Robert Countess, esponente di punta del revisionismo americano, si è spento lo scorso 18 Marzo, a causa di un tumore al cervello. Già professore universitario (Tennessee State University, University of Alabama etc.), specialista in greco del Nuovo Testamento, nonché ex cappellano dell’esercito degli Stati Uniti, Robert Countess ha pubblicato più di 100 articoli in vari giornali e riviste. Fondatore della casa editrice revisionista Theses & Dissertation Press (attualmente condotta da Germar Rudolf), ha inoltre partecipato a diversi convegni dell’Institute for Historical Review.
L’articolo che segue è stato pubblicato come capitolo di un libro collettaneo uscito nel 2004 in onore dei 75 anni del prof. Robert Faurisson: Exactitude. [1] Si tratta di una dissertazione sul ruolo avuto dalla deposizione del testimone Michal Kula nella storiografia dell’Olocausto.
Ecco il testo di Countess:
Analisi di un “elemento centrale” di prova delle pretese camere a gas omicide di Auschwitz-Birkenau: le otto colonne metalliche a triplo ingranaggio per l’introduzione di acido cianidrico di Michal Kula.
Robert Countess
“Mostratemi o disegnatemi una camera a gas nazista”, è stata la ripetuta richiesta, formulata dal professore universitario francese Robert Faurisson, in un modo o nell’altro, fin dal 23 Marzo del 1974, quando inviò una lettera al Centro ebraico di documentazione contemporanea di Parigi.
In tale lettera, egli chiedeva se le camere a gas hitleriane fossero un mito oppure una realtà. [3] Ho avuto occasione di ascoltarlo su questo argomento, ed egli disse che la donna francese, meravigliosamente collaborativa, del “Centre” gli portò dei libri dalla biblioteca che mostravano foto di capelli, scarpe, occhiali, e denti. Faurisson gentilmente la sollecitò a produrre delle foto effettive della “camera a gas hitleriana”. Finalmente ella ammise che non poteva produrne alcuna.
La costanza di Faurisson nell’indagare la letteratura disponibile insieme ai documenti di prima mano di Auschwitz, oltre alle sue personali ispezioni in Polonia, hanno provocato nel corso del tempo numerose reazioni da parte dei media francesi e degli scrittori, giuristi, politici e accademici della Storia dell’Olocausto Ebraico, reazioni che si sono risolte quasi senza eccezioni in attacchi ad hominem contro di lui, fino ad accusarlo di cercare di riabilitare Hitler e il nazismo (per la sua insolenza nel fare questo tipo di domande). Questi “negazionisti” – come io debbo definirli – poiché sono così negativamente ostili ad una indagine scientifica internazionale – affermavano che il Tribunale di Norimberga avesse chiaramente stabilito la realtà delle attrezzature di gassazione omicida e che altre corti giudiziarie ne avessero proclamato l’esistenza sulla base della “dichiarazione di evidenza”. [4]
Naturalmente, Faurisson è disposto volentieri ad accettare tale “evidenza” per l’acqua che gela a 32 gradi Fahrenheit, ma egli non era allora, come non lo è oggi nel suo meritatamente felice 75° compleanno (ricorrente il 25 gennaio del 2004), disposto ad accettare che le camere a gas hitleriane siano davvero esistite, a meno che la loro esistenza non sia scientificamente accertata dall’indagine di una squadra di scienziati.
Dopo tanti anni in cui gli storici della Storia dell’Olocausto Ebraico avevano deciso di ignorare Faurisson, uno scrittore, uno specialista con un dottorato in “Storia delle Idee” che si era spacciato per “professore di architettura” – un ebreo olandese chiamato Robert Jan Van Pelt – finalmente decise che la sfida di Faurisson doveva essere fronteggiata.
Il dr. Van Pelt ha fabbricato la prova materiale per contrastare Faurisson presentando le immagini di un obitorio con disegni assonometrici, disegni per giunta assai ben fatti e spettacolari, comprendenti una colonna metallica a triplo ingranaggio per l’immissione di Zyklon B. [5] La tesi è che sulla base di questo modello siano state costruite otto colonne – quattro per ognuno dei Leichenkeller (obitori o camere mortuarie) dei Cremas (Crematori) II e III di Birkenau – e siano state costruite da un detenuto polacco cattolico-romano chiamato Michal Kula, con l’espressa intenzione di uccidere esseri umani. Il cristiano Kula divenne così un complice del crimine.
La presentazione di Van Pelt della Kolonna di Kula (ho scelto di scrivere “colonna” con una “K” come accentuazione allitterativa) non consiste comunque in una foto dell’oggetto in questione, o in un disegno tecnico originale o in un disegno basato su un qualsiasi documento originale di un tale congegno di diffusione mortifera, ma consiste piuttosto in una “ricostruzione assonometrica”, aderente alla testimonianza di Kula, disegnata da Marc Downing a p.194 e da Scott Barker a p.208. E, se posso aggiungere, si tratta di disegni davvero spettacolari.
Il disegno, riprodotto nel libro di Pressac, delle leggendarie “Colonne per l’immissione dello Zyklon-B”, così come descritte da Michal Kula.
In tal modo, essi costituiscono una risposta concreta da parte di Van Pelt alla richiesta di Faurisson di una foto o di un disegno di una camera a gas hitleriana. Per essere un tentativo di mantenersi sul terreno scientifico, tali disegni sono encomiabili, poiché possono essere analizzati e valutati.
Ma devo porre il quesito se tali ricostruzioni grafiche, basate su nient’altro che il racconto di un testimone, costituiscano una prova convincente, visto che non esiste nessuna di queste presunte otto colonne, né vi sono frammenti di esse o almeno documenti che le riguardino ad Auschwitz o altrove la cui autenticità possa essere verificata. [6] Per quale motivo, inoltre, l’ex detenuto condannato a quattro anni e mezzo di prigione dovrebbe essere creduto? Non nutriva egli animosità contro i suoi carcerieri tedeschi, appartenendo per giunta ad un gruppo che tentò la sollevazione contro le autorità del campo? [7] Non aiutò egli volentieri le autorità comuniste polacche l’11 Giugno del 1945, quando testimoniò contro i tedeschi e descrisse queste presunte colonne come strumenti progettati esclusivamente per l’omicidio di inconsapevoli innocenti?
In generale la Storia dell’Olocausto Ebraico contiene la tipica narrazione secondo cui, una volta che le squadre speciali di prigionieri avevano ultimato il compito loro assegnato nel processo di gassazione e cremazione, i loro componenti venivano anch’essi uccisi e cremati affinché non vi fossero testimoni oculari. Tuttavia Michal Kula, ci viene detto, riuscì a sopravvivere oltre quattro anni in questo cosiddetto “anus mundi”. Forse Kula, se fosse ancora vivo e libero di parlare nel 2004, racconterebbe una storia diversa, una storia nella quale egli collaborò con i tedeschi in modo zelante, riuscendo così a sopravvivere alla chiusura del campo di Auschwitz-Birkenau appena prima che l’Armata Rossa vi entrasse il 27 Gennaio del 1945.
Si può trovare a p.206 del libro di Van Pelt una (difettosa) traduzione inglese della testimonianza di Kula del 11 Giugno del 1945, [8] nella quale, per assecondare gli scopi del processo comunista contro il comandante del campo Rudolf Hoss, egli diede alcuni dettagli tecnici ai suoi inquisitori. Kula, come è lecito aspettarsi da un tecnico esperto di costruzioni metalliche, fornì delle misure abbastanza precise. Su questo punto ritornerò in seguito.
Complessivamente quello di Van Pelt è un libro imponente, altamente tecnico, attentamente documentato, ben impaginato e gradevolmente rilegato, con ottime foto e disegni, ma stranamente è stato pubblicato – per motivi che mi rimangono sconosciuti – da un importante editrice universitaria americana a spese del contribuente.
Se un tale dibattito potesse aver luogo, l’enunciazione della discussione potrebbe recitare quanto segue: ad Auschwitz-Birkenau ci furono camere a gas omicide appositamente costruite per l’utilizzo di Zyklon-B, con il suo acido cianidrico, per uccidere ebrei e altri esseri umani.
E se il prof. Faurisson rappresentasse il polo negativo della discussione, avrebbe il compito di chiedere le prove materiali, non semplici disegni, schizzi o illustrazioni. [9] Posso solo congetturare quello che Van Pelt mostrerebbe se rappresentasse il polo positivo della discussione, ma ritengo che presenterebbe schizzi, disegni e illustrazioni, ma soprattutto, la presunta testimonianza oculare di un Michal Kula (e di altri) il quale mai, neppure una volta, è stato contro interrogato sotto giuramento in un tribunale appropriato, all’infuori di uno scenario da “processo-show” di stampo staliniano.
Faurisson insisterebbe sulla necessità di contro-interrogare Kula con procedure analoghe a quelle del contro interrogatorio dei testimoni illustri di Toronto, Canada, nel famoso, fondamentale processo di Ernst Zundel, quando il dr. Rudolf Vrba e Arnold Friedman furono finalmente costretti ad ammettere che non avevano assistito a gassazioni omicide, al contrario di quanto avevano sostenuto nei loro scritti e in precedenti testimonianze peritali. [10]
Ma Michal Kula, nato nel 1913, nel 2004 avrebbe 91 anni, se fosse ancora in vita, e probabilmente non sarebbe un testimone in grado di fornire una testimonianza ragionevole, per non parlare di un contro interrogatorio.
La prima domanda da fare naturalmente è: merita Kula di essere creduto? Quali erano le sue motivazioni nel rendere la propria testimonianza alle autorità comuniste polacche? La commissione giudiziaria comunista svolse realmente un’adeguata indagine scientifica il cui unico compito fosse quello di verificare o falsificare [11] le accuse di Kula? Presentò forse Kula, o chiunque altro, veri disegni tecnici, progetti o altri documenti della Direzione Centrale delle Costruzioni di Auschwitz, per la quale questi presunti ordigni sarebbero stati costruiti nonché registri delle ordinazioni, per i materiali e il loro costo? Dopo tutto, ci viene sempre detto da persone come Van Pelt che ci sono “montagne di prove” e “milioni di documenti” per provare i crimini nazisti.
C’è comunque un documento che cita Kula per nome. Ma anche con ciò, si può concedere a Kula di aver detto la verità l’11 Giugno 1945, oppure la sua storia dettagliata di colonne metalliche venne fabbricata per la voglia di regolare i conti con i suoi carcerieri tedeschi?
Esiste un indizio della credibilità di Kula come testimone, e viene dalla sua dichiarazione riguardo ad una gassazione in una baracca per detenuti cui avrebbe assistito. Egli afferma di aver visto l’evacuazione dei cadaveri delle vittime:
“Vidi allora che [i cadaveri] erano verdastri. Le infermiere mi dissero che i cadaveri erano spaccati, e la pelle si staccava.”
Riguardo a ciò, Germar Rudolf osserva giustamente: [12]
“[…] Le vittime di gassazioni con Zyklon-B non hanno colore verdastro (il loro colore è rosato tendente al rosso), e non c’è ragione per la quale i cadaveri debbano spaccarsi e la loro pelle si debba staccare. Questa non è altro che propaganda nera.”
Ma il prof. Van Pelt attribuisce un importanza fondamentale a Michal Kula nel suo libro e accetta le informazioni tecniche fornite al tribunale comunista polacco come se tali informazioni costituissero una verità effettiva, addirittura scientifica!
Documenti di Kula nella Schlosserei di Auschwitz
Van Pelt avrebbe potuto fornire la seguente informazione, ma ha scelto di non farlo. Il ricercatore italiano Carlo Mattogno ha scritto nel suo articolo del 2002 che il giudice polacco Jan Sehn rese accessibile per il processo a Rudolf Hoss un elenco di ordinativi per materiali da costruzione; il giudice Sehn produsse quest’elenco senza omissioni il 25 Luglio del 1945, circa sei settimane dopo la deposizione di Kula in tribunale.
Esistono 85 di questi ordinativi per la “Werkstattenleitung Schlosserei” (direzione delle officine), che iniziano il 28 Ottobre del 1942, ed uno di questi, il numero 433 datato il 20 Maggio 1943, è una richiesta per materiali fatta da Kula, qualificato come “Hersteller” (esecutore), il quale abbisognava di due pezzi per riparare “kopl Verbindungstucke fur Gummischlauch” (raccordi per tubo di gomma). La richiesta è segnata come “Dringend” (urgente) e doveva essere consegnata al prof. Schumann per il “Rontgen-Station im F.L.” (il reparto per i raggi x dell’ospedale del settore femminile di Birkenau). Il documento indica che Kula ultimò il lavoro il 21 maggio 1943. [13]
Se Kula avesse testimoniato in modo veritiero riguardo alla costruzione delle otto colonne per la diffusione del gas nei crematori II e III, avrebbe dovuto esservi un ordinativo della “Schlosserei” (l’officina dei fabbri) per ottenere la grande quantità necessaria di reti metalliche, supporti di ferro, viti, dadi e bulloni, barre saldate, supporti di legno e altro ancora. Mattogno evidenzia come Van Pelt non possa accampare l’alibi della segretezza per questi materiali omicidi, poiché nel registro degli ordinativi vi sono richieste di “porte a tenuta di gas” per gli stessi crematori, elementi addotti da Van Pelt per provare che tali edifici erano stati convertiti in attrezzature di sterminio.
Possiamo perciò affermare con sicurezza che quando Kula testimoniò nel tribunale del giudice Sehn l’11 Giugno del 1945, egli sapeva di rendere falsa testimonianza. E il suo compare di rivolte, Henryk Tauber – sul quale Van Pelt confida così largamente – fornì una storia analoga su queste presunte colonne metalliche. [14]
Esiste un sito internet, www.holocaust-history.org/auschwitz/intro-columns, che si affida fondamentalmente a Harry Mazal per il lavoro di ricerca, e in tale sito viene dato il massimo credito alla Kolonna di Kula. Per di più, c’è una foto in bianco e nero di un “soldato sovietico” con in mano uno dei presunti coperchi di legno dei camini della camera a gas, con la data che recita “14 Ottobre 1944”, la cui fonte è The Illustrated London News, pagina 442.
Poiché l’Armata Rossa raggiunse Auschwitz solo il 27 Gennaio del 1945, i lettori potrebbero chiedersi in che modo questa foto sia stata confezionata, per raffigurare un soldato sovietico in cima ad una presunta camera a gas circa quattro mesi prima della liberazione del campo!
Posso affermare con sicurezza, comunque, che questo sito dell’ ”Holocaust History Project” esiste in larga parte a motivo dell’insistenza pluridecennale di Robert Faurisson affinché gli venisse mostrata una camera a gas nazista. Persone come Mazal e i suoi compari stanno cercando di fare proprio questo, anche a costo di inventare, creare, sopprimere, o falsificare la realtà. E Van Pelt è senza dubbio un volenteroso “carnefice” [15] , unitamente a questi fanatici.
Un commento finale su Michal Kula potrebbe anche essere quello di ricordare che Danuta Czech, a pagina 51 del suo libro molto importante conosciuto come il “Kalendarium”, non lo nomina neppure pur elencando il suo numero di matricola 2718. Il non ebreo Kula è confinato all’ultima nota a piè di pagina del libro e anche in quel caso solo perché egli diede testimonianza sul destino di certi ebrei.
Il libro di Van Pelt uscì nel Febbraio del 2002, io ricevetti la mia copia il 18 Aprile ed iniziai a lavorarvi con penna nera, penna rossa ed evidenziatori vari, scrivendo annotazioni ai margini e dovunque capitasse. Edizione limitata, grande formato, libro affascinante. L’autore si produce in qualche attacco importante a David Irving qui e là. Quando arrivai al capitolo 3, “Intentional evidence”, sapevo che qualcosa di assai stimolante si profilava all’orizzonte (il Black’ s Law Dictionary non ha una voce riguardante l’”intentional evidence”, ma “intention” sta ad indicare l’intenzione di porre in essere un determinato atto.)
La “Kolonna di Kula” in costruzione, con a fianco l’editore Germar Rudolf, in una foto del 24 Agosto 2002.
Secondo Van Pelt, il contenuto essenziale del capitolo consiste in prove basate sul proposito, da parte dei tedeschi, di sterminare mediante l’utilizzo di specifici dispositivi – camere a gas omicide nascoste in obitori sotterranei, camuffati, come egli scrive, per sembrare camere mortuarie.
Il lettore si aspetta, finalmente, una solida risposta alla richiesta di Faurisson “Mostratemi o disegnatemi…”. Van Pelt non ignora Faurisson come tanti prima di lui hanno fatto.
Preparai quindi una conferenza sul libro di Van Pelt e la presentai al quattordicesimo convegno dell’Institute for Historical Review in California, tenutosi dal 21 al 23 Giugno del 2002, con il titolo: “Uno sguardo critico allo studio revisionista di Robert Jan Van Pelt, The Case for Auschwitz: Evidence from the Irving Trial.” La mia grande stima per l’enorme lavoro compiuto da Van Pelt nel libro era controbilanciato dalla conclusione che il metodo della cosiddetta “convergenza di prove” dell’autore si risolveva in fondo in una “divergenza di prove”, ed era nel migliore dei casi ingenuo, nel peggiore disonesto.
In conseguenza di ciò, all’annuncio del quarto convegno annuale sulla “Vera Storia”, ospitato dallo storico britannico David Irving vicino Cincinnati nei giorni 30 Agosto-2 Settembre del 2002, esposi l’idea di realizzare una riproduzione effettiva della “Kolonna di Kula” di Van Pelt, cosicché, al posto di semplici parole, potessimo esercitare un vero controllo su una riproduzione di “Vera Storia”, per poter trarre delle conclusioni riguardo all’effettiva praticabilità o impraticabilità di questi presunti otto ordigni per l’introduzione di Zyklon-B.
Irving rimase ben disposto all’idea e così ne discussi con il mio collega editore, Germar Rudolf, e altri specialisti nel campo dell’analisi rigorosa della Storia dell’Olocausto Ebraico. Nel mese di Luglio avevo iniziato diligentemente la costruzione del modello, nonostante la mancanza di esperienza nella lavorazione professionale del metallo, ma impiegando nell’impresa qualche anno di pratica in riparazioni di motoveicoli e nella costruzione di edifici.
Le ipotesi sono di due tipi: 1) quelle verificabili o falsificabili; e 2) quelle basate su congetture riguardanti eventi reali ma non suscettibili di controllo – in quanto tali, possono essere semplicemente formulate in via di principio. Quelle che seguono sono le ipotesi che hanno guidato la mia indagine.
- Che le informazioni tecniche di Van Pelt siano state riprodotte fedelmente nel suo libro dai suoi appunti personali, che ho presunto essere stati fedelmente ricavati dai documenti in lingua polacca del processo Hoss del 1945, o da documenti in altre lingue;
- Che Michal Kula avesse la competenza tecnica per realizzare quello che le SS gli ordinarono presuntamente di costruire;
- Che Kula avesse la capacità mentale di rievocare per il tribunale le proprie vicende di prigionia con adeguata precisione;
- Che il presunto progetto delle colonne avesse avuto origine da una volontà delle SS chiaramente formulata e dal potere delle SS di ordinare la sua realizzazione, di fornire disegni esatti, di procurare tutto il materiale e il personale necessario, e lo spazio per lavorare;
- Che nessuno di questi disegni tecnici sia oggi disponibile per un riscontro, poiché, se tali disegni fossero effettivamente disponibili, non vi sarebbe stato bisogno da parte di Van Pelt di far produrre ai suoi assistenti “ricostruzioni assonometriche” per il proprio libro; (va ricordato che Van Pelt ha effettuato la propria ricerca per il processo Lipstadt di Londra e che se avesse scoperto i disegni autentici, li avrebbe mostrati volentieri per la difesa della prof. Lipstadt);
- Che i tecnici delle SS specializzati in progettazione di strumenti per le esecuzioni capitali avrebbero dovuto sperimentare tale ordigno in laboratorio e/o in ambienti analoghi a quelli previsti per le esecuzioni al fine di accertarsi che l’ordigno ideato, disegnato e costruito funzionasse in modo appropriato (è lecito immaginarsi un penitenziario che utilizzi una sedia elettrica per l’esecuzione di un assassino condannato senza adeguati collaudi di laboratorio sulla sua efficacia operativa?);
- Che tali collaudi imponessero ai tecnici di collocare, da qualche parte, tale ordigno sotto le aperture di un tetto di cemento, prima di assumersi il compito e i costi di ritagliare le otto aperture nei tetti di cemento armato dei Crematori II e III di Birkenau;
- Che Kula fosse un semplice maniscalco della piccola cittadina di Auschwitz e non un progettista esperto nel “design” di un tale ordigno romanzesco;
- Che ci fosse un “brogliaccio” per i materiali speciali che secondo Kula furono impiegati e nella grande quantità presuntamente utilizzata;
- Che gli otto fori di introduzione, della misura di circa 16 pollici ognuno [16] , fossero ritagliati da abili artigiani per uno spessore di diversi centimetri di cemento armato, e che i tondini di ferro fossero tagliati in modo accurato [e non strappati grossolanamente dalle aperture], e che a tale scopo venissero impiegati strumenti di precisione come la torcia all’acetilene, anziché il metodo a base di semplice martello e scalpello; e che questa operazione laboriosa fosse eseguita di notte o in modo dissimulato affinché la popolazione dei detenuti non potesse notare tale sinistra e romanzesca attività;
- Che queste otto colonne imponenti e pesanti fossero trasportate in sezioni separate piuttosto che come singole unità giacchè, altrimenti, fissarle in posizione verticale sarebbe stato impossibile a causa della lunghezza straordinaria di un pilastro quadrato misurato dall’orlo inferiore all’orlo superiore; (se un Van Pelt o un Elie Wiesel fossero persone che dedicano del tempo a costruire e riparare oggetti, potrebbero aver pensato a tali implicazioni: in questo caso torna in ballo la critica, da parte di Faurisson, a tali scrittori di essere degli “storici da carta”) [17] ;
- Che queste presunte otto colonne metalliche a triplo ingranaggio fossero rimosse dalla loro collocazione negli obitori dei Crematori di Birkenau qualche tempo prima dell’arrivo dell’Armata Rossa, il 27 Gennaio del 1945, per la quale operazione deve esservi stato qualche tedesco, che avrebbe potuto darne testimonianza nei successivi processi; altrimenti, i funzionari sovietici avrebbero conservato una o più di queste otto colonne o, almeno, le avrebbero fotografate come prova incriminante contro gli “assassini hitleriani”;
- Che la distruzione dei Crematori di Birkenau (il Crematorio I, appartenente allo “Stammlager” di Auschwitz, o Campo Principale, non fu fatto esplodere; perciò, quando Irving parla o scrive che il Crematorio I sarebbe stato “ricostruito dopo la guerra”, aggiunge solo confusione all’argomento, mostrandosi un po’ anch’egli uno “storico da carta”) qualche settimana o mese prima dell’arrivo dell’Armata Rossa non sia stato ancora spiegata in modo soddisfacente; secondo alcuni scrittori “le SS li fecero saltare in aria per nascondere i loro crimini mostruosi”, ma secondo altri, i detenuti ribelli si procurarono enormi quantità di esplosivo e fecero esplodere le cariche essi stessi; bisognerebbe presumere invece che l’Armata Rossa possa aver distrutto tutti i macchinari utilizzabili e poi li abbia fatti esplodere (avendo i genieri sovietici le capacità e la quantità di dinamite necessaria per far saltare i pesanti tetti di cemento armato);
- Che queste otto aperture quadrate sui tetti degli obitori dei Crematori II e III dovrebbero essere attualmente ancora visibili, per quanto danneggiate dalle esplosioni effettuate, chiunque sia stato e in qualsivoglia momento; (il mio secondo viaggio a Birkenau mi ha permesso di osservare alcuni resti di tondini di ferro, e persino qualche troncone tagliato in modo non troppo preciso mediante acetilene, segno forse dell’attività di qualche entusiasta dell’Olocausto che nei decenni più recenti ha cercato di creare “prove” o “tracce criminali” delle presunte aperture; ma i ricercatori seri non sono stati convinti dall’indagine del revisionista Charles Provan e dalla sua conclusione secondo la quale egli avrebbe identificato le aperture.) [18] ;
- Che ogni interpretazione seria di eventi del passato estremamente importanti (interpretazione comunemente definita “storia”) deve affrontare il problema della cosiddetta “interpretazione duale” – del fatto cioè che l’evento in questione sia interpretato in modo decisamente diverso da differenti individui, compresi quelli che sono coinvolti nell’evento stesso. [19] Perciò, se un Michal Kula avesse davvero costruito una o più colonne metalliche a triplo ingranaggio nell’officina di Auschwitz, bisognerebbe esaminare anche l’eventualità che tali colonne fossero usate per uno scopo non criminale;
- Che il mio modello “meno perfetto” della Kolonna di Kula sia un esperimento ragionevole di accertabilità di ciò che è stato asserito dal 1945 dal tribunale comunista polacco condotto dal giudice comunista Jan Sehn – vale a dire un tentativo razionale di attuare il motto di Ranke “wie es eigentlich war” (come è andata davvero) di questa vicenda altamente controversa. In tal modo mi espongo alla possibilità sia di essere colto in fallo che di essere riconosciuto nel giusto;
- Che della cifra approssimativa di 1 milione e centomila persone inviate ad Auschwitz-Birkenau, circa duecentomila sopravvissero, potendo quindi risultare quali possibili testimoni delle gassazioni omicide; che inoltre ai più importanti testimoni presuntamente oculari, quali Henryk Tauber, Michal Kula, Stanislaw Jankowski, Shlomo Dragon, David Olère, e altri, non sarebbe stato permesso di vivere e testimoniare la propria conoscenza di prima mano delle gassazioni – questo va tenuto presente specialmente quando gli scrittori della Storia dell’Olocausto Ebraico dichiarano al mondo intero che i nazisti distrussero tutte le tracce dei loro crimini;
- Che i presunti recipienti di Kula potessero sì contenere le tre libbre di granuli di Zyklon-B in ogni colonna, facendo però evaporare in modo efficace il gas mortale contenuto nei granuli solo quando lo strato superiore di granuli fosse venuto in contatto con l’aria calda circolante. I lati chiusi di questi container avrebbero impedito il contatto con l’aria e il risultato complessivo sarebbe stato debole e di discutibile efficacia, per un metodo dalla progettazione tanto elaborata. (Si può trovare un’analogia con le esecuzioni capitali mediante iniezione letale, nel caso in cui il tecnico preposto diluisse il veleno, diciamo, del 90% o anche di più; è credibile che la tecnologia di esecuzione possa essere così autolesionista? Un’analogia più pratica per proprietari di case come il sottoscritto potrebbe essere quella di versare un sacco di cemento [20] in una carriola e aggiungere acqua, ma senza mescolare l’acqua con la mistura di cemento e ghiaia. Il risultato sarebbe quello di indurire solo lo strato superiore della mistura con conseguenze disastrose per una attaccatura appropriata ad un palo o ad un punto di appoggio.) A mio giudizio la presunta testimonianza oculare di Kula avrebbe implicato un enorme spreco di Zyklon-B e questa grande quantità inutilizzata avrebbe dovuto essere nuovamente inscatolata o smaltita in un’area di sicurezza – area che un ricercatore potrebbe rintracciare persino oggi, nel 2004. Persino se si dimostrasse che Kula abbia effettivamente realizzato le otto colonne, rimarrebbe il fatto che le migliaia di libbre di Zyklon-B utilizzate avrebbero dovuto presumibilmente essere raccolte e trasportate in una discarica, in un qualche luogo nelle vicinanze di Birkenau, il cui livello di falda freatica comportava già il proprio carico di problemi per i tecnici delle SS;
- Che se la Direzione delle Costruzioni di Auschwitz avesse voluto installare apparati per gassazioni di massa nei Crematori, secondo la mia valutazione della Kolonna di Kula – ed in accordo con il parere di Germar Rudolf – i tecnici deputati avrebbero potuto, più facilmente ed in modo più efficace, predisporre dei semplici canestri nelle aperture del tetto, diciamo della profondità di 8-10 pollici, canestri con maglie aperte e con aperture sufficientemente piccole affinché i granuli di Zyklon-B non potessero cadere al di sotto, e tuttavia con un’adeguata ventilazione per una veloce ed efficiente evaporazione dell’acido cianidrico. Ritengo che le SS, mediante esperimenti in laboratorio o condotti “sul campo”, avrebbero cercato il metodo più semplice, meno costoso e più efficace di perseguire uno sterminio di massa, anziché imbarcarsi nel sistema astruso di Kula, descritto ed accettato da Van Pelt. [21] ;
- Che Michal Kula ed altri detenuti impiegati nei reparti delle costruzioni, avrebbero dovuto sapere qualcosa riguardo ai Kurzwellen-Entlausungsanlagen (impianti di disinfestazione a micro-onde) che le SS installarono ad Auschwitz, progettati dal gigante industriale berlinese Siemens-Schuckert. [22] Questi impianti avveniristici e costosi permettevano una disinfestazione veloce ed efficiente dei vestiti mediante l’utilizzo allora modernissimo della tecnologia a micro-onde – frutto delle indagini, compiute dai tedeschi, in occasione delle Olimpiadi berlinesi del 1936, quando le morie di insetti nelle vicinanze dei radiotrasmettitori portarono all’identificazione delle onde radio ad alta frequenza quale mezzo efficace per distruggere i pidocchi. Kula ed i suoi compari, con il loro odio anti-tedesco (che nessuno potrebbe biasimare, essendo essi detenuti contro la propria volontà!) e il loro interesse a diffamare le SS, fino al punto di distruggere ogni sorta di attrezzature, potevano comprensibilmente essere spinti all’invenzione propagandistica di “colonne a triplo ingranaggio”, misurate al dettaglio; i detenuti intelligenti hanno sempre tempo in abbondanza per valutare come “regolare i conti” con i propri carcerieri e persecutori, e personalmente devo considerare un tale scenario come umanamente possibile, se non probabile. Il semplice fatto che Van Pelt abbia omesso ogni riferimento alle installazioni Siemens-Schuckert a micro-onde può indicare sia una mancanza di accuratezza nella sua indagine per il processo Lipstadt, sia la volontà di nascondere una prova a discarico. A questo si può aggiungere che Van Pelt si rifiutò di andare con Irving a Birkenau per esaminare le quattro/otto aperture, un fatto che di per sé rivela una reale assenza di interesse scientifico, sia da parte di Van Pelt che dell’intero collegio di difesa di Deborah Lipstadt, compresa la stessa, tecnicamente inetta, prof. Lipstadt; e tutto ciò solleva la questione di una ragione nascosta;
- Che tutte le mie conclusioni, dalla costruzione della Kolonna di Kula fino alla sua presentazione al convegno di Irving, sono conclusioni sperimentali; sperimentali in quanto le conclusioni fondate sulla ricerca storica e scientifica sono sempre, nel migliore dei casi, provvisorie. Gli storici scientificamente seri devono sempre essere aperti a nuove informazioni e a migliori metodi di analisi di tali informazioni.
Conclusione
All’inizio di questo capitolo, ho indicato che la mia impostazione era un esempio derivato dalla nozione, precisata da Robert Faurisson, di exactitude. Egli me l’ ha descritta così in una email del 29 Settembre 2003: “la verité mais au sens de verité verifiable”. La mia traduzione è “the truth but in the sense of verifiable truth”. [23] La mia “esattezza all’opera” è in tal modo un omaggio al professor dottor Robert Faurisson, e qualunque errore risulti dal mio modello imperfettamente costruito e dalle conclusioni che ne ho dedotto, si tratta di giudizi personali, per i quali mi assumo la completa responsabilità.
Il dr. Robert Countess mentre presenta la propria riproduzione della “Kolonna di Kula”, durante il Convegno organizzato da David Irving a Cincinnati nel 2002.
Il direttore del convegno sulla “Real History” mi scrisse il 10 Settembre del 2002, dopo la mia conferenza: “Non ho avuto occasione di ringraziarla in modo appropriato per il suo magnifico contributo al nostro ricevimento di fine settimana. […] Così una volta di più: grazie!”
E da parte mia dico a Robert Faurisson ”Grazie!” e “Grazie ancora” per l’amicizia personale concessami e l’esempio professionale fornito negli ultimi quindici anni, fin dal nostro primo incontro il 10 Ottobre del 1987, all’ottavo convegno dell’Institute for Historical Review. Quando ripenso alla conferenza che tenni il Sabato pomeriggio, raccontando la mia esperienza nell’insegnamento della storia all’Università dell’Alabama di Huntsville,ed essendo stato il primo professore negli Stati Uniti ad aver utilizzato il libro di Arthur Butz nel corso di un trimestre accademico, ricordo che rimasi sorpreso nel vedere che, quando ebbi finito, il prof. Faurisson fu il primo ad alzarsi ed applaudire in modo entusiastico, seguito dal resto del pubblico. Rimasi sorpreso perché pensavo di aver fatto nella mia classe quello che ogni professore normale dovrebbe fare – cioè offrire agli studenti l’opportunità di conoscere interpretazioni alternative delle controversie storiche. Robert mi assicurò che quello che avevo fatto era decisamente straordinario e per nulla “normale”.
Il 10 Settembre 1994, ospitai Faurisson per una conferenza pubblica nella Roberts Hall, nel campus dell’Università dell’Alabama ad Huntsville. Erano presenti per l’evento cineprese televisive, giornalisti, gli addetti alle pubbliche relazioni dell’Università, la polizia del campus, e circa 60-75 studenti e residenti della zona. Un commerciante ebreo locale molto ricco sedeva in prima fila, un uomo che conoscevo da molti anni, e si rifiutò di stringere la mano a Faurisson.
Ma era per me motivo di maggiore preoccupazione, rispetto a questa deplorevole manifestazione di rancore, il fatto che per tutta la settimana Faurisson mi avesse detto che la conferenza sarebbe stata cancellata all’ultimo minuto. Lo assicurai che qui, nell’Alabama del Nord, tutto ciò non sarebbe accaduto, sia perché avevo un accordo per l’utilizzo della sala con l’Università, sia perché non è questo il modo in cui le persone della “città spaziale” di Huntsville (la città che è diventata grazie al dr. Werner von Braun il centro mondiale della scienza spaziale) si comportano o che sono disposte a tollerare. In effetti, aggiunsi che avrebbero potuto esservi dei contestatori, ma che si sarebbero probabilmente presentati vestiti in modo gradevole, e distribuendo qualche documento di protesta – e tutto avrebbe avuto luogo in modo pacifico.
Faurisson fu molto sorpreso che tutto si svolse regolarmente e così lo congedammo per il suo ritorno in Francia un giorno o due più tardi, insieme al suo piacevole ricordo della zuppa Gumbo, preparata dalla mia moglie cajun!
Io e mia moglie porgiamo i nostri migliori auguri a Robert Faurisson per il suo 75° compleanno festeggiato a Vichy, in Francia, e speriamo che ne possa festeggiare molti di più man mano che continua a sfidare i propri nemici seminatori di odio, tra i quali vi fu chi dichiarò più di vent’anni orsono che “Faurisson non vivrà a lungo”.
Abbi cura della tua “lunga vita”, Robert!
[1] Nota del traduttore: il testo originale può essere consultato al seguente indirizzo : http://vho.org/tr/2004/1/Countess56-61.html
[2] Traduzione di Andrea Carancini
[3] Ecrits révisionnistes (1974-1998), vol. I, p.4.
[4] N. d. t.: il termine anglosassone è Judicial Notice. L’accettazione da parte di un tribunale, a scopo di comodità e senza richiedere ulteriori prove, di un fatto indiscutibile e ben conosciuto; la facoltà della corte di accettare tale fatto – i tribunali americani accettano come “evidenza” il fatto che l’acqua congeli a 32 gradi Fahrenheit.
[5] Robert Jan Van Pelt, The case for Auschwitz. Evidence from the Irving Trial, Bloomington, IN: Indiana University Press, 2002, pp. 204 e 209.
[6] Jean-Claude Pressac, Auschwitz : Technique and Operation of the Gas Chambers, New York: The Beate Klarsfeld Foundation, 1989. Pressac fece il suo personale schizzo del congegno di Kula a p.487, ma, soprattutto, Pressac mostra numerose foto di griglie e cortine metalliche presentate come parti del sistema di ventilazione della camera mortuaria in questione, e ci si può domandare come mai i tedeschi si sarebbero lasciati dietro tali presunte “tracce” incriminanti di componenti metalliche impregnate di acido cianidrico ma abbiano però rimosso completamente le otto grandi Kolonne di Kula.
[7] Kula fu detenuto dal Gennaio del 1945 a Birkenau insieme a Henryk Tauber in un reparto riservato ai membri di organizzazioni sovversive, secondo il ricercatore italiano Carlo Mattogno, il quale aggiunge che Kula e Tauber ebbero il tempo e opportunità sufficienti per fabbricare la loro storia sulle otto colonne metalliche a triplo ingranaggio. “Keine Locher, keine Gaskammer(n),” Vierteljareshefte fur freie Geschichtsforschung, 6 (3), 2002, p.302.
[8] Processo Hoss, vol. 2, pp. 99-100.
[9] Come ad esempio le molteplici illustrazioni disegnate dall’ebreo francese David Olère, che si possono trovare nel Auschwitz di Pressac, op. cit. (nota 4), p.488 e altrove. Il libro di Van Pelt, pp.173-485, presenta le illustrazioni di Olère come se queste costituissero una prova materiale.
[10] Robert Lenski, The Holocaust on Trial. The Case of Ernst Zundel, Reporter Press: Decatur, AL, 1989, pp.20 ff.
[11] N. d. t.: in questo contesto l’autore usa il termine “falsificare” in senso scientifico. Ecco cosa scrive in proposito il Vocabolario della Lingua Italiana dell’Enciclopedia Treccani (p. 379): “Nel linguaggio filosofico e scientifico, falsificare un’ipotesi, una teoria, confutarla, dimostrarla falsa o infondata, per esempio per mezzo di un esperimento relativo a circostanze osservabili (si contrappone a verificare, nel senso di confermare l’esattezza di un’ipotesi, di una teoria).”
[12] Germar Rudolf, The Rudolf Report, Chicago, 2002, p.131.
[13] Mattogno, op. cit., (nota 5), p.302.
[14] Van Pelt, op. cit., (nota 3), pp. 188 f.
[15] N. d. t.: Il termine originale è “executioner”, riferimento polemico al noto libro di Daniel J. Goldhagen: Hitler’s Willing Executioners, Londra, 1996 (I volenterosi carnefici di Hitler).
[16] N. d. t.: il pollice è una misura lineare pari a cm. 2,54.
[17] N. d. t.: Il termine originale impiegato da Faurisson è “historiens de papier” e sta ad indicare degli storici che basano la propria conoscenza dei fatti solo sui libri di altri storici, e non, anche, su fattori di ordine materiale.
[18] Charles D. Provan, No Holes ? No Holocaust? A Study of the Holes in the Roof of Leichenkeller 1 of Krematorium 2 at Birkenau