciderà sarà colpito da molti castighi. Infatti il numero sette nella Sacra Scrittura ha il significato di infinite volte.

Dunque, poiché Caino era già colpito da molti mali, angoscia, tremito, gemiti, profonda afflizione e disfacimento del corpo, chi ti ucciderà e ti libererà da queste catene, dice il Signore, attirerà su di sé la vendetta. Sebbene sembri che quel che dice il Signore sia veramente atroce, Egli mostra al contrario la sua benevolenza. Infatti, volendo portare i posteri a maggior moderazione, escogitò questo genere di castigo perché Caino potesse espiare il peccato.

Se il Signore lo avesse subito colpito a morte, Caino sarebbe scomparso e con lui anche il suo delitto, che non sarebbe stato per nulla conosciuto dai posteri. Ora invece, poiché gli fu permesso di vivere a lungo con quel tremito, fu maestro, col suo stesso aspetto, a tutti coloro che incontrava e con il vacillare del corpo esortava a non compiere atti simili al suo, per non dover sopportare simili sofferenze; allo stesso tempo anch’egli divenne migliore.

Certamente il tremito, la paura, la vita trascorsa nell’ansia, il disfacimento del corpo, come una catena che lo teneva legato, non gli permisero di compiere un altro delitto, ricordandogli sempre quello di prima, e intanto indusse il suo cuore alla moderazione.

3 - Ma dicendo queste cose mi è venuto in mente di proporvi di cercare per quale ragione Caino, dopo aver confessato la sua colpa, condannato il fatto, detto che aveva commesso un delitto troppo grave per ottenere il perdono e che egli non era degno di nessuna scusa, non potè cancellare il peccato. Infatti il Profeta aveva detto: "Confessa per primo le tue iniquità per essere giustificato" (Isaia XLIII, 26). Come mai Caino fu condannato? Perché non fece come comandava il Profeta; infatti il Profeta non disse semplicemente: confessa le tue colpe, ma: "Confessa per primo le tue iniquità". Questo si richiede, questo deve essere fatto. Non devono semplicemente essere confessate le colpe, ma devono essere confessate subito, senza attendere il rimprovero dell’accusatore. Caino, invece, non parlò per primo, ma attese fino a quando Dio lo rimproverò. Anzi, per di più, ai rimproveri rispose negando. Poi quando il fatto fu conosciuto apertamente, allora ammise la colpa, il che non è certo una confessione.

Perciò tu pure mio caro, se avrai peccato non aspettare che un altro ti accusi, ma prima di essere accusato e denunziato, dichiarati tu stesso colpevole per quanto avrai fatto. Sicché se qualcuno in seguito ti rimprovererà, ciò non varrà a sostituire la tua confessione, ma sarà soltanto una correzione da parte di chi ti accusa. Perciò è stato detto: "Il giusto è il primo ad accusare se stesso" (Prov. XVIII, 17). Quindi non è questo che si richiede, cioè che tu accusi te stesso, ma che tu ti accusi per primo e non attenda da altri il rimprovero. Dopo quel grave rinnegamento, Pietrò subito ripensò al suo peccato e, benchè nessuno lo accusasse, lo confessò e pianse amaramente; lavò quella colpa a tal punto che fu nominato primo fra gli Apostoli e gli fu affidato il mondo intero (Matt. XXVI). Ma quello di cui parlavo, poiché è necessario tornare al nostro argomento, è abbastanza dimostrato da quanto esposto, cioè che non bisogna trascurare i nostri fratelli che hanno sbagliato, né disprezzarli, ma al contrario premunirli prima del peccato, e anche dopo la colpa interessarsi di loro. Così fanno i medici: prima prescrivono e consigliano agli uomini i mezzi per conservare la buona salute e impedire le malattie, poi, se qualcuno trascura le prescrizioni e cade ammalato, non lo abbandonano ma usano allora la massima sollecitudine per liberarlo dal morbo.

Lo stesso fece Paolo con quell’uomo che aveva commesso lo stupro; dopo quel peccato che è sconosciuto anche presso i Gentili (I Cor. 5), non lo abbandonò, e condusse alla salvezza quest’uomo che dissoluto e ostinato rifiutava ogni freno, non voleva medicine; così lo congiunse di nuovo al corpo della Chiesa. Paolo non disse a se stesso: "A che serve? Quale utile ne verrà? Ha commesso uno stupro, ha peccato e non vuol desistere dall’oscenità, al contrario è pieno di orgoglio e se ne compiace; la sua ferita è inguaribile, lasciamolo dunque e abbandoniamolo". Paolo non disse nulla di simile, ma proprio per questo ebbe per lui ancora maggior sollecitudine; vedendolo precipitare nelle nefande malvagità non cessò di spaventarlo, minacciarlo, punirlo, lui in persona o per mezzo di altri. Nulla tralasciò di fare o tentare finché non lo condusse a riconoscere il peccato e la sua malvagità e fino a liberarlo da ogni macchia.

Fai anche tu così: imita quel samaritano di cui parla il Vangelo (Luca X, 30) che diede prova di tanta sollecitudine per il ferito; infatti era passato prima di lì un Levita, poi un Fariseo, e né l’uno né l’altro si erano chinati sul ferito, ma senza umanità e crudelmente si erano allontanati, abbandonandolo. Invece il samaritano che non aveva con costui alcun legame, non passò oltre, ma mosso da compassione si fermò, unse le ferite con olio e vino, lo pose sull’asino e lo portò ad un albergo, dove diede del denaro promettendone dell’altro per le cure da prestarsi a quest’uomo con cui egli non aveva nulla in comune. E non disse a se stesso: "Perché mi devo prendere cura di costui? Io sono samaritano, non c’è nulla tra noi, sono lontano dalla città e costui non può camminare. E poi se non potrà resistere alla lunghezza della strada lo porterò morto? E se sarò catturato per l’uccisione sarò forse punito per omicidio?" Sovente per queste ragioni molti passano oltre e vedendo uomini feriti e agitati non si fermano, non perché sia loro gravoso il trasportarli o perché non vogliono versare del denaro, ma perché temono di essere trascinati in giudizio come colpevoli di omicidio. Invece quell’uomo buono e caritatevole non ebbe timore di tutto questo, ma disprezzate queste cose, collocò il ferito sull’asino e lo portò all’albergo; non ebbe paura di tutte quelle considerazioni: né del pericolo, né della spesa e neppure di quello che poteva capitare in seguito. Se dunque un samaritano fu così caritatevole e umano con uno sconosciuto, quale indulgenza otterremmo noi se abbandonassimo i nostri fratelli in mali ben più gravi? Perché questi fratelli che ora hanno digiunato, sono caduti nelle mani dei Giudei, veri predoni, anzi più spietati di tutti i predoni, che colpiscono con i mali peggiori coloro che cadono sotto di loro. Infatti non hanno lacerato le loro vesti, né inflitto ferite ai loro corpi come gli altri predoni avevano fatto al viaggiatore del Vangelo, ma ne hanno ucciso l’anima, e dopo aver colpito i nostri fratelli con infinite ferite, li hanno abbandonati mentre giacevano nell’abisso dell’empietà.

4 - Dunque, non fingiamo di non vedere tale tragedia né passiamo crudelmente davanti ad uno spettacolo così miserevole, perché se anche altri lo facessero tu non devi farlo, né dirai fra te: sono un secolare, ho moglie e figli, questo tocca ai sacerdoti e ai monaci. Certamente quel samaritano non diceva: dove sono i sacerdoti? Dove sono i Farisei? Dove i dottori dei Giudei? Ma afferrò l’occasione favorevole allo stesso modo di chi si imbatte in una rara selvaggina. E dunque tu, quando vedrai qualcuno malato nel corpo o nell’anima, non chiederti: perché il tale o il tal’altro non l’hanno curato? Ma liberalo dal male e non chiedere ad altri la ragione della loro negligenza. Se tu trovassi per terra dell’oro diresti forse a te stesso: "Perché questo o quello non lo hanno preso?". Perché ti affretti a prenderlo prima degli altri? Abbi gli stessi pensieri per i fratelli caduti, giudicando di aver trovato un tesoro proprio nel prenderti cura di loro. Infatti, se verserai come un olio la parola della dottrina, se li attrarrai con la dolcezza, se li guarirai con la pazienza, essi ti faranno più ricco di qualsiasi tesoro.

"Colui che trarrà ciò che è prezioso da ciò che è vile sarà come la mia bocca" (Ger. V, 19). Chi potrà essere paragonato a quest’uomo? Quello che nessun digiuno, nessun giaciglio durissimo, nessuna veglia, nessun’altra azione otterrebbe, ebbene questo l’ottiene la salvezza procurata ad un fratello.

Pensa a quante volte e quanto gravemente hai peccato con la bocca, quante parole sacrileghe hai pronunziato, quante oscenità, quante ingiurie hai vomitato, e allor senza indugio prenditi cura di chi è caduto. Con questa sola azione benefica potrai cancellare ogni colpa. Ma che dico, cancellare? Farai sì che la tua bocca sia come la bocca di Dio. Che cosa può essere equiparato a questo onore? Non sono io a fare questa promessa: Dio stesso lo ha detto. Se salverai qualcuno, ha detto, la tua bocca sarà come la mia, pura e santa. Dunque non trascuriamo i fratelli e non andiamo intorno a chiedere quanti hanno digiunato e quanti sono stati catturati, ma prendiamoci cura di loro. Anche se fossero molti che hanno digiunato, tu, o mio caro, non divulgare l’ignominia, e non rendere pubblica la disgrazia della Chiesa, ma piuttosto portavi rimedio. Se qualcuno dirà: "Molti hanno digiunato", chiudigli la bocca per impedire che questa voce venga divulgata e digli: "Io non ne conosco, ti inganni, uomo, e sbagli; vedendo alcuni caduti dici che sono molti".

Imponi il silenzio anche ai delatori, non trascurare quelli che sono stati catturati, cosicché per due motivi sia conservata la sicurezza della Chiesa: sia col fare in modo che non sia divulgato questo disonore, sia col riportare nel sacro gregge quelli che erano stati catturati. Dunque, non andiamo qua e là a riferire chi ha peccato, ma affrettiamoci solamente a correggere chi ha peccato. È infatti una pessima abitudine accusare i fratelli e non aver cura di loro, divulgare il male degli infermi e non porvi rimedio. Abbandoniamo dunque questa pessima abitudine, o miei carissimi, infatti può portare dei gravi danni. Vi dirò in qual modo. Qualcuno sente dire da te che molti hanno digiunato con i Giudei e senza fare alcun esame lo dice ad un altro; di nuovo costui senza riflettere lo dice ad un terzo, a poco a poco quindi questa cattiva fama si ingrandisce e ne risulta per la Chiesa una grave vergogna; tutto questo non porta alcun beneficio a quelli che si sono perduti, ma porterà piuttosto gravissimo danno a loro e ad altri. Con tante dicerie, quand’anche fossero pochi noi li faremo diventare molti, renderemmo più deboli quelli che sono ancora in piedi mentre daremmo una spinta a quelli che stanno per cadere. Di più, il fratello che ode dire che sono molti ad aver digiunato, diventerà egli pure più negligente; e ancora, chi è più debole, udito questo, accorrerà dai molti che sono caduti. Non rallegriamoci di questo o di qualunque altro fatto riprovevole, anche se molti sono stati i peccatori, non rendiamoli noti e non diciamo che sono molti; piuttosto chiudiamo la bocca a chi parla e obblighiamolo a tacere. Non venirmi a dire: "Sono molti quelli che hanno digiunato"; se è così, correggine molti. Non ho speso tante parole perché tu accusi molti, ma perché da molti li riduca a pochi; anzi non solo pochi, ma salva anche questi pochi. Quindi non divulgare i peccati, ma guariscili.

Come quelli che divulgano queste notizie e non pensano ad altro, fanno in modo che sembrino molti quelli che hanno peccato anche se erano pochi; così coloro che obbligano i divulgatori a tacere e impongono loro il silenzio e si prendono cura dei caduti, anche se questi furono molti, facilmente li correggono e non permettono che qualcuno sia danneggiato nella reputazione. Non hai udito quello che disse David quando disperato piangeva la morte di Saul? "Come mai sono stati abbattuti i prodi? Non lo annunziate in Geth, non rendetelo pubblico nelle vie di Ascalone perché non se ne rallegrino le figlie degli stranieri e non ne esultino le figlie degli incirconcisi" (II Re, 1-19-20). Se David non volle che fosse rilevato un fatto così palese perché gli avversari ne avrebbero avuto piacere, tanto più è necessario non svelare i nostri mali alle orecchie estranee, anzi neppure alle orecchie dei nostri: affinché i nemici non ne godano e i nostri, conosciuto il fatto, si perdano di coraggio. Ma è necessario soffocare le dicerie e reprimerle da ogni parte. Non dirmi: "Ma io gli ho raccomandato di tenere per sé la notizia". Come tu non hai potuto tacere, così l’altro non potrà tenerla per sé.

5 - Non parlo solamente di questo digiuno, ma degli altri innumerevoli peccati. Non prendiamo poi tanto in considerazione se molti si sono lasciati trascinare, ma consideriamo in qual modo possiamo ricondurli a noi. Non dobbiamo ingrandire il successo dei nemici, né diminuire il nostro; non dichiariamo che essi sono forti e noi deboli ma, piuttosto, facciamo tutto il contrario.

Anche una sola voce spesso può rianimare o abbattere; può sollevare un animo ed infondere un ardore che non era più, o dissolvere quello che c’era ancora. Perciò vi ammonisco, perché secondiate quelle voci che favoriscono la nostra causa e ne mostrano la grandezza ma non quelle che denigrano il sodalizio dei fratelli. Se udremo qualcosa di buono facciamolo conoscere a tutti; se invece sentiremo qualcosa di nocivo e maligno, nascondiamolo fra di noi e facciamo il possibile per farlo sparire. Adesso, dunque, andiamo in giro e, con zelo, indaghiamo ed osserviamo quelli che sono caduti; e anche se fosse necessario entrare in casa, non rifiutiamo di farlo. Se colui che è caduto ti è assolutamente sconosciuto e non ha mai avuto a che fare con te, indaga, cerca accuratamente chi egli abbia come amico o parente al quale obbedisca volentieri, prendilo con te e vai a casa sua e non vergognarti né arrossire. Se tu andassi per chiedere del denaro o per ricevere da lui un favore sarebbe giusto arrossire, ma se vai da lui per curare la sua salute, questo motivo ti libera da ogni colpa. Dopo esserti seduto, parla con lui e l’inizio del discorso sia su altri argomenti, sicché non sospetti il rimprovero, e poi: "Dimmi, approvi i Giudei che hanno crocifisso Cristo e che oggi lo coprono di insulti e dicono che è stato trasgressore della legge?". Certamente, se era stato cristiano, anche se ora è stato mille volte con i Giudei, non sarà capace di dire: "Li approvo", ma si tapperà le orecchie e ti dirà: "Dio non voglia! Parla bene, ti prego".

Quando lo avrai convinto che siete d’accordo su questo punto, riprendi a parlare dicendo: "Come mai allora comunichi con i Giudei? Come mai partecipi alle loro festività? Come mai hai digiunato con loro?". Dopo aver detto questo, accusa i Giudei di ingratitudine, fai conoscere tutte quelle iniquità che nei giorni scorsi ho esposto alla vostra carità e che sono dimostrate dal luogo, dal tempo, dal tempio e dalle profezie dei Profeti. Mostra come e quanto è inutile tutto quello che fanno i Giudei, i quali mai più ritorneranno al loro stato precedente, e inoltre non possono celebrare i loro riti fuori di Gerusalemme. A tutte queste considerazioni aggiungi l’inferno, il temibile tribunale del Signore, le domande che ci saranno fatte. Digli anche che dovremo rendere ragione di tutti i nostri atti, e che un castigo, certo non piccolo, colpirà coloro che osano commettere queste azioni.

Ricordagli Paolo quando dice: "Chiunque vuol essere giustificato nella legge è decaduto dalla grazia" (Gal. V, 4), e ancora Paolo, minacciandoli: "Se vi fate circoncidere Cristo non vi servirà a nulla" (idem, 2). Aggiungi anche che la circoncisione, così come il digiuno giudaico, scacciano dal cielo quelli che digiunano anche se avranno fatto innumerevoli opere buone. Digli che se oggi noi ci chiamiamo cristiani è per obbedire a Cristo e non per correre dal nemico. Se egli adduce come scusa certe guarigioni e dice che i Giudei promettono di guarire e per questo va da loro, rivelagli gli inganni, gli incantesimi, gli amuleti e i malefizi. Essi infatti non sanno curare in altro modo, e non curano affatto; Dio ce ne scampi! Anzi, io dirò qualcosa di ancor più sorprendente: se anche risanassero veramente tuttavia sarebbe meglio morire che accorrere dai nemici di Dio per essere guariti. Quale vantaggio vi è sulla terra nel curare il corpo e perdere l’anima? Quale beneficio se, per ottenere qui un sollievo, dobbiamo poi essere gettati nel fuoco infernale? Perché non facciano tali discorsi, ascolta cosa dice il Signore: "Se tra di voi sorgerà un profeta o uno che dica di aver avuto una visione e predìca qualche prodigio o portento, e poi quello che egli ha detto, si verifica; se in seguito egli dirà: "Andiamo dietro agli dei stranieri e serviamoli", non darai ascolto alle parole di quel profeta, perché il Signore Dio vostro vi mette alla prova, per vedere se lo amate con tutto il vostro cuore e con tutta la vostra anima" (Deut. XIII, 1-3). Ecco il significato delle parole del Signore. Se un tale che si proclama profeta vi dirà: "Io posso risuscitare un morto o dare la vista a un cieco, ma dovete sottomettervi a me e adoreremo i demoni e faremo sacrifici agli idoli"; in seguito se colui che ha detto queste cose guarirà il cieco o risusciterà il morto, neppure in questo caso devi credergli, dice il Signore. Perché? Perché Dio per metterti alla prova permise che egli potesse farlo. Non che Dio non conosca il tuo animo, ma per darti l’occasione di provargli che tu ami veramente il Signore. Ora, chiunque ama non si stacca mai dalla persona amata, anche se quelli che vogliono allontanarlo risuscitassero i morti.

Se Dio disse questo ai Giudei, a ben maggior ragione lo dice a noi che ha condotto ad una migliore sapienza, ai quali ha aperto la porta della resurrezione e raccomanda di non mettere l’amore nelle cose presenti, ma di rivolgere tutte le speranze alla vita futura.

6 - Ma che mi rispondi? Ti affligge e ti opprime un male del corpo? Non hai ancora sofferto tanto quanto il beato Giobbe, anzi neppure una piccola parte dei suoi mali. Perché dopo aver perso insieme greggi ed armenti, e tutti gli altri suoi beni, fu privato dei suoi figli, e tutto questo accadde in un solo giorno, cosicché non solo la natura delle disgrazie, ma invero anche il loro susseguirsi potevano far cadere questo atleta. Dopo queste disgrazie una piaga mortale coprì le sue membra ed egli vide i vermi uscire in gran numero da ogni parte del suo corpo, ed egli sedette, nudo, nel letamaio, pubblico spettacolo di rovina per quelli che lo vedevano: quel giusto, quel sincero, quel pio, quell’uomo che non commetteva mai azioni cattive. Né i suoi mali finivano qui, ma le sofferenze lo tormentavano giorno e notte e lo assaliva una strana fame nuova ed inattesa. "Il fetore, disse, è diventato il mio cibo" (Giobbe VI, 7) e anche i quotidiani insulti, le smorfie di scherno, i sarcasmi, e le derisioni. Infatti, dice ancora Giobbe, i miei servi e i figli delle mie concubine si sono rivoltati contro di me e nel sonno sono atterrito e agitato da continui pensieri. Per essere liberato da tutti questi mali, la moglie gli diede questo consiglio: "Dì qualche parola contro Dio e morirai" (Giobbe II, 9). Cioè disse a Giobbe: dì una bestemmia e sarai immediatamente liberato. E allora? Forse il consiglio della moglie fece cambiare quel sant’uomo? Niente affatto, anzi avvenne il contrario e divenne più fermo nel suo proposito, tanto da rimproverare la moglie. Egli infatti, avrebbe sopportato maggiori tormenti, sofferto le più gravi afflizioni, resistito pazientemente a innumerevoli mali piuttosto che ottenere con la bestemmia il sollievo a tanti dolori. Similmente si comportò quell’uomo (Giov. V) che fu infermo per trentott’anni e che ogni anno si recava alla piscina e, ogni anno, non riusciva ad avvicinarsi e a ritrovare la salute: per di più ogni anno vedeva che altri erano risanati perché avevano molti che si occupavano di loro, mentre egli che mancava di aiuto rimaneva sempre paralizzato. Tuttavia mai fece ricorso agli indovini, né andò a cercare gli incantatori, e non si appese gli amuleti, ma attese l’operato divino. E finalmente ottenne quella meravigliosa e straordinaria guarigione.

Anche Lazzaro (Luca XVI) lottò tutta la vita con la fame, con la malatia, con la solitudine, non soltanto per trentotto anni, ma in ogni momento della sua vita e spirò giacendo sulla soglia del ricco, disprezzato, deriso, e affamato, fatto cibo per i cani: infatti il suo corpo era così debole da non poter respingere i cani che si gettavano su di lui e leccavano le sue piaghe. Tuttavia anch’egli non cercò l’incantatore, non si legò al collo gli amuleti, non fece ricorso agli impostori, non chiamò gli stregoni, non usò nessuna di queste arti proibite, ma preferì morire con questi mali piuttosto che venir meno, anche in piccola parte, alla sua fedeltà a Dio. Che perdono chiederemo noi che, mentre quelli sopportarono tanti mali, per una febbricola o per una leggera ferita corriamo alla sinagoga e chiamiamo in casa avvelenatori ed impostori? Non hai udito quanto dice la Sacra Scrittura? "Figlio mio, se ti disponi a servire il Signore prepara il tuo animo alla tentazione: fa che sia retto il tuo cuore e sii costante; sii fedele a Dio nella malattia e nella povertà. Invero come l’oro è provato dal fuoco così l’uomo sarà purificato dalla umiliazione" (Eccles. II, 1-5).

Se tu frustassi il tuo servo ed egli dopo aver ricevuto trenta o cinquanta colpi immediatamente rivendicasse la sua libertà, o si sottraesse al tuo dominio, e si rifugiasse presso altri che ti odiano e li istigasse contro di te, dimmi, potrebbe chiedere scusa? Perché è compito del padrone punire il servo. Non soltanto per questo, ma anche per quest’altra ragione: se il servo voleva fuggire doveva farlo non andando dai nemici o da chi odiava il padrone, ma dagli amici e parenti. Quindi, anche se ti sembrerà di essere punito da Dio non rifugiarti dai suoi nemici, i Giudei, per non provocarlo ancor più contro di te, ma ricorri ai suoi amici, ai martiri e ai santi che si sono resi graditi a Dio e che godono di molta considerazione presso di Lui.

Ma perché mai parlo di servi e padroni? Un figlio non può fare questo: castigato dal padre rompere i legami con lui. Poiché tanto le leggi naturali che le leggi stabilite dagli uomini comandano che, anche se il padre lo colpisce con le verghe, lo allontana dalla mensa, lo caccia di casa, o lo punisce in qualsiasi altro modo, tutto deve essere sopportato pazientemente; né al figlio è concesso il perdono se non avrà obbedito e tollerato. E se il figlio castigato si lamentasse a lungo piangendo, udrebbe da tutti queste parole: "È tuo padre che ti ha percosso, è tuo signore, ha il diritto di trattarti come vuole e occorre sopportare tutto pazientemente". Quindi i servi sopportano i padroni, i figli i genitori, anche se puniscono troppe volte e ingiustamente; e tu perché non sopporti che ti corregga Dio, il più legittimo di tutti i padroni, che ti ama più di un padre e che nulla fa mosso dalla collera ma ogni cosa fa per il tuo bene? Ma appena sei colpito da un leggero malanno immediatamente rinunci al suo dominio, corri dai demoni e ti rifugi nella sinagoga. Qual perdono vorresti ottenere? In qual modo sarai in grado di rendere di nuovo il Signore benevolo verso di te? Anzi nessuno, avesse pure tanto prestigio quanto Mosè, potrebbe intercedere per te. Non vi è nessuno che possa fare questo. Non odi quello che Dio disse a Geremia a proposito dei Giudei? "Non pregare per questo popolo, anche se Mosè e Samuele si presentassero davanti a me non li esaudirò" (Ger. VII, 16; XV, 1). Poiché vi sono peccati indegni di qualsiasi indulgenza e che non possono essere perdonati. Perciò non provochiamo tanto sdegno! Se anche sembrasse che a qualcuno la febbre si è calmata con gli incantesimi, e in realtà non la calmano affatto, tuttavia essi metterebbero nella nostra coscienza una febbre ben più violenta, e ogni giorno la ragione ti tormenterebbe e la coscienza ti flagellerebbe dicendo: sei stato empio, ti sei comportato in modo iniquo, hai violato l’alleanza con Cristo; per un piccolo malanno hai sacrificato la fede.

Ora, tu solo sei stato colpito da questo male? Non vi sono forse altri colpiti da mali ancora più gravi del tuo? Tuttavia nessuno di loro osò tanto; tu solamente, vile e dissoluto, hai immolato la tua anima.

Come ti difenderai davanti a Cristo? Come lo implorerai nelle preghiere? Con qual coscienza, adesso, andrai in Chiesa? Con quali occhi guarderai il sacerdote? Con quale mano toccherai la Sacra mensa? Con quali orecchie ascolterai la lettura delle Sacre Scritture?

7 - Ecco ciò che dice la ragione ogni giorno per mezzo di rimorsi pungenti che sferzano la coscienza. Che guarigione è mai questa se dentro di noi tanti pensieri ci accusano? Se, per breve tempo, tu ti facessi forza e non cedessi a coloro che vorrebbero celebrare un certo incantesimo o bendarti il corpo, ma anzi tu li buttassi fuori di casa insultandoli, subito riceveresti dalla tua coscienza molto sollievo. Se anche tu bruciassi di una febbre mille volte più forte, la tua coscienza ti porterà un sollievo migliore e più giovevole di qualsiasi acqua o rugiada. Infatti, come dopo aver ritrovato la salute per mezzo dell’incantesimo sarai più sofferente di coloro che sono tormentati dalla febbre perché rifletti sulla gravità del peccato; così dopo aver respinto quegli empi, anche se hai la febbre o soffri di molti mali, starai meglio di un uomo sano, perché la mente esultante, l’animo contento e gioioso, e la coscienza ti lodano e ti approvano dicendo: "Coraggio, coraggio, o servo di Cristo, uomo fedele, atleta della fede che hai preferito la morte piuttosto che venir meno ad essa" e in quel giorno starai con i martiri. Come, invero, i martiri preferirono i colpi di flagelli e le torture per arrivare alla gloria, così anche tu, oggi, hai preferito essere flagellato e torturato dalla febbre e dalle ferite piuttosto che ricevere gli empi incantesimi e gli amuleti; nutrito da questa speranza, non sentirai neppure i dolori che ti assalgono. Infatti se questa febbre non ti porterà via, un’altra lo farà certamente e se non moriamo oggi, tuttavia più tardi moriremo. Abbiamo ricevuto un corpo mortale non per cedere all’empietà delle passioni ma per condurlo alla fede. Infatti la nostra corruttibilità e questo stesso corpo mortale, se saremo stati sobrii, saranno per noi fonte di merito e in quel giorno ci offriranno molta fiducia, anzi, non solo in quel giorno, ma anche nella vita presente. Se tu caccerai di casa insultandoli quegli incantatori, molti dopo aver udito quanto hai fatto ti loderanno e ti ammireranno, dicendosi l’un l’altro: "Il tale pur soffrendo ed essendo malato non cedette alle innumerevoli esortazioni, agli inviti e ai consigli di coloro che volevano persuaderlo ad operare magie ed incantesimi, ma rispose: "Meglio è morire che abbandonare la fede"". Coloro che udranno applaudiranno e colpiti da ammirazione glorificheranno il Signore.

Questo non sarà per te un onore maggiore di qualunque statua? Più glorioso di qualunque immagine? Più insigne di qualunque tributo di stima? Tutti ti loderanno, tutti esalteranno la tua contentezza, tutti ti glorificheranno. Di più essi stessi diverranno migliori, e a loro volta emuleranno il tuo esempio e imiteranno la tua forza d’animo: e se qualcun altro agirà in questo modo, tu ne avrai il premio, perché tu sei stato l’autore del suo zelo. Non soltanto seguiranno le lodi alla buona azione, ma anche un pronto sollievo del male, sia che la tua straordinaria volontà abbia ottenuto da Dio una grande benevolenza, sia che tutti i santi, rallegrandosi del tuo coraggio, abbiano pregato per te di tutto cuore. Se tali sono quaggiù i premi per questo coraggio, pensa alle corone che riceverai lassù quando Cristo, alla presenza degli angeli e degli arcangeli, verrà a prenderti per mano e condurti in mezzo all’assemblea e a tutti quelli che ascolteranno dirà: "Quest’uomo, mentre era divorato dalla febbre e mentre molti lo esortavano a liberarsi dal male, per rispetto del mio nome, per timore, per non offendermi in alcun modo, respinse tutti coloro che promettevano la guarigione con gli incantesimi, li cacciò fuori con ignominia, scegliendo di morire piuttosto che perdere il mio amore".

Se coloro che diedero da bere o da mangiare o da vestirsi saranno accolti da Cristo, a maggior ragione lo saranno quelli che scelsero di sopportare la febbre a causa di Lui; donare del pane o delle vesti non è la stessa cosa che sopportare una lunga malattia, anzi questo è molto più meritevole. E quanto più grandi saranno la fatica e i dolori sopportati, tanto più splendida sarà anche la corona. Meditiamo queste considerazioni sia che siamo sani, sia che siamo malati e parliamone tra di noi. E se ci capiterà una volta di essere colpiti da un’insopportabile febbre, diciamo a noi stessi: "Se fossimo trascinati in tribunale per una contesa contro di noi e condannati ad essere appesi e i nostri fianchi lacerati, non sarebbe forse necessario sopportare ciò pur senza alcun vantaggio e nessun compenso?". Riflettiamo ora su questo: se la ricompensa per la pazienza sia abbastanza grande da sollevare un animo abbattuto. "Ma, forse mi dirai, la febbre è ben molesta!". Allora mettila a confronto con le fiamme dell’inferno che eviterai certamente se vorrai tollerarla con molta pazienza. Ripensa a quanto hanno sopportato gli Apostoli, rifletti come i giusti sono sempre stati tribolati, ricorda il beato Timoteo che per l’infermità sin dall’adolescenza non riusciva a respirare ed era colpito da continue malattie, tanto che Paolo parlandone disse: "Bevi anche un pò di vino per il tuo stomaco e per le tue frequenti infermità" (I Tim. V, 23). Se Timoteo, quel giusto, quel santo che ebbe una grande autorità, che resuscitò i morti, che scacciò i demoni, che guarì innumerevoli mali, soffrì tanto crudelmente, quale giustificazione avresti tu che ti agiti e vieni meno per mali passeggeri? Non hai udito quanto dice la Scrittura: "Perché Dio castiga colui che ama e sferza ogni figlio che accoglie"? (Prov. III, 12; Ebr. XII, 6). Quanti hanno desiderato di ricevere la corona dei martiri? Ecco la corona dei martiri è qui pronta. Non si ha martirio soltanto se al comando di sacrificare agli idoli scegli la morte, ma è anche certamente martirio quando si osserva una legge le cui conseguenze possono portare alla morte.

8 - Perché tu comprenda queste verità, ricorda in qual modo morì Giovanni Battista, per qual ragione e in che modo Abele. Né l’uno né l’altro videro l’incenso o un idolo posto sull’altare, o fu loro comandato di immolare ai demoni; ma il primo fu decapitato soltanto per aver rimproverato Erode, il secondo fu ucciso per aver onorato Dio con un sacrificio più gradito di quello di suo fratello. Sono forse privati della corona del martirio? Chi osa affermarlo? Al contrario il modo in cui trovarono la morte basta a persuadere tutti che essi hanno il primo posto tra i martiri.

Se chiedi di conoscere anche il giudizio divino su di loro, ascolta quanto dice Paolo e le parole che pronunzia sono senza dubbio ispirate dallo Spirito Santo; infatti Paolo stesso ha detto di sé: "Credo di avere anche io lo Spirito di Dio" (I Cor. VII, 40). Che dice dunque di quei due?

Incomincia da Abele che avendo offerto a Dio un sacrificio più gradito di quello di Caino, per questo fu messo a morte. Paolo passa poi alla serie dei Profeti sino a Giovanni e dice: "Alcuni sono morti uccisi dalla spada altri invece sono morti per le torture" (Ebr. XI, 37). Dopo aver ricordato molti e diversi modi di morte aggiunge: "Anche noi, circondati come siamo da sì gran numero di martiri, dopo aver gettato ogni impedimento corriamo nell’arena con la pazienza" (Ebr. XII, 1).

L’Apostolo chiama martiri Abele, Noé, Abramo, Isacco e Giacobbe, infatti costoro sono morti per il Signore. In questo stesso senso Paolo esclama: "Muoio ogni giorno" (I Cor. XV, 31), non perché sia morente, ma perché avrebbe di sua volontà sopportato pazientemente la morte. Così, se tu avrai respinto gli incantesimi, i veleni, gli inganni e morirai di malattia sarai veramente un martire in quanto, mentre ti promettevano di curare il male con mezzi empi, hai scelto di morire con la fede. Queste cose le diciamo contro quelli che si agitano e vanno proclamando che i demoni guariscono.

Inoltre, perché tu ben comprenda che questo non è vero, ascolta quello che Cristo dice del diavolo: "Egli era omicida fin dall’inizio" (Giov. VIII, 44). Dio dice che è un omicida e tu corri da lui come da un medico? Se tu fossi accusato, dimmi, quale scusa potresti portare, tu che credi che si possa prestar fede alle imposture dei Giudei piuttosto che alle sentenze di Cristo?

Mentre invero Dio dice: è omicida, i Giudei al contrario dicono: può curare le malattie, rifiutando assolutamente la sentenza divina; tu poi accettando quei loro malefici e incantesimi, con i soli tuoi atti mostri che meritano più fede le parole di costoro che quelle di Cristo, anche se non lo dici apertamente.

Se il diavolo è omicida è chiaro che lo sono ugualmente i demoni che lo servono. Anche questo ci insegnò Cristo con i fatti, quando permise che entrassero con violenza nella mandria di porci e tutti precipitarono in mare; perché si comprendesse che i demoni avrebbero fatto lo stesso agli uomini, che sarebbero stati immediatamente affogati se Dio lo avesse permesso. Ma Cristo stesso glielo impedì e proibì loro di fare questo e i demoni dichiararono di accettare il dominio sui porci. Ma se non risparmiarono i porci certamente non si sarebbero astenuti dal far del male agli uomini se ne avessero avuto il potere (Luca VIII, 32 e segg.).

Dunque, o mio diletto, non lasciarti trascinare dalle loro menzogne, ma resta saldo nel timor di Dio.

Come fai a entrare nella Sinagoga? Perché se segnerai con la croce la tua fronte, svanirà l’influenza nefasta che risiede nella sinagoga, ma se al contrario non ti segnerai, getterai subito le tue armi sulla soglia e il diavolo ti colpirà con innumerevoli mali e ti trascinerà via nudo ed inerme. Ma che importa a noi il parlarne? Tu stesso giudichi che è un peccato gravissimo correre in quel luogo scellerato e lo rende evidente il modo con cui ci vai. Cerchi, infatti, di avvicinarti di nascosto, proibisci a servi, amici e vicini di riferirlo ai sacerdoti, e se qualcuno lo riferisce ti irriti. Ma non è forse una grande follia voler ingannare gli uomini, e osare un tale misfatto, spudoratamente, mentre Dio ti vede, Dio che è presente in ogni luogo? Ma non temi il Signore? Allora tieni conto dei Giudei; con che occhi li guarderai, con che bocca parlerai se, mentre confessi di essere cristiano, tuttavia corri alla sinagoga e implori la loro opera? Non pensi alle risate, al sarcasmo, allo scherno, alla vergogna, alla derisione, al disonore con cui ti copriranno, se non pubblicamente, certo nel loro intimo?

9 - Perciò dimmi, si può tollerare tutto questo? Forse tutto questo si può sopportare? Anche se fossimo minacciati di mille morti, o dovessimo soffrire gravissimi dolori, non sarebbe meglio sopportare pazientemente tutti i mali piuttosto che diventare oggetto di scherno e di riso da parte di questi scellerati, e in più vivere con la coscienza sporca? Non dico tutto questo soltanto perché lo ascoltiate, ma perché voi guariate quelli che sono tormentati da questo male.

Come accusiamo quelli di essere deboli nella fede, così accusiamo voi di non voler correggere quelli che sono deboli.

Infatti non è questo che ti viene chiesto, mio caro, che tu venga soltanto per ascoltare quanto diciamo; è una colpa non far seguire all’ascolto della dottrina le opere buone: poiché se sei cristiano, per imitare Cristo devi agire secondo le sue leggi. Cristo stesso che fece? Non chiamò a sé i malati standosene tranquillo a Gerusalemme, ma percorreva città e villaggi curando entrambe le malattie: quelle dell’anima e quelle del corpo. Certo avrebbe potuto, stando in un sol luogo, chiamare tutti a sé ma egli non lo fece, per insegnarci con l’esempio ad andare in giro a cercare quelli che sono in pericolo. Questo pure ci insegnò con la parabola del buon pastore (Luca XV, 4-6). Infatti non stette tranquillo con le altre novantanove pecore ad attendere che tornasse la pecora smarrita, ma andò a cercarla, la trovò e dopo averla trovata se la caricò sulle spalle e la riportò all’ovile. Forse i medici non agiscono anch’essi in tal modo? Non obbligano i malati che giacciono a letto ad andare alla loro casa, ma accorrono essi dai malati.

Fai anche tu così, o mio caro, sapendo che la vita presente è breve e che se non ci procuriamo dei meriti, non avremo speranza di salvezza. Una sola anima che avremo guadagnato può cancellare il peso di innumerevoli peccati, e in quel giorno può essere il prezzo della salvezza dell’anima nostra.

Rifletti: perché i Profeti, perché gli Apostoli, perché i giusti, perché sovente gli angeli sono stati mandati? Perché lo stesso Figlio di Dio è venuto? Non è forse per salvare gli uomini? Non è forse per riportare quelli che si erano perduti? Fai anche tu così secondo le tue forze e dedica ogni cura e sollecitudine a ricondurre quelli che si sono allontanati. Io non smetto di esortarvi ad ogni mio discorso; sia che siate attenti sia che non facciate attenzione, io non rinuncerò a ripeterlo. Poiché il Signore ci prescrisse questo obbligo, sia che ascoltiate sia che non ascoltiate, eseguiremo questo incarico. Invero, se ascolterete e metterete in pratica quello che diciamo, noi lo faremo con molta gioia, se invece trascurerete le nostre parole e resterete inoperosi, lo faremo con molta tristezza. Per la vostra mancata obbedienza non abbiamo nulla da temere in quanto abbiamo fatto tutto quello che dipendeva da noi, ma sebbene noi non corriamo alcun rischio, perché abbiamo fatto tutto quanto ci era possibile, tuttavia ci addolora che in quel giorno siate accusati. Infatti sarà per voi senza pericolo l’aver ascoltato, se faranno seguito le buone opere. Ascolta con quali parole il Cristo, accusando i dottori che occultavano la dottrina, insegnava ai suoi discepoli. Dopo aver detto: "Dovevi deporre il mio denaro presso i banchieri", aggiunge: "Al mio ritorno lo avrei ritirato con gli interessi" (Matt. XXV, 27). Egli mostra che chi riceve l’insegnamento (e questo è il deposito del denaro), dopo che ha ascoltato deve farlo fruttificare, come se dovesse restituirlo al padrone. Il frutto della dottrina non è altro che l’esecuzione di opere buone. Dunque noi abbiamo deposto il nostro denaro nelle vostre orecchie, ed è necessario che voi ne rendiate il frutto al Signore, cioè la salvezza dei vostri fratelli.

Perciò se tratterrete queste parole che vi sono state dette senza farle fruttificare, temo che vi sarà inflitta la stessa pena che fu data all’uomo che aveva sotterrato il talento. Fu gettato, mani e piedi legati, nelle tenebre esteriori, perché non aveva fatto profittare altri di quello che aveva udito. Se non vogliamo soffrire come lui, imitiamo quello che ricevette cinque talenti e quello che ne ricevette due, anche se sarà necessario impiegare parole, denaro, fatiche e anche preghiere, o qualsiasi altro mezzo per la salvezza del prossimo; non rifiutiamoci, affinché moltiplicando in ogni modo, ciascuno per la sua parte, il talento che Dio ci ha dato, possiamo intendere quella beata voce: "Bene, servo buono e fedele; sei stato fedele nel poco, ti darò autorità nel molto; entra nella gioia del tuo Signore" (Matt. XXV, 21). Che sia possibile a noi ottenerla per la grazia e la carità di Nostro Signore Gesù Cristo, per il quale e con il quale siano al Padre gloria e onore insieme allo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Così sia.