CAMERE A GAS:
MITO O REALTA'?
apparsa sul mensile Storia Illustrata nell’agosto del 1979
Robert Faurisson
Il Dott. Robert Faurisson è
nato a Shepperton, in Inghilterra, nel 1929. Dopo essersi laurerato alla
Sorbona, egli è stato Professore all'Università di Lione dal 1974 al 1990,
finché non è stato allontanato dall’insegnamento a causa delle sue scoperte
«politicamente scorrette». Cresciuto in una famiglia permeata da marcati
sentimenti anti-tedeschi, egli rimase scandalizzato quando il 19 agosto 1960 lo
storico tedesco Martin Broszat negò per la prima volta, in un articolo
pubblicato su Die Zeit, l’esistenza di «camere a gas» nei vari campi
nazisti. Solamente nel 1974, dopo aver
soppesato a lungo le tesi dei revisionisti e quelle degli
«sterminazionisti», egli giunse alla certezza assoluta che nessuna «camera a
gas» era mai esistita. A causa di questa sua convinzione, egli è stato
vittima di almeno 10 assalti fisici da parte dei sostenitori dell’Olocausto.
In molte altre occasioni ha rischiato di essere assassinato. Ha avuto le
mascelle fracassate, i denti spezzati ed è rimasto ricoverato all’ospedale per
diverse settimane. Egli è stato inoltre perseguitato spietatamente per
mezzo di battaglie legali senza fine. Il Prof. Faurisson, noto come il «preside
del movimento» revisionista mondiale, fu il primo a scoprire i disegni tecnici
ed architettonici degli obitori di Auschwitz, degli inceneritori e delle altre
installazioni. Fu anche il primo ad insistere che solamente un esperto di
camere a gas americano potesse districare le domande tecniche relative alla
storia delle pretese gassazioni di Auschwitz. Faurisson fu anche consigliere e
consulente dello storico revisionista canadese Ernst Zündel, oltre che testimone
a suo carico durante le udienze preliminari del 1984 e nel corso dei grandi
processi del 1985 e 1988.
q Storia Illustrata - Signor Faurisson, da
qualche tempo in Francia, e non solo in Francia, lei è al centro di un’aspra
polemica per certe sue affermazioni su quella che rimane una delle pagine più
buie della storia della Seconda Guerra Mondiale. Ci riferiamo allo sterminio
degli ebrei da parte dei nazisti. In particolare una delle sue affermazioni
appare tanto netta quanto incredibile. è
vero che lei nega che le camere a gas siano mai esistite?
q Robert Faurisson - è esatto. In effetti, io dico che queste famose «camere a
gas» omicide non sono altro che una frottola di guerra. è un’invenzione della propaganda di
guerra paragonabile alle leggende sulla «barbarie teutonica» diffuse durante la
Prima Guerra Mondiale. Già allora i tedeschi vennero accusati di crimini del
tutto immaginari: a bimbi belgi sarebbero state tagliate le mani, dei canadesi
crocifissi, cadaveri trasformati in sapone... Peraltro, su questo terreno gli
stessi tedeschi facevano, suppongo, buona concorrenza ai francesi... I campi di
concentramento tedeschi sono realmente esistiti, ma come tutti ben sanno questa
non è una cosa originale tedesca. Anche i forni crematori sono esistiti in
certi campi, ma la cremazione non è fatto più grave o più criminale
dell’inumazione. I forni crematori costituivano persino un progresso dal punto
di vista sanitario nel caso di rischi di epidemie. Il tifo ha imperversato in
tutta l’Europa in guerra. La maggior parte dei cadaveri che con tale
compiacimento ci vengono mostrati in fotografia sono chiaramente cadaveri di
tifici. Queste foto dimostrano solo che degli internati - e talvolta anche dei
guardiani - sono morti di tifo. Non provano nient’altro. Insistere sul
fatto che talvolta i tedeschi usavano dei forni crematori non è cosa molto
onesta. Così facendo si punta sulla repulsione o sull’oscura inquietudine della
gente abituata all’inumazione e non alla cremazione. Immaginatevi una qualsiasi
popolazione dell’Oceania abituata a bruciare i suoi morti, e ditele che noi
interriamo i nostri; apparirete loro come una specie di selvaggio. Forse vi
sospetteranno addirittura di mettere sotto terra delle persone «più o meno
vive». Allo stesso modo, si dà prova di completa disonestà quando ci si
presentano come delle «camere a gas» omicide le autoclavi destinate in realtà
alla disinfezione degli abiti con il gas. Questa accusa, mai chiaramente
formulata, è stata abbandonata, ma in alcuni musei o in alcuni libri si osa
ancora mostrare la foto di una di queste autoclavi, situate a Dachau, con
davanti a essa un soldato in uniforme americana che sta decifrando... l’orario
delle gassazioni! Un’altra forma di gassazione è realmente esistita nei campi
tedeschi; è la gassazione degli edifici per sterminarvi i parassiti. Veniva
allora impiegato quel famoso Zyklon B sul quale si è costruita una
fantastica leggenda. Lo Zyklon B, la cui licenza data dal 1922, è utilizzato
ancora oggi, in particolare nella disinfestazione di immobili, baraccamenti,
silos, navi, ma anche per la distruzione delle tane di volpe o di altri animali
nocivi. é pericoloso da maneggiare perché, come indica la lettera «B», si
tratta di «blausäure», cioè di acido blu, o acido cianidrico,
chiamato anche acido prussico. Tra l’altro, c’è anche da rilevare che i
sovietici, ingannandosi sul senso di questa lettera, hanno accusato i tedeschi
di avere ucciso dei deportati con dello Zyklon A e con dello Zyklon B! Ma
veniamo alle cosiddette «camere a gas» omicide. Fino al 1960 ho creduto alla
realtà di questi macelli umani dove, secondo metodi industriali, i tedeschi
avrebbero ucciso degli internati in quantità e su scala industriale. Poi ho
saputo che certi autori giudicavano contestabile la realtà di queste «camere a
gas»: tra questi vi è Paul Rassinier, che era stato deportato a
Buchenwald e a Dora. Questi autori hanno finito per formare un gruppo di
storici che si definiscono «revisionisti». Ho studiato le loro argomentazioni.
Naturalmente, ho studiato anche le argomentazioni degli storici ufficiali.
Questi ultimi credono alla realtà dello sterminio con le «camere a gas». Sono,
in un certo senso, «sterminazionisti». Per molti anni ho minuziosamente
confrontato gli argomenti degli uni e degli altri. Sono andato ad Auschwitz, a
Majdanek, a Struthof. Ho cercato, ma invano, anche una sola persona che mi
potesse dire: «Sono stato internato in quel campo. Ho visto con i miei occhi
un edificio che era sicuramente una camera a gas». Ho letto molti libri e
documenti. Per anni ho studiato gli archivi del Centre de Documentation Juive Contemporaine («Centro di
Documentazione Ebraica Contemporanea») di Parigi. Va da sé che mi sono
interessato in particolare ai processi detti di «crimini di guerra».
Un’attenzione del tutto particolare ho rivolto a quelle che mi venivano
presentate come «confessioni» di SS o di un qualsiasi altro tedesco. Non vi
tedierò enumerandovi i nomi di tutti gli specialisti che ho consultato, ma
voglio ricordare una cosa, peraltro curiosa. Spesso bastava qualche minuto di
conversazione perché gli «specialisti» in questione dichiarassero: «Sappia
che io non sono uno specialista in camere a gas». E, cosa ancora più
curiosa, a tutt’oggi non esiste né libro né articolo della scuola
«sterminazionista» sulle «camere a gas». Sono cosciente che mi si
potrebbero forse citare alcuni titoli, ma questi titoli traggono in inganno. In
realtà, nell’incredibile montagna di scritti consacrati ai campi tedeschi, non
esiste nulla su quanto li rende così originali e intrinsecamente perversi!
Nessun «sterminazionista« ha scritto sulle «camere a gas». Tutt’al più si può
dire che Georges Wellers, del Centre de Documentation Juive
Contemporaine , ha tentato di parlarne cercando di perorare la veridicità
parziale del documento «Gerstein» sulla «camera a gas» di Belzec. Al contrario,
i revisionisti hanno invece scritto abbastanza per dire che la loro esistenza
era dubbia o per affermare che era decisamente impossibile. La mia opinione
personale è la stessa di questi ultimi. L’esistenza delle «camere a gas» è radicalmente
impossibile. Le mie ragioni sono innanzitutto quelle accumulate dai
revisionisti nelle loro pubblicazioni. In seguito, sono anche quelle che io
stesso ho trovato e che qualificherei materiali, bassamente e scioccamente
materiali. Ho pensato che bisognava cominciare dall’inizio. Voi certo sapete
che in generale ci si mette un po’ ad accorgersi che si sarebbe dovuto
cominciare dall’inizio. Mi son detto che noi tutti parliamo di «camere a gas»
come se conoscessimo esattamente il senso di queste parole. Quanti di coloro
che pronunciano discorsi, frasi o danno giudizi nei quali ricorre questa
espressione di «camera a gas» sanno di che parlano? Mi ci è voluto poco per
rilevare che molte persone commettevano un errore dei più grossolani. Si
rappresentavano una «camera a gas» come una realtà in fondo assai prossima a
quella di una semplice camera da letto sotto la cui porta passasse del gas
domestico. Costoro dimenticavano che un’esecuzione con il gas è, per
definizione, profondamente differente da una semplice asfissia suicida o
accidentale. Nel caso di un’esecuzione bisognava evitare accuratamente
qualsiasi rischio di malessere, d’avvelenamento o di morte per gli esecutori e
i loro assistenti. é un rischio
che bisogna escludere prima, durante e dopo l’esecuzione. Le difficoltà
tecniche che tutto ciò comporta sono notevoli. Ho voluto sapere come si
gassavano i visoni d’allevamento, le tane delle volpi, come negli Stati Uniti
vengono eseguite le condanne a morte con il gas. Ho constatato che nella
maggior parte dei casi veniva impiegato l’acido cianidrico. Ora, è proprio con
questo gas che i tedeschi gassavano i loro baraccamenti ed è con questo gas che
avrebbero ucciso gruppi di uomini o intere folle. Ho dunque studiato questo
gas. Ho voluto conoscerne l’impiego fatto in Germania e in Francia. Ho
consultato testi ministeriali che regolano l’uso di questo prodotto
notevolmente tossico. Ho avuto la fortuna di scoprire negli archivi industriali
tedeschi raccolti dagli Alleati a Norimberga dei documenti sullo Zyklon B o
acido cianidrico. Poi ho riletto dettagliatamente alcune testimonianze, alcune confessioni
o certe sentenze dei tribunali alleati o tedeschi sull’esecuzione di detenuti
con lo Zyklon B. Ho subito uno choc, lo stesso che proverete anche voi. Innanzi
tutto vi leggerò la testimonianza o la confessione di Rudolf Höss 1, quindi vi enuncerò
qualche risultato della mia inchiesta, bassamente materiale, sull’acido
cianidrico e sullo Zyklon B. In questa confessione, la descrizione della
gassazione è notevolmente breve e vaga, come brevi e vaghi sono tutti coloro
che affermano di aver assistito a questo genere di operazione (con, in più,
molte e svariate contraddizioni su certi punti). Rudolf Höss scrive: «Una
mezz’ora dopo aver lanciato il gas si apriva la porta e si metteva in funzione
l’apparecchio di ventilazione. Si cominciava immediatamente a estrarre i
cadaveri». Richiamo la vostra attenzione sulla parola «immediatamente» (in
tedesco «sofort»). Höss aggiunge che la squadra incaricata di estrarre
2.000 cadaveri dalla «camera a gas» e di manipolarli fino ai forni crematori
faceva questo lavoro «mangiando e fumando». Dunque, se ben
comprendo, senza portare maschera antigas. Questa descrizione è
un’offesa al buon senso perché implica la possibilità di entrare senza
precauzione alcuna in un locale saturo di acido cianidrico per manipolarvi (a
mani nude?) 2.000 cadaveri cianidrizzati sui quali è probabile vi siano resti
del gas letale. Del gas deve indubbiamente restare sui capelli (che pare
venissero rasati dopo l’operazione), nelle mucose e anche tra i cadaveri
ammucchiati. Qual è quel ventilatore superpotente capace di far sparire
istantaneamente una tale quantità di gas fluttuante nell’aria o sedimentato un
po’ ovunque? Anche se un tale ventilatore esistesse, sarebbe comunque
necessario un test che, segnalando alla squadra la sparizione dell’acido
cianidrico, la avverta che il ventilatore ha effettivamente compiuto il suo
lavoro e che conseguentemente la via è libera. Ora, è evidente che nella
descrizione di Höss abbiamo a che fare con un ventilatore magico che agisce
istantaneamente e con una tale perfezione da non lasciare adito né a timori né
a verifiche. Ciò che il semplice buon senso ci suggerisce è pienamente
confermato dai documenti tecnici afferenti allo Zyklon B e al suo impiego. Per
gassare un baraccamento, i tedeschi erano obbligati a costose precauzioni:
squadra a lungo addestrata e «diplomata» presso il fabbricante dello Zyklon B,
materiale notevole e di qualità e, in particolare, maschera con 4 filtro «J»
(la più «severa» di tutte), evacuazione dei baraccamenti all’interno, affissione
di avvisi in più lingue con il teschio, esame minuzioso del locale per
individuare le fessure e tapparle, occlusione di camini e condotte e serrature.
Le scatole di Zyklon B venivano aperte all’interno del locale. Il gas
fuoriusciva dalla scatola come il fumo esce da un vaso fumogeno. Quando si
supponeva che il gas avesse ucciso i parassiti, allora cominciava l’operazione
più delicata: quella dell’aerazione. Alcune sentinelle venivano postate a una
certa distanza dalle porte e dalle finestre, le spalle al vento. Loro compito
era di impedire, da lontano, a chiunque di avvicinarsi. La squadra, munita di
maschera antigas, penetrava nell’edificio, apriva le finestre, stappava camini
e fessure. Appena compiuta l’opera a un piano, la squadra doveva uscire, togliersi
le maschere e, per dieci minuti, respirare all’aria aperta. Doveva quindi
rimettersi le maschere e portarsi all’altro piano. Una volta finito questo
lavoro, bisognava attendere venti ore. In effetti, poiché lo Zyklon B è «difficile
da ventilare visto che aderisce alle superfici», solo una ventilazione
naturale e molto lunga poteva venirne a capo. Questo era perlomeno il caso di
volumetrie ampie come quelle di una baracca a uno o a due piani; in quanto lo
Zyklon B, impiegato talvolta in autoclave (volume di 10 m3), era invece ventilato. Al
termine delle venti ore, la squadra ritornava con la maschera antigas, chiudeva
le aperture, quindi, se possibile, portava la temperatura dell’ambiente a 15°.
Poi, usciva, per ritornare dopo un’ora, sempre munita di maschera, e
verificare, a mezzo di una carta che virava al blu in presenza di acido
cianidrico, che il locale fosse nuovamente agibile. Ecco quindi che un locale
che era stato gassato era accessibile senza maschera antigas solo dopo un
minimo di ventuno ore. La legislazione francese relativa all’uso
dell’acido cianidrico stabilisce, per quanto le concerne, questo minimo a ventiquattro
ore. Possiamo dunque vedere che in assenza di un ventilatore magico, capace
di espellere istantaneamente un gas «difficile da ventilare visto che
aderisce alle superfici», il macello umano chiamato «camera a gas»
sarebbe stato inaccessibile per quasi una giornata. I suoi muri, il suolo,
il soffitto durante questo tempo avrebbero ritenuto delle particole di un gas
dagli effetti fulminanti per l’uomo. E che dire dei cadaveri? Non avrebbero
potuto fare a meno di impregnarsi di gas allo stesso modo di quei cuscini,
materassi e coperte che gli stessi documenti tecnici concernenti l’uso dello
Zyklon B ci rivelano che dovevano essere portati all’aria aperta per essere
battuti per un’ora con tempo secco, o per due ore con tempo umido. Dopo di
che venivano impilati gli uni sugli altri e di nuovo battuti se il test di
carta virava al blu. Poiché l’acido cianidrico è infiammabile ed esplosivo,
come era possibile usarlo in prossimità della bocca dei forni crematori? Come è
che si poteva penetrare nella «camera a gas» fumando? Per non parlare delle
innumerevoli impossibilità tecniche o materiali che per soprammercato si
scoprono quando ci si reca ad Auschwitz o ad Auschwitz-Birkenau per esaminare
la collocazione e le dimensioni delle sedicenti «camere a gas». D’altronde,
come può scoprirlo chi ficca il naso negli archivi del museo polacco di
Auschwitz, questi locali in realtà non erano che delle «camere fredde», del
tutto caratteristiche per architettura e per dimensioni. E così che a Birkenau
la sedicente «camera a gas» del Krema II, di cui si vedono solo delle rovine,
era in realtà una «camera fredda», interrata (per proteggerla dal calore), d’una
lunghezza di 30 m. e di una larghezza di 7 m. (2 m. per cadavere + 3 m. al
centro per il movimento dei carrelli + 2 m. per un altro cadavere). La porta, i
disimpegni, il piccolo montacarichi (m. 2,18 x m. 1,35) versa la sala dei
crematori, tutto ciò era di dimensioni lillipuziane in rapporto a quanto lascia
supporre il racconto di Höss. Secondo lui, la «camera a gas» normalmente
conteneva 2.000 vittime all’inpiedi, ma avrebbe potuto contenerne 3.000.
Immaginate un po’: 3.000 persone su 210 m2? In altre parole, per fare
un paragone, 286 persone in piedi in un locale di 5 m. x 4 m.! E non ci
si venga a dire che i tedeschi prima di partire hanno fatto saltare «camere a
gas» e forni crematori per nascondere le tracce dei pretesi crimini. Quando si
vuole cancellare le tracce di un’installazione necessariamente molto
sofisticata, la si smantella minuziosamente, pezzo per pezzo, per non lasciare
dietro di sé il minimo elemento d’accusa. Distruggerla con l’esplosivo sarebbe
un’ingenuità. In questo caso sarebbe sufficiente rimuovere i blocchi di cemento
per scoprire un tale reperto accusatore. Proprio i polacchi dell’attuale museo
di Auschwitz hanno raccolto alcune vestigia dei Krema 2. Ora, tutti i reperti che
vengono mostrati ai turisti attestano l’esistenza dei forni crematori,
escludendo ogni altra cosa. Le vere camere a gas, quelle messe in opera dagli
americani dal 1936-1938, possono darci un’idea dell’inevitabile complessità che
un tale metodo di esecuzione comporta. Tra l’altro, gli americani gassano solo
un prigioniero alla volta (è accaduto che alcune loro camere a gas dispongano
di due sedie per l’esecuzione, per esempio, di due fratelli). Inoltre, il
prigioniero è completamente immobilizzato. Viene asfissiato dall’acido
cianidrico (in realtà da palline di cianuro di sodio che cadendo in una
scodella di acido solforico e di acqua distillata provocano la liberazione di
vapori di acido cianidrico). In 40 secondi circa il condannato si assopisce e
in qualche minuto muore. Questo gas non provoca alcun dolore apparente. (La
prima esecuzione capitale con gas ebbe luogo l’8 febbraio 1924 nella prigione
di Carson City (Nevada). Due ore dopo l’esecuzione si rilevavano ancora
tracce di veleno nella corte della prigione. Il signor Dickerson,
governatore della prigione, dichiarò: «Per quanto concerne il condannato, il
metodo è certamente il più umano tra quanti fino ad ora applicati», ma,
aggiunse: «Rifiuterò questo metodo per il pericolo che fa correre a tutti i
testimoni». Come nel caso dello Zyklon B, è l’evacuazione del gas che pone
problemi. In questo caso non si tratta di indurre una ventilazione naturale di
quasi ventiquattro ore perché, in ogni modo, la disposizione degli ambienti non
lo permetterebbe senza gravi rischi per i guardiani e i detenuti della
prigione. Allora come procedere, essendo d’altronde questo gas di difficile
ventilazione? La soluzione obbligata è di trasformare questo acido in un sale
che verrà in seguito lavato con acqua corrente. Il gas ammoniaco servirà di
base. Quando l’acido cianidrico sarà così sparito, o almeno quasi
completamente, una spia avvertirà del fatto il medico e i suoi aiutanti che si
trovano dall’altra parte del vetro. Questa spia è la fenoftaleina, posta in
scodelle disposte in diversi punti del piccolo locale, la quale vira al rosso
quando non c’è più acido nel locale. Un sistema di ventilazione orientabile
spazzerà quindi i vapori di ammoniaca verso un bocchettone di aspirazione. Il
medico c i suoi aiutanti entreranno quindi nel locale muniti di maschera
antigas, e calzando guanti di caucciù. Il medico arruffa la capigliatura del
condannato per cacciarne eventuali resti di acido cianidrico. E solo dopo
un’ora che le guardie potranno entrare nel locale. Il corpo del condannato sarà
lavato, così come il locale, con acqua corrente. Il gas ammoniaco è stato
espulso attraverso un alto camino sopra la prigione. E poiché le guardie
abitualmente postate nelle torri di sorveglianza della prigione corrono dei
rischi, a ogni esecuzione vengono fatte scendere. E sorvolo sulla necessità di un’ermeticità
totale della camera a gas: stacci, vetri «erculite» estremamente spessi,
sistema per fare il vuoto, valvole a mercurio, ecc... Una gassazione non è
operazione che si possa improvvisare. Se i tedeschi avevano deciso di gassare
milioni di persone avrebbero avuto bisogno di mettere a punto un meccanisrno
formidabile. Ci sarebbe voluto un ordine generale, che non è mai stato trovato,
delle istruzioni, degli studi, ordini, piani che non si sono mai visti.
Sarebbero state necessarie riunioni di esperti: architetti, chimici, medici,
specialisti delle più diverse tecnologie. Sarebbe stato necessario reperire
fondi e ripartirli, operazione che in uno Stato come il Terzo Reich avrebbe
lasciato numerose tracce (se si pensa che noi sappiamo quasi al centesimo
quanto è costato il canile di Auschwitz o le piante di lauro ordinate ai
vivai). Sarebbero stati necessari ordini di missione. Non si sarebbe fatto di
Auschwitz e di Birkenau dei campi dove l’andirivieni era tale che il modo
migliore di far fronte alle frequenti fughe di detenuti era quello di tatuar
loro sul braccio un numero di matricola. Non si sarebbe permesso che lavoratori
civili e ingegneri si mischiassero ai detenuti, né si sarebbero autorizzati i
tedeschi del luogo ad andare in permesso o a ricevere al campo membri della
famiglia. Soprattutto non si sarebbero liberati dei detenuti che, scontata la
pena, rientravano in patria. Fatto, quest’ultimo, che è stato rivelato qualche
anno fa da Louis De Jong, direttore dell’Istituto di Storia della
Seconda Guerra Mondiale di Amsterdam, dopo che a lungo gli storici lo hanno
tenuto nascosto. La recente pubblicazione che negli Stati Uniti è stata fatta
delle fotografie aeree di Auschwitz da peraltro il colpo di grazia alla
leggenda di questo sterminio. Persino nell’estate 1944, nel momento in cui
più massiccio era l’arrivo degli ebrei ungheresi, non si nota alcun rogo umano
e nessuna folla nei pressi del crematorio (ma un portone aperto e un giardino
ben tracciato), nessun fumo sospetto (e ciò mentre i camini di questi crematori
avrebbero addirittura sputato giorno e notte fumo e fiamme visibili a diversi
chilometri di distanza). Terminerò con quello che chiamerei il criterio
della falsa testimonianza per ciò che concerne le «camere a gas». Ho rilevato
che tutte queste testimonianze per vaghe o discordi che siano sul resto,
s’accordano almeno su un punto: la squadra incaricata di ritirare i cadaveri
dalla «camera a gas» penetrava nel locale sia «immediatamente» sia «poco
dopo» la morte delle vittime. Io dico che questo punto da solo costituisce
la pietra di paragone delle false testimonianze, perché vi è qui
un’impossibilità fisica totale. Se incontrate qualcuno che crede alla realtà
delle «camere a gas» domandategli come, secondo lui, vi si potevano estrarre i cadaveri
per far posto all’infornata successiva.
q
Storia Illustrata
- Come
può affermare tutto ciò dopo quanto è stato detto e scritto in 35 anni? Dopo
quanto hanno raccontato i superstiti dei campi, dopo i processi ai criminali di
guerra, dopo Norimberga? Su quali prove e documenti basa questa sua affermazione?
q Robert Faurisson - Molti errori storici sono
durati ben più di trentacinque anni. Quanto alcuni superstiti hanno raccontato
costituisce una testimonianza fra le tante. Delle testimonianze non sono
delle prove. In quanto a quelle dei processi contro i «criminali di
guerra», devono essere accolte con particolare diffidenza. Se non mi sbaglio,
in trentacinque anni non un solo testimone è stato perseguito per falsa
testimonianza, il che significa dare una garanzia esorbitante a chiunque
desidera testimoniare sui «crimini di guerra». Allora così si spiega il fatto
che alcuni tribunali abbiano potuto stabilire l’esistenza di «camere a gas» in
punti della Germania in cui si è finito per riconoscere che non ce n’erano
state mai: per esempio, in tutto l’antico Reich. Le sentenze emesse a
Norimberga hanno un valore molto relativo, poiché dei vinti sono stati
giudicati dai loro vincitori senza la minima possibilità di interporre appello.
Gli articoli nº 19 e nº 21 dello statuto di quel tribunale politico dava
cinicamente a quella assise il diritto di poter fare a meno di prove solide, e
autorizzava addirittura il ricorso al «si dice». Tutti gli altri processi
per «crimini di guerra» si sono in seguito ispirati alla Legislazione di
Norimberga. Ancora oggi in Germania i tribunali fondano il loro operato su
quanto essi pretendono sia stato stabilito a Norimberga. E così che per secoli
hanno proceduto i tribunali che dovevano giudicare streghe e stregoni. Sono
esistite, almeno in apparenza, prove e testimonianze di gassazioni a
Orianenburg, a Buchenwald, a Bergen-Belsen, a Dachau, a Ravensbrüsck, a
Mauthausen. Professori, preti, cattolici, ebrei, comunisti hanno attestato
l’esistenza di «camere a gas» in questi campi e dell’impiego di gas per
uccidere dei detenuti. Per non fare che un esempio, Monsignor Piguet,
Vescovo di Clermont-Ferrand, ha scritto che dei preti polacchi erano passati
per la «camera a gas» di Dachau. Ora, oggi si riconosce che mai nessuno è
stato gassato a Dachau. C’è di meglio: dei responsabili di campi hanno
confessato l’esistenza e il funzionamento di «camere a gas» omicide laddove in
seguito si è dovuto riconoscere che niente di tutto ciò era esistito. Per
Ravensbrück, il comandante del campo (Suhren), il suo secondo (Schwarzhuber)
e il medico del campo (Dr. Treite) hanno confessato l’esistenza di una
«camera a gas» e ne hanno persino descritto, in modo vago, il funzionamento. Sono
stati messi a morte o si sono suicidati. Stesso scenario per il Comandante Ziereis
a Mauthausen, il quale, nel 1945, in punto di morte, avrebbe anche lui fatto
delle confessioni. Non si creda che le confessioni dei responsabili di
Ravensbrück siano state strappate dai russi o dai polacchi. é l’apparato giudiziario inglese o
francese che ha ottenuto queste confessioni. Circostanza aggravante: le
ottenevano ancora molti anni dopo la fine della guerra. è stato fatto tutto il necessario affinché fino alla fine,
fino al 1950, un uomo come Schwarzhuber collaborasse con i suoi
inquisitori, o con i suoi giudici istruttori o i suoi giudici di tribunale.
Nessuno storico serio sostiene più che delle persone siano state gassate in un
qualunque campo dell’antico Reich. Ora ci si accontenta solo di alcuni campi
situati attualmente in Polonia. Il 19 agosto 1960 costituisce una data importante
nella storia del mito delle «camere a gas». Quel giorno, il giornale Die
Zeit ha pubblicato una lettera che ha intitolato «Nessuna gassazione a
Dachau». Dato il contenuto della lettera, per essere del tutto onesto il
giornale avrebbe dovuto intitolarla «Nessuna gassazione in tutto l’antico
Reich», cioè nella Germania delle frontiere del 1937. Questa lettera era
del Dr. Martin Broszat, diventato nel frattempo Direttore dell’Istituto
di Storia Contemporanea di Monaco. Il dottor Broszat è un antinazista convinto,
e fa parte degli storici «sterminazionisti». Egli ha creduto all’autenticità
del «diario» di Rudolf Höss, che ha pubblicato nel 1958 con gravi tagli del
testo nei passaggi in cui Höss aveva «un po’ troppo esagerato» per
obbedire senza dubbio alle suggestioni dei suoi carcerieri polacchi. In poche
parole, il Dr. Broszat il 19 agosto 1960 ha dovuto ammettere che non c’erano
state gassazioni in tutto l’antico Reich. Aggiungeva anche, in modo contorto,
che non vi erano state gassazioni innanzitutto (?) che in qualche punto
scelto in Polonia, tra cui Auschwitz. E questo, a quanto mi risulta, hanno
finito per ammetterlo con lui anche tutti gli storici ufficiali. Personalmente
deploro che il Dr. Broszat si sia contentato di una lettera, mentre si imponeva
una comunicazione scientifica insieme a spiegazioni dettagliate. Si doveva
spiegare perché prove, testimonianze e confessioni considerate fino ad allora
come inattaccabili perdevano improvvisamente qualsiasi valore. Sono quasi
vent’anni che aspettiamo le spiegazioni del Dr. Broszat. Ci sarebbero
preziose per determinare se le prove, testimonianze e confessioni che
possediamo sulle gassazioni di Auschwitz o di Treblinka hanno più valore delle
prove, testimonianze e confessioni che possediamo sulle false gassazioni di
Buchenwald o di Ravensbrück. Intanto, è estremamente curioso che gli
elementi raccolti soprattutto da tribunali francesi, inglesi e americani
abbiano d’un tratto perso ogni loro valore, mentre gli elementi in mano
soprattutto dei tribunali polacchi e sovietici sullo stesso soggetto lo
conservino. Nel 1968 è la «camera a gas» di Mauthausen (in Austria) che doveva
a sua volta essere dichiarata una leggenda da uno storico «sterminazionista»:
da Olga Wormser-Migot. Guardate a questo proposito, nella sua tesi su Le
système concentrationnaire nazi («Il sistema concentrazionario nazista»),
le pagine intitolate «Le probleme des chambres à gas» («Il problema
delle camere a gas»). Peraltro, soffermiamoci su questa formula. Per ammissione
stessa degli «sterminazionisti» esiste un «problema delle camere a gas». A
proposito delle false confessioni, un giorno ho chiesto allo storico Joseph
Billig (addetto al Centre de Documentation Juive Contemporaine) come
le spiegava. Billig aveva fatto parte della delegazione francese al processo di
Norimberga. Vi do la sua risposta. Si trattava, secondo lui, di «fenomeni
psicotici»! Per quel che mi riguarda, ho una spiegazione da proporre per
questi pretesi «fenomeni psicotici» come pure per «l’apatia
schizoide» di Rudolf Höss il giorno della sua deposizione davanti al
tribunale di Norimberga: Höss è stato torturato dai suoi carcerieri
inglesi. é stato «interrogato
con il nerbo e con l’alcool». Ai processi detti «di Dachau», gli
americani hanno abominevolmente torturato altri accusati tedeschi, come doveva
segnatamente rivelarlo una commissione d’inchiesta. Peraltro, la tortura è
molto spesso superflua. Molteplici sono infatti i modi di intimidazione. La
formidabile riprovazione universale che viene fatta pesare sugli accusati
nazisti conserva ancora oggi tutta la sua forza. Quando l’anatema esplode tra
una umanità religiosa degna delle grandi comunioni medievali, non rimane che
inchinarsi, soprattutto se gli avvocati si mettono di mezzo e sostengono che
delle concessioni appaiono necessarie. Mi ricordo del mio odio personale per i
tedeschi durante la guerra e dopo la fine del conflitto: un odio incandescente
che credevo spontaneo, ma che con il trascorrere del tempo mi accorsi che mi
era stato insufflato. Esso veniva dalla radio inglese, dalla propaganda di
Hollywood e dalla stampa staliniana. Non avrei avuto pietà per un tedesco che
mi avesse detto che era stato guardiano di un certo campo e che non aveva visto
alcuno dei massacri di cui allora tutti parlavano. Se fossi stato suo giudice
istruttore avrei ritenuto mio dovere di «farlo confessare». Da trentacinque
anni il dramma di questo tipo di accusati tedeschi è paragonabile a quello
delle streghe e degli stregoni del Medio Evo. Poniamo mente al coraggio demente
che sarebbe stato necessario a una di queste sedicenti streghe per osar dire al
tribunale: «La prova migliore che non ho avuto commercio con il diavolo è
che, molto semplicemente, il diavolo non esiste». Allo stesso modo, sono
rarissimi i tedeschi che, come l’Ing. Durrfeld di Auschwitz, hanno osato
dire che queste gassazioni non erano mai esistite e che era una vergogna
diffamare così i tedeschi. La strega giocava d’astuzia con i suoi giudici, come
i tedeschi, ancora oggi al processo di Düsseldorf, giocano di astuzia con i
loro a proposito di Majdanek. Per esempio, la strega ammetteva che quel tale
giorno il diavolo c’era, ma diceva che si trovava in cima alla collina, mentre
lei era giù, ai piedi. L’accusato tedesco, da parte sua, si sforza dl
dimostrare che non aveva nulla a che fare con le «camere a gas». Talvolta
arriva a dire persino che ha aiutato a spingere qualcuno nella «camera a gas»,
o anche che gli hanno fatto versare un prodotto da una botola posta sul
soffitto perché minacciato, se non obbediva, di essere messo a morte. Spesso dà
anche l’impressione di divagare. Gli accusatori pensano: «Eccone un altro
che cerca di salvarsi le penne. Questi tedeschi sono straordinari! Sembra che
non abbiano mai saputo né mai visto niente». La verità è che in effetti non
hanno visto né saputo niente di ciò che si vuol far loro dire in materia di
gassazioni. Siamo noi accusatori che dobbiamo rimproverarci di questo modo di
divagare, e non farne loro colpa, perché essi si muovono nel solo sistema di
difesa che noi lasciamo loro. E nel fatto che adottino questo sistema anche gli
avvocati hanno una grave responsabilità. Non mi riferisco a coloro che, come
quasi tutti, credono che le «camere a gas» siano esistite. Parlo di quelli che
sanno o sospettano di essere davanti a un’enorme menzogna, ma preferiscono, sia
nel loro proprio interesse sia in quello del loro cliente, non sollevare questo
problema. L’avvocato di Adolf Eichmann (1906-1962) non credeva
all’esistenza delle «camere a gas», ma al processo di Gerusalemme si è ben
guardato dallo scoprire gli altarini. Non glielo si può rimproverare. Credo
infatti che lo statuto di quel tribunale permettesse di sollevare l’avvocato
dal diritto di difesa se si fosse prodotto un incidente «insostenibile», o
definibile con un termine equivalente. Una vecchia ricetta degli avvocati, resa
talvolta necessaria dai bisogni della difesa, è di perorare il verosimile
piuttosto che il vero. Il vero talvolta è troppo difficile da far penetrare
nell’animo dei giudici. Ci si contenta allora del verosimile. Un esempio
illustra molto bene questa situazione. Lo racconta l’avvocato Albert Naud,
difensore di un tale Lucien Léger che tutta la stampa francese
presentava come autore certo di un abominevole crimine. Lucien Léger si
proclamava innocente, e scelse per avvocato Albert Naud. Quando questi andò a
trovarlo in prigione gli disse: «Léger, parliamoci chiaro! Se mi vuole come
avvocato dobbiamo perorare la sua colpevolezza, non l’innocenza». Affare
fatto! Léger ebbe salva la testa. Qualche anno dopo Naud acquisì la convinzione
che il suo cliente era innocente, e si penti terribilmente di averlo costretto
a dichiararsi colpevole. Si battè con tutte le sue forze per ottenere la
revisione del processo, ma troppo tardi. Morì senza ottenerla. In quanto a
Léger, se è innocente, senza dubbio pagherà fino alla fine dei suoi giorni
l’ignobile atteggiamento della stampa e la cecità del suo avvocato. Un
tribunale non ha alcuna qualità per determinare la verità storica. Spesso gli
stessi storici hanno notevoli difficoltà a distinguere il vero dal falso su un
punto della storia. L’indipendenza dei giudici è forzatamente molto relativa.
Come tutti noi essi leggono i giornali, si informano in parte anche attraverso
la radio e la televisione. Libri e riviste presentano loro, come a noi tutti,
«documenti» o «foto» di atrocità naziste. A meno che non abbiano una pratica
speciale alla critica di questo genere di documenti o di foto, cadranno nei più
rozzi tranelli della propaganda orchestrata dai mezzi di comunicazione. D’altra
parte, preoccupazione dei giudici è di far rispettare l’ordine pubblico, la
moralità pubblica, certe norme e certi usi, certe credenze stesse della vita
pubblica. Senza tener conto della preoccupazione di vedere il loro nome
vilipeso nella stampa, tutto ciò non può che condurre, in materia di «crimini
di guerra», a giudizi che lo storico, per quanto lo riguarda, non è tenuto a
fare suoi. La giustizia si è giudicala da sé. In questo genere di processi
nemmeno una volta si è pensato di fare una perizia di quella che si chiama
«l’arma del delitto». Quando si sospetta che una corda, un coltello, un
revolver siano stati strumento di un crimine, si fa la perizia, benché siano
oggetti che non hanno nulla di particolare. Invece, nel caso delle «camere a
gas», in trentacinque anni non c’è stata una sola perizia. è vero che si parla di una perizia
fatta dai sovietici, ma possiamo immaginare con quale metro e, in ogni modo,
sembra che il testo sia rimasto segreto. Al processo di Francoforte, durato un
anno e mezzo, dal dicembre 1963 all’agosto 1965, un tribunale ha condotto
l’affare «dei guardiani di Auschwitz» senza ordinare una perizia dell’arma del
crimine. Lo stesso vale per il processo di Majdanek a Dusserdorf e, poco dopo
la fine della guerra, per quello di Struthof in Francia. Questa assenza di
perizie è tanto meno scusabile in quanto non un giudice, non un procuratore,
non un avvocato potevano vantarsi di conoscere per esperienza la natura e il
funzionamento di questi straordinari macelli umani. Eppure a Struthof e a Majdanek,
quelle «camere a gas» vengono presentate come fossero ancora allo stato
originario. Perciò, è sufficiente esaminare sul posto «l’arma del crimine». Ad
Auschwitz le cose sono meno chiare. Al campo principale si lascia credere ai
turisti che la «camera a gas» è autentica, ma, chiedendo insistentemente, le
autorità del museo battono in ritirata e parlano di «ricostruzione» (che
peraltro non è che una misera menzogna che si può facilmente smascherare con
certi documenti di archivio). All’annesso campo di Birkenau vengono mostrate
solo delle rovine di «camere a gas», o qualcosa di meno, dei terreni che
sarebbero stati occupati da «camere a gas». Ma anche qui le perizie sono
possibilissime perché a un archeologo talvolta basta qualche piccolo indizio per
conoscere la natura e la destinazione di un sito inabitato da diversi secoli.
Per dare un’idea della condiscendenza dimostrata dagli avvocati del processo di
Francoforte nei confronti dell’accusa, ricordo che uno di essi si è persino
fatto fotografare dai giornalisti mentre sollevava una botola (sic!) della
sedicente «camera a gas» del campo principale di Auschwitz. Dieci anni dopo il
processo ho chiesto a questo avvocato che cosa gli aveva permesso di
considerare che l’edificio in questione era una «camera a gas». La sua risposta
scritta è stata più che evasiva; assomiglia a quella datami dalle autorità del
museo di Dachau quando chiesi su quali documenti basavano la loro affermazione
che un certo locale del campo era una «camera a gas» incompiuta. Mi stupiva
infatti il fatto che si possa affermare che un locale incompiuto era
destinato a diventare, una volta ultimato, qualcosa che non si è mai visto.
Un giorno pubblicherò questa corrispondenza con queste autorità, e anche quella
che ho avuto con i responsabili del Comitato Internazionale di Dachau a
Bruxelles. Lei mi chiede su quali prove e su quali documenti io fondo
l’affermazione che le «camere a gas» non sono mai esistite. Credo di aver già
ampiamente risposto. Aggiungerò che una buona parte di queste prove e di questi
documenti sono... , quelli dell’accusa. Basta rileggere bene i testi
dell’accusa per accorgersi che l’accusa consegue il risultato contrario a
quello ricercato. I testi di base sono i 42 volumi del grande processo di
Norimberga, i 15 volumi dei processi americani, i 19 volumi pubblicati sinora
dall’università di Amsterdam, gli stenogrammi del processo Eichmann, diversi
processi verbali di interrogatorio, le opere di Hilberg, di Reitlinger,
d’Adler, di Langbein, di Olga Wormser-Migot, l’Enciclopedia
Giudaica, il Memoriale di Klarsfeld (molto interessante per
l’elenco dei falsi gassati), le pubblicazioni di diversi istituti. Ho lavorato
soprattutto al Centre de Documentation Juive Contemporaine di Parigi. Ne
sono stato cacciato all’inizio del 1978, su iniziativa, in particolare, del
signor Georges Wellers, quando si è saputo a quali conclusioni ero
giunto sulle «camere a gas» e sul «genocidio». Il Centre de Documentation
Juive Contemporaine è un organismo semipubblico, che riceve denaro pubblico.
Tuttavia, si arroga il diritto di cacciare coloro che non pensano come si deve.
E lo dice!
q
Storia Illustrata
- Lei
nega anche la deliberata volontà di sterminio degli ebrei da parte di Adolf
Hitler (1889-1945). Anche ultimamente, durante un dibattito alla
televisione della Svizzera italiana, lei ha detto: «Hitler non ha mai fatto
uccidere una persona in quanto ebrea». Che cosa intende dire esattamente con
questa frase, dalla quale peraltro si ricava che comunque Hitler avrebbe fatto
uccidere degli ebrei?
q Robert Faurisson - Dico esattamente questo: «Mai
Hitler ha ordinato né ammesso che qualcuno fosse ucciso a causa della sua razza
o della sua religione». Forse questa frase scandalizzerà qualcuno, ma
io la credo vera. Hitler era antiebreo e razzista. Ma il suo razzismo peraltro
non gli impediva di nutrire ammirazione per gli arabi e per gli indù. Era anche
ostile al colonialismo. Il 7 febbraio 1945 dichiara ai suoi intimi: «I
bianchi hanno portato a questi popoli (coloniali) il peggio, le piaghe
del nostro mondo: il materialismo, il fanatismo, l’alcolismo e la sifilide. Per
il resto, poiché quanto questi popoli già possedevano era superiore a ciò che
potevano dar loro, essi non sono cambiati (...). In una sola cosa i
colonizzatori sono riusciti: a suscitare ovunque l’odio». Hitler è
diventato antiebraico relativamente tardi. Prima di dire e ripetere che gli
ebrei sono «i grandi maestri della menzogna», era loro piuttosto
favorevole. Scrive in Mein Kampf: «Le opinioni sfavorevoli diffuse
sul loro conto mi ispiravano un’antipatia che talvolta si trasformava in
orrore». Personalmente, conosco male Hitler e mi interessa poco, quanto
poco mi interessa Napoleone Bonaparte (1769-1821). Se egli delirava, non
vedo perché dovremmo delirare noi quando si tratta di lui. Sforziamoci di
parlare di Hitler a mente fredda come quando parliamo del faraone egizio Amenophis
Akhenaton (1352-1354 a.C.). Tra Hitler e gli ebrei c’è stata una guerra
senza pietà, ed è evidente che ciascuno addossa all’altro la responsabilità di
questo conflitto. La Comunità Ebraica Internazionale ha dichiarato guerra
alla Germania il 5 settembre 1939; lo ha fatto con Chaim Weizmann
(1874-1952), Presidente del Congresso Ebraico Mondiale e futuro Presidente
dello Stato di Israele (nel 1948). Prima ancora, dal 1934, l’ostilità della
Comunità Ebraica Internazionale si era manifestata con misure di
boicottaggio economico contro la Germania nazista. Va da sé che essa agiva
così per ritorsione alle misure prese da Hitler contro gli ebrei tedeschi.
Questo ingranaggio fatale doveva condurre, da una parte e dall’altra, a una
Guerra Mondiale. Hitler diceva: «Gli ebrei e gli Alleati vogliono
annientarci, ma saranno loro a essere annientati», mentre gli Alleati e gli
ebrei, da parte loro, dicevano: «Hitler e i nazisti, e i loro alleati,
vogliono annientarci, ma saranno loro a essere annientati». E così, per
tutta la durata della guerra, i due campi si esaltano di proclami bellicosi e
fanatici: il nemico diventa una bestia da sgozzare. Pensate, a questo
proposito, alle parole della Marsigliese quando dice: «Che un sangue
impuro abbeveri i nostri solchi». Detto questo, gli Alleati che pure hanno
fatto una guerra implacabile ai nazisti e che, trentacinque anni dopo la fine
della guerra, continuano una specie di «caccia al nazista», tuttavia non sono
mai arrivati a dichiarare che: «Un nazionalsocialista, per il fatto stesso
di appartenere al partito nazionalsocialista, deve essere ucciso, si tratti di
uomo, donna, bambino o vecchio». Si può persino dire che Hitler, nonostante
quanto ha accumulato contro gli ebrei, non ha mai dichiarato: «Gli ebrei
sono da uccidere», né tantomeno che: «Un ebreo, per il solo fatto di
essere tale, é da uccidere». Indubbiamente, in caso di rappresaglia contro
«partigiani» o «terroristi», quando i tedeschi sceglievano gli ostaggi da
mettere a morte, era meglio non essere ebreo, né comunista, né prigioniero di
diritto comune. Ma, questa è una conseguenza molto nota del prelevamento di
ostaggi per come si pratica da sempre e dovunque. Hitler ha fatto internare una
parte degli ebrei europei, ma internare non significa sterminare. Non
c’è stato né «genocidio» né «olocausto». Qualsiasi campo di concentramento
è una cosa pietosa che suscita orrore, si tratti di un campo tedesco, russo,
francese, americano, giapponese, cinese, vietnamita o cubano. Di questo fatto,
pietoso od orribile che sia, vi sono diversi gradi, e certamente in tempo di
guerra, di carestia, di epidemia, un campo di concentramento diventa ancora più
orribile. Ma nel caso in questione nulla ci permette di dire che ci sono stati
dei campi di sterminio, cioè dei campi dove la gente sarebbe stata messa per
esservi uccisa. Gli «sterminazionisti» sostengono che nell’estate del 1941
Hitler ha dato l’ordine di sterminare gli ebrei. Ma nessuno ha mai visto questo
ordine. Esistono, per contro, sia delle dichiarazioni di Hitler, sia delle
misure prese dai suoi eserciti che implicano che un tale ordine non ha potuto
essere dato. Il 24 luglio 1942, in un circolo ristretto di persone, ricordando
che gli ebrei gli avevano dichiarato guerra con Chaim Weizmann, disse che dopo
la guerra avrebbe chiuso loro le città una dopo l’altra, precisando: «(...) se
questa spazzatura di ebrei non sgombera e non emigra verso il Madagascar o
verso qualche altro focolare nazionale ebraico». Da parte mia, vorrei
sapere come si può conciliare questa «dichiarazione a braccio» con un ordine di
sterminio dato una volta per sempre un anno prima. Ancora nel luglio 1944, sul
fronte dell’Est, dove i soldati tedeschi combattono ferocemente contro i
partigiani (ebrei o non, russi o comunisti, ucraini, ecc...), l’esercito dà
ordini drastici perché i soldati tedeschi non partecipino a eccessi contro la
popolazione civile, ebrei compresi. Altrimenti, c’è il tribunale militare.
Hitler incitava a lottare senza pietà in combattimento, soprattutto contro i
partigiani, compreso, se necessario, contro donne e bambini che fossero con i
partigiani o che apparentemente ne fossero complici. è un fatto che non ha indietreggiato (come gli Alleati, peraltro)
davanti al sistema del prelievo di ostaggi. Ma non è andato oltre. Il giorno in
cui i nostri mezzi di comunicazione si decideranno a infrangere certi tabù e a
consacrare ai «crimini di guerra» degli Alleati un millesimo del tempo che
consacrano ai «crimini di guerra» dei vinti, gli ingenui avranno allora di che
stupirsi. I «crimini» di Hitler assumeranno allora le loro giuste proporzioni
in una prospettiva storica. Si parla molto poco di Dresda e Katyn (nota). Io
dico che Dresda e Katyn sono poca cosa in confronto alle deportazioni inflitte
a milioni di tedeschi delle minoranze dell’Est. Già, è anche vero che non si
trattava di «deportazioni», ma di... «trasferimenti». Mi chiedo anche se
gli inglesi, che hanno consegnato i loro internati russi ai sovietici, non sono
stati i campioni di tutte le categorie di «crimini di guerra».
q
Storia Illustrata
- Quali
sono il suo concetto e la sua definizione di genocidio?
q Robert Faurisson - Io chiamo genocidio il
fatto di uccidere degli uomini in ragione della loro razza. Hitler ha commesso
«genocidio» non meno che Napoleone, Stalin, Churchill o Mao
Zedong. Il Presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt
(1882-1945) ha internato in campi di concentramento cittadini americani di
razza giapponese. Anche questo allora è stato «genocidio». Hitler ha
trattato i civili ebrei come i rappresentanti di una minoranza belligerante
nemica. Sfortunatamente, è banale trattare questo genere di civili come persone
potenzialmente o virtualmente pericolose. Secondo una comune logica di guerra,
Hitler avrebbe dovuto internare tutti gli ebrei che gli venivano sotto tiro. é ben lungi dall’averlo fatto, e non
certo per ragioni umanitarie, ma per motivi di ordine pratico. In certe parti
dell’Europa ha fatto portare ai suoi nemici un segno che li distinguesse: la
stella ebraica (dal settembre 1941 in Germania e dal giugno 1942 nella zona
nord della Francia). Coloro che portavano la stella non potevano circolare
liberamente, e solo in certe ore; erano come prigionieri in libertà vigilata.
Forse più che del problema ebraico Hitler si preoccupava di garantire la
sicurezza del soldato tedesco, il quale era incapace di distinguere gli ebrei
dai non ebrei. Questa stella glieli designava. Gli ebrei venivano sospettati di
poter svolgere opere di informazione (molti di essi parlavano il tedesco), di
praticare lo spionaggio, il traffico di armi, il terrorismo, il mercato nero.
Bisognava evitare qualsiasi contatto tra l’ebreo e il soldato tedesco. Per
esempio, nel metrò di Parigi gli ebrei che portavano la stella gialla potevano
salire solo sull’ultimo vagone sul quale il soldato tedesco non doveva salire.
Non sono uno specialista di questi problemi e posso sbagliarmi, ma credo che
queste misure erano dettate da ragioni di sicurezza militare piuttosto che da
una volontà di umiliare. Dove vi erano forti concentrazioni di ebrei, che erano
impossibili da sorvegliare veramente, se non a mezzo di una polizia ebraica, i
tedeschi temevano che accadesse ciò che d’altronde accadde nel ghetto di
Varsavia, dove improvvisamente, e proprio dietro il fronte un’insurrezione
scoppiò nell’aprile del 1943. i tedeschi scoprirono allora con stupore che gli
ebrei avevano costruito 700 fortini. L’insurrezione fu repressa e i
superstiti trasferiti in campi di transito, di lavoro, di concentramento. In
questi luoghi gli ebrei hanno vissuto una tragedia. Lo so che talvolta si pensa
che ragazzi di 15 anni non potevano costituire un pericolo e che non li si
sarebbe dovuti costringere a portare la stella. Per convincerci del contrario
ci sono attualmente abbastanza racconti e memorie di ebrei in cui si narra come
i loro ragazzi svolgevano ogni specie di attività illecita o di resistenza
contro i tedeschi. Bisognerebbe vedere meglio quanto c’è di reale e quanto di
mitologico nella descrizione che si fa degli ebrei che si sarebbero lasciati
sgozzare come montoni. I non ebrei hanno poi resistito così tanto? E gli ebrei
hanno resistito così poco? Ciò che in parte falsa i dati del problema è che
molti dei nostri giudizi si fondano su un presupposto: quello del «genocidio»
degli ebrei. Va da sé che se questo «genocidio» ci fosse stato, si avrebbe
voglia di trattare gli ebrei da vigliacchi. E il rimprovero che spesso, pare, i
giovani ebrei muovono ai loro padri. Ma, se come affermano i revisionisti, il
«genocidio» non è che una leggenda, allora l’accusa di vigliaccheria non ha
fondamento alcuno.
q
Storia Illustrata
- Se da
parte di Hitler non c ‘era una deliberata volontà di genocidio, perché allora
Auschwitz, Treblinka, Belzec e gli altri campi di sterminio? Sono esistiti,
sono una realtà. Vi sono entrati, e vi sono morti, non solo ebrei, ma anche
«politici», zingari, slavi, omosessuali, cioè tutti quei «diversi» che il
razzismo nazista condannava. Perché allora aver organizzato quei campi, con
quali finalità?
q Robert Faurisson - Un campo può essere
definito di «sterminio» solo se vi si sterminano degli uomini. Questo è così
vero che, secondo la terminologia creata dagli storici ufficiali, sono chiamati
di «sterminio» solo quei campi che si pretende fossero dotati di una o più
«camere a gas». Questi campi non sono esistiti. La tremenda epidemia di
tifo di Bergen-Belsen non ha trasformato questo campo (per la maggior parte
senza reticolati) in un campo di sterminio. Quei morti non sono un crimine,
ovvero sono solo un crimine dovuto alla guerra e alla follia degli uomini. Gli
Alleati dividono una pesante responsabilità con i tedeschi per lo spaventoso
caos in cui l’Europa, le sue città, le sue strade, i suoi campi di rifugiati o
di internati si trovarono alla fine della guerra. Gli Alleati hanno diffuso a
profusione foto che mostrano i carnai di Bergen-Belsen. Ora, migliaia di
detenuti sono morti di tifo dopo l’ingresso degli inglesi a
Bergen-Belsen. Gli inglesi non riuscirono, non diversamente dai tedeschi, ad
arginare questa terribile epidemia. Sarebbe allora onesto trattarli da
criminali? I primi campi di concentramento nazisti sono stati concepiti per
l’internamento e la rieducazione (sic!) degli oppositori politici di Hitler. La
propaganda sostenne che questi campi, aperti a numerose visite, costituivano un
progresso rispetto alle prigioni dove marcisce il prigioniero di diritto
comune. Vi si potevano trovare anche degli ebrei, ma in quanto comunisti,
socialdemocratici, ecc... Gli ebrei in quanto tali sono stati messi in campo di
concentramento solo durante la guerra, soprattutto dal 1942. Coloro che erano
stati internati nel 1938 per rappresaglia all’attentato di un ebreo contro Von
Rath (nota) erano stati per la maggior parte liberati dopo qualche mese.
Prima della guerra, Hitler aveva tentato con un certo successo di provocare
l’esodo degli ebrei. Egli augurava la creazione di un focolare nazionale
ebraico fuori d’Europa. Il «progetto Madagascar» era concepito come progetto di
un focolare ebraico sotto responsabilità tedesca. Prevedeva prioritariamente
lavori di prosciugamento, sistema bancario ecc... La guerra ne ha impedito la
realizzazione; sarebbero state necessarie troppe navi. La piccola Germania -
date un’occhiata alla carta del mondo - era impegnata, insieme al Giappone e a
qualche altro alleato, in una formidabile lotta contro dei giganti. La sua
preoccupazione principale era vincere la guerra. Secondario era invece trovare
una soluzione al problema ebraico, una soluzione che fosse una, definitiva, una
«soluzione finale», una «soluzione d’insieme» a un problema che, in un certo
modo, era vecchio come il popolo ebraico. Questa soluzione provvisoria, a causa
della guerra, sarebbe stata, grosso modo, «respingere verso Est» questi ebrei,
nei campi. Auschwitz era innanzitutto e soprattutto una molto importante
concentrazione industriale dell’Alta Slesia composta da tre campi principali e
da quaranta campi secondari ripartiti su tutta una regione. Le attività
minerarie, industriali, agricole e di ricerca erano considerevoli: miniere di
carbone (alcune delle quali a capitale francese), petrolchimica, armi,
esplosivi, benzina e caucciù sintetici, allevamento, piscicoltura, ecc... Ad
Auschwitz si trovavano sia internati sia lavoratori liberi, sia condannati a
vita sia internati a termine. Nel campo di Auschwitz-II, o Birkenau, si aveva
il pietoso spettacolo di numerose persone inabili al lavoro che marcivano sul
posto. Tra questi, gli zingari che, tranne qualche eccezione, sembra che i
tedeschi non abbiano messo al lavoro. Ad Auschwitz sono nati numerosi bambini
zingari, e sembra che solo degli zingari nomadi vi siano stati internati, e non
per ragioni razziali, ma per nomadismo e per «delinquenza potenziale». Ricordo
che nella stessa Francia persino i resistenti non vedevano di buon occhio gli
zingari, e li sospettavano di spionaggio, di essere informatori e di fare il
mercato nero. Sarebbe interessante stabilire quante carovane di zingari hanno
continuato a percorrere l’Europa in guerra. Quanto agli omosessuali, come molti
altri «delinquenti» erano tratti dalle prigioni o inviati direttamente ai campi
per lavorarvi; la legislazione tedesca, come molte altre legislazioni
dell’epoca, reprimeva l’omosessualità. Quanto agli slavi, chi di loro era
nei campi non vi si trovava in qualità di slavo ma in quanto internato
politico, prigioniero di guerra, ecc..., allo stesso titolo dei francesi. Ad
Auschwitz c’erano persino dei prigionieri di guerra britannici catturati a
Tobruk. La preoccupazione principale dei tedeschi, a partire dal 1942, era di
mettere al lavoro tutti questi internati (tranne gli inabili, e, sembra, gli
zingari) per vincere la guerra. Ad Auschwitz esistevano persino dei corsi di
formazione professionale per i giovani dai 12 ai 15 anni, per muratori, per
esempio. I responsabili tedeschi delle deportazioni di stranieri verso i campi
insistevano per ottenere il maggior numero possibile di «abili al lavoro». I
governi stranieri, da parte loro, insistevano perché le famiglie non fossero
smembrate e perché vecchi e bambini si aggregassero ai convogli. Nè gli ebrei,
né gli altri avevano coscienza di partire verso qualche sterminio se devo
credere alle testimonianze, come quella di Georges Wellers in L’ètoile jaune
à l’heure de Vichy («La stella gialla all’epoca di Vichy»). Avevano
ragione. Fortunatamente questo massacro era solo una frottola di guerra. Peraltro,
si fa fatica a pensare che la Germania, che era drammaticamente a corto di
locomotive, di vagoni, di carbone, di personale qualificato, e di soldati,
abbia potuto attuare un tale sistema di convogli per macelli. Questi convogli,
lo voglio ricordare, avevano la priorità persino su quelli con materiali da
guerra. La manodopera soprattutto qualificata: ecco la principale
preoccupazione dei tedeschi.
q
Storia Illustrata
- Lei è
specializzato nella critica testuale e dei documenti, letteraria, ma ha fatto
di questo problema il suo terreno preferito di «ricerca storica». Perché? Che
cosa intende dire quando afferma che sul problema delle camere a gas e dello
sterminio degli ebrei c’è una «cospirazione del silenzio»? Perché ci dovrebbe
essere, e da porte di chi?
q Robert Faurisson - Per me la critica dei testi
e dei documenti mira a stabilire il grado di autenticità e di veridicità di ciò
che si legge. Si cerca così di distinguere il vero dal falso, il senso e il
controsenso, ecc... Suppongo che questa preoccupazione doveva quasi fatalmente
condurmi a rilevare alcuni falsi storici e in particolare, a rilevare quello
che tra qualche anno apparirà a qualsiasi storico come un falso monumentale. La
cospirazione del silenzio intorno alle opere dei revisionisti fa sì che esse
siano, nella maggior parte, dei «samizdat» (nota). In quanto agli
autori che riescono a infrangere il muro del silenzio, sono trattati da
nazisti, e relegati quindi in un ghetto. I metodi usati contro gli storici o le
persone non conformiste vanno dalla pura e semplice criminalità alle
persecuzioni legali, passando attraverso metodi di bassa polizia. Lobbies di
tutti i generi fanno regnare o tentano di far regnare un’atmosfera di terrore.
Ne so qualche cosa. Io non posso più insegnare all’università, la mia vita è
diventata difficile. Mi scontro con interessi giganteschi. Ma alcuni
giovani mi sostengono. Prima o dopo luce sarà fatta. Anche degli ebrei sono al
mio fianco; anche essi vogliono denunciare la menzogna e la persecuzione. Più
che alla cospirazione credo alla forza del conformismo. I vincitori
dell’ultima guerra avevano bisogno di farci credere all’ignominia intrinseca
del vinto. Sovietici e occidentali, che erano divisi da tutto, su questo
punto avevano trovato un buon terreno d’accordo. Hollywood e l’apparato
propagandistico staliniano hanno unito i loro sforzi. Quale fracasso
propagandistico! I principali beneficiari di questa operazione sono stati
forse lo Stato di Israele e il sionismo internazionale. Le principali
vittime sono stati il popolo tedesco - ma non i suoi dirigenti - e il popolo
palestinese al completo. Ma in questi giorni gira zizzania nell’aria; sionisti
e polacchi presentano versioni divergenti su Auschwitz.
q
Storia Illustrata
- Lei
contesta molto dei metodi che gli storici «ufficiali» hanno applicato a questa
ricerca storica. Questo capitolo di storia del XX secolo non sarebbe stato
scritto comme il faut.
Perché, e perché avrebbero dovuto farlo?
q Robert Faurisson - Gli storici ufficiali
hanno mancato ai loro impegni. In questo affare non hanno rispettato i metodi
abituali della critica storica. Hanno seguito la corrente generale, quella
imposta dai mass media. Si sono lasciati assorbire dal sistema. Uno
storico ufficiale come il professore universitario Helmut Diwald va incontro
a terribili noie se si arrischia semplicemente a dire che il «genocidio»,
nonostante l’abbondante letteratura che gli è consacrata, «non è stato ancora
ben chiarito». In seguito alla pressione delle organizzazioni ebraiche
tedesche, la seconda edizione della sua Storia dei tedeschi è stata
«ricomposta e migliorata» (sic!) là dove era necessario. Il coraggio di Paul
Rassinier sta proprio nell’aver applicato i metodi abituali della critica
storica. Agli accusatori dei tedeschi in un certo modo ha detto: «Mostratemi
le vostre prove». «I vostri documenti danno garanzia di autenticità»?
«Siete sicuri che questa espressione, questa frase hanno il senso che
attribuite loro»? «Di dove vengono le vostre cifre»? «Come è
stato possibile stabilire questa statistica»? «Di dove viene la didascalia di
questa foto»? «Chi mi dice che questa vecchia e questo bambino che vedo
su questa foto sono “sulla strada della camera a gas”»? «Questo ammasso di
scarpe significa che si gassavano delle persone in questo campo oppure che
molti detenuti di questo campo erano proprio impiegati a fabbricare scarpe»?
«Dove è il manoscritto di quella straordinaria testimonianza che dovrebbe avere
una sola versione, e che invece vedo pubblicare nelle forme più diverse e
contraddittorie, comprese quelle pubblicate da parte di alcuni storici»?,
ecc... Paul Rassinier, modesto professore di storia e di geografia, ha
dato una notevole lezione di
chiaroveggenza e di probità ai suoi eminenti colleghi d’università. Autentico
rivoluzionario, autentico resistente, autentico deportato, questo uomo amava la
verità come si deve: fortemente e soprattutto. Egli ha denunciato ciò che
chiama «la menzogna di Ulisse». Ulisse, è risaputo, nell’esilio ha conosciuto
cento prove, ma, ritornato a casa, ne ha raccontato mille. Sappiamo che l’uomo
ha molta difficoltà a non affabulare. é
spesso ghiotto di straordinarie storie di caccia, di pesca, di amore, di
denaro. Ma, soprattutto, abbonda nei racconti di atrocità. L’americano Arthur
R. Butz ha scritto un libro magistrale: The Hoax of the XXth Century («L’impostura del secolo
XX»). Questo libro provoca sconcerto tra gli «sterminazionisti». La
dimostrazione è incontrovertibile. La sua traduzione è stata praticamente
proibita in Germania con l’iscrizione del libro sull’elenco delle «opere
pericolose per la gioventù». Il tedesco Wilhelm Staglich ha pubblicato Der
Auschwitz Mythos («Il Mito di Auschwitz»). Il gruppo svedese di Jewish
Information annuncia un Auschwitz Exit. Altri ebrei hanno scritto in
senso revisionista: J. C. Burg, in Germania, per esempio. E non è molto
che la rivista di estrema sinistra La Guerra Sociale ha pubblicato uno
studio intitolato De l’exploitation dans les camps à l’exploitation des
camps («Dallo sfruttamento nei campi allo sfruttamento dei campi»). In Gran
Bretagna, negli Stati Uniti, in Germania (in questo Paese la persecuzione dei
revisionisti è impietosa), in Australia, in Belgio, in Francia, un po’ ovunque
delle voci si levano per chiedere che infine si rinunci a un’assurda propaganda
di guerra. Conosco anche, ma non posso fare i loro nomi in questa sede, degli
storici ufficiali che stanno uscendo dall’incubo. Forse stanno per rinunciare
alle delizie di quello che lo storico revisionista David Irving chiama
«l’incesto tra storici». Questa imaginifica espressione illustra la pratica che
consiste nello sprimacciare voluttuosamente ciò che altri storici hanno
affermato su un dato soggetto e nel rinnovarlo solo con dei sottili arzigogoli.
Bisogna avere assistito ad un congresso di storici sul nazismo. Che strana
comunione nel rispetto del tabù! E come ci si sorveglia e ci si sente
sorvegliati! Guai a chi turbasse la cerimonia espiatoria esponendo una tesi non
ufficiale! Urla e censura.
q
Storia Illustrata
- Lei è
antisemita? Come giudica il nazismo?
q Robert Faurisson - Non sono antisemita. Bisogna
evitare di vedere dappertutto antisemiti. Gli ebrei che denunciano
l’impostura del «genocidio» sono come quei cattolici che dicono che c’è un’impostura
di Fatima, dove migliaia di testimoni avrebbero visto danzare il sole. La
verità, o la ricerca della verità, come può essere antisemita? Il nazismo di
fatto era la dittatura del Führer. è
morto con il suo Führer il 30 aprile 1945. Non contate su di me per sputare sul
cadavere del nazismo. In quanto uomo non ammetto che si diffami il popolo
tedesco attribuendogli dei crimini che sarebbero senza precedenti nella storia
dell’uomo. Non ammetto soprattutto che sia stato così bene «rieducato» da essere
il primo a credere a questi crimini, e che si diffami da sé più di quanto non
glielo chiedano i suoi stessi dirigenti. Da storico, constato che Konrad
Adenauer (1876-1967), Willy Brandt (1913-1992) ed Helmut Schmidt
ripetono la lezione dei vincitori dell’Ovest mentre i loro omologhi della
Germania dell’Est ripetono quella dei vincitori dell’Est. Suppongo sia la Realpolitik.
q Storia Illustrata - Lei nega anche che il
numero delle vittime, i sei milioni, sia attendibile. Fossero anche di meno,
cambierebbe qualcosa al fatto che genocidio c’è stato, e poco conta quante sono
state le vittime?
q Robert Faurisson - Sei milioni di persone sono
la popolazione di un Paese come la Svizzera. Nessuno, al processo di
Norimberga, aveva la minima possibilità di puntellare una tesi così
stravagante. è il mattino del 14
dicembre 1945 che il procuratore americano Dodd tentò di accreditare questa
cifra leggendo una dichiarazione del testimone Hottl. Il pomeriggio
dello stesso giorno era costretto a battere in ritirata per l’intervento
dell’avvocato Kauffmann, ben deciso a chiedere l’escussione del testimone per chiedergli
conto di questa cifra. Disgrazia vuole che la stampa e gli storici hanno
ritenuto questa cifra come se il tribunale stesso vi avesse più o meno creduto.
Queste sono le mie stime:
1°) il
numero di ebrei sterminati dai nazisti (o vittime del «genocidio») è
fortunatamente uguale a zero;
2°) il
numero di Europei uccisi per fatti di guerra (fatti di guerra spesso atroci)
potrebbe essere nell’ordine dei 40 milioni; di questi, quello degli ebrei
europei potrebbe essere dell’ordine di un milione, più probabilmente di alcune
centinaia di migliaia se non si contano gli ebrei combattenti sotto diverse
bandiere alleate. Insisto sul fatto che da parte mia si tratta di una stima che
non ha carattere propriamente scientifico. Per contro, ho molte buone
ragioni per pensare che la cifra dei morti di Auschwitz (ebrei e non ebrei) sia
di 50.000 circa (cinquantamila) e non di 4 milioni, come a lungo si è
preteso, prima di accontentarsi di un milione come sta facendo l’Istituto di
Storia Contemporanea di Monaco. Quanto al numero dei morti di tutti i campi di
concentramento dal 1933-34 al 1945, penso debba essere stato di 200.000, o
tutt’al più di 360.000. Un giorno citerò le mie fonti, ma già da ora dico che
se si impiegassero i calcolatori si potrebbe certamente sapere presto il numero
reale dei morti. I deportati venivano schedati ai diversi livelli, devono avere
lasciato numerose tracce.
Storia Illustrata - Si rende conto che lei
potrebbe contribuire a una specie di «riabilitazione» del nazismo?
Robert
Faurisson -
Significa riabilitare Nerone dire che non abbiamo alcuna prova che egli abbia
fatto incendiare Roma? Ciò di cui bisogna preoccuparsi di riabilitare o di
ristabilire è la verità, almeno quando lo possiamo fare. Lo storico non ha da
preoccuparsi degli interessi di Tizio o di Caio. L’importante per me è di
portare il mio contributo a una storia veridica della Seconda Guerra Mondiale.
Se un vecchio nazista venisse a dirmi che le pretese «camere a gas» e il
preteso «genocidio» degli ebrei sono una sola e unica menzogna storica lo
approverei come se mi dicesse che due e due fanno quattro. Non andrei oltre e
lo lascerei alle sue idee politiche. Il neonazismo è in gran parte
un’invenzione dei mass media che ci vendono persino un nazismo da sex-shop. é come la pretesa «colonna Odessa» o
le colonie naziste in America del Sud, o le croniche riapparizioni di Hitler e
di Martin Bormann. Se ne fanno di soldi con queste invenzioni! Credo che
in Germania coloro che dai loro avversari politici vengono definiti
«neonazisti» compongono lo 0,7% del corpo elettorale. Viviamo nella
fantasmagoria, in una specie di nazismo senza nazisti. A questo
proposito la rimando alle pertinenti analisi di Gilbert Comte apparse su
Le Monde del 29 e 30 maggio 1979. Poiché nulla è gratuito a questo
mondo, va da sé che lo smontare questo delirio mette in evidenza un gioco molto
complesso di interessi, di passioni, di conflitti a livello planetario. Lo
Stato di Israele ha un interesse vitale a mantenere questa fantasmagoria che ha
non poco reso possibile la sua creazione nel 1948. Anche uno Stato come
quello francese ha interesse a mascherare la realtà di numerosi conflitti
mantenendo mobilitati gli animi contro il peggior nemico che ci sia: la famosa
immonda bestia nazista, una bestia morta 35 anni fa e sul cui conto e concesso
sbizzarrirsi. Ecco quindi queste perpetue cerimonie espiatrici, queste condanne
alle fiamme eterne, questa necessità di vendetta, di castigo e di denuncia
senza limite di tempo, di luogo o di persona.
q
Storia Illustrata
- Non
crede che trattare in questo modo il problema del genocidio sia screditarne il
ricordo su cui si basa principalmente la convinzione diffusa che
l’antisemitismo è il peggiore dei tanti razzismi praticati nel XX secolo? Un
ricordo screditato non serve a nulla, infatti.
q Robert Faurisson - L’antisemitismo non e il
peggiore dei razzismi, ma un buon sistema per farcelo credere è appunto di
farci credere al «genocidio» degli ebrei. I sionisti sono andati troppo oltre.
Coloro che avrebbero voluto rifiutare il principio delle «riparazioni
finanziarie» versate dalla Germania in particolare in nome del «genocidio»
avrebbero dovuto essere ascoltati. Sfortunatamente Ben Gurion
(1886-1973) per lo Stato di Israele, e Nahum Goldmann per lo Stato di
Israele e per la Diaspora allo stesso tempo hanno voluto trarre un
gigantesco profitto finanziario da questo affare. Adenauer vi si è
prestato. Tutto ciò dà all’impostura del «genocidio» un aspetto ancora più
sgradevole. Leggete la stupefacente intervista di Nahum Goldmann apparsa sul nº
624 del Nouvel Observateur (25-29 ottobre 1976): raramente si è visto un
uomo tanto piacevolmente stupito e felice di avere concluso una così splendida
operazione finanziaria.
q
Storia Illustrata
- Nel corso della sua polemica con quanti le contestano questa tesi, lei ha
anche affermato che buona parte di quanto il pubblico conosce è leggenda, e che
essa sarebbe stata resa possibile da un uso «indiscriminato» dei mass media.
Che intende dire esattamente con ciò?
q Robert Faurisson - Questo è un punto grave e
appassionante. La responsabilità dei mass media in tutto questo affare è
schiacciante. Per 35 anni, sui cinque continenti, la leggenda del «genocidio» e
delle «camere a gas» ci è stata presentata come una verità. Miliardi di
uomini sono stati così tratti in inganno. è
una cosa che dà le vertigini a pensarla. Quale lezione per quanti credono in
una informazione diversa e contraddittoria! C’è voluta la lotta eroica di
qualche individuo, di qualche spirito non conformista perché uno spiraglio si
aprisse nello schermo della verità ufficiale. Potrei scrivere un lungo
studio sul modo in cui i giornali e la televisione francesi soffocano
l’informazione, aiutati dai tribunali e dai poteri pubblici nel loro insieme. I
giornalisti temono che in un prossimo futuro venga istituita la banca dei dati
dell’informazione. Questa informazione risulterebbe da una selezione (delle
notizie; N.d.R.) che non ci sarebbe modo di controllare. Ho un consiglio da
dare loro. Se vogliono sapere come corrono il rischio di essere ingannati, si
chinino sul passato, e per qualcuno di essi, sul loro proprio passato. Per
sapere come si rischia un giorno di mentire vadano a vedere con quale gelosa
cura è stata conservata la più bella menzogna di tutti i tempi. Quando Luigi
XIV (1638-1715) mentiva, le sue menzogne non superavano qualche provincia.
Ai giorni nostri, la menzogna può prendere dimensioni veramente hollywoodiane.
Un «docu-dramma» come Olocausto è il coronamento di un’opera. Non era
concepibile negli anni del dopoguerra, che pure erano ben impregnati di odio.
Ci volevano trenta e più anni di intossicazione. Una droga così forte come Olocausto
poteva essere somministrata solo ad animi già lungamente impregnati di altre
droghe dello stesso genere e che spontaneamente ne reclamano di più forti. Ma
l’overdose ha prodotto effetti salutari grazie alla visione stessa che
abbiamo della nostra decadenza. Si sono potute rilevare delle sane reazioni.
Penso in particolare a una reazione veramente notevole dell’«ebreo libero» Michel
Rachline, apparsa nel Figaro-Magazine, del 3 marzo 1979. La non
esistenza delle «camere a gas» e del «genocidio» è una buona notizia. L’uomo,
pur capace dei massimi errori, non è stato capace di questo. C’è di meglio:
milioni di uomini che ci sono stati presentati come complici di un crimine
mostruoso o come vigliacchi o come bugiardi erano onesti. Ho già detto che gli
ebrei accusati dai loro figli di essersi comportati come pecore che i tedeschi
avrebbero condotto al macello non meritavano questa accusa. Aggiungo che gli
accusati di Norimberga e di mille altri processi dicevano la verità quando
affermavano ai loro giudici accusatori di non sapere nulla di questi orribili
massacri. Il Vaticano e la Croce Rossa dicevano il vero quando confessavano
pietosamente la stessa ignoranza. Gli americani, gli inglesi, gli svizzeri, gli
svedesi e tutti quei popoli o governi ai quali oggi degli ebrei estremisti
rimproverano di essere stati passivi mentre pare, funzionavano i macelli
nazisti, non devono più comportarsi da colpevoli pentiti. Il risultato più
vergognoso di questa gigantesca impostura era e resterà ancora per un certo
tempo questa cattiva coscienza che gli ebrei estremisti hanno creato in tanti
popoli, e in particolare nel popolo tedesco. Soprattutto non vorrei dare
l’impressione di cercare, poco o tanto, di fare l’apologia del nazismo. Credo
persino di poter presentare un’analisi severa di questo genere di ideologia. Ma
non proporrò questa analisi fintanto che il falso nazismo col quale ci stancano
gli «sterminazionisti» non sarà stato denunciato dall’insieme degli storici
ufficiali. Queste persone, attaccando un nazismo che non è mai esistito, danno
l’impressione di essere incapaci di aggredire la realtà di ciò che il nazismo è
stato. Mi fanno pensare a coloro che rappresentano il Male nella forma di un
diavolo con graticola, tridente e fiamme. Il Male in realtà, e noi lo sappiamo
bene, è nei sistemi di vita che l’uomo si è creato. Finché ce la prenderemo con
le forme mitiche del Male, il Male se la caverà bene. La nostra società è
disorientata. In pieno XX secolo ha reinventato il diavolo. Essa combatte un
nemico immaginario. Ha qualcosa di meglio da fare. Uno sforzo di analisi si
impone. Apriamo gli occhi su ciò che i mass media hanno fatto di noi.
Smascheriamo ciò che il potere cerca di nascondere. In ogni campo.
1 R. Höss è
stato uno dei tre comandanti di Auschwitz, tutti e tre catturati e interrogati
dagli Alleati. Solo Höss ha rilasciato una «confessione» che si deve ai suoi
carcerieri polacchi.
2 Termine con il quale si indicano i complessi formati da crematori e dalle pretese «camere a gas».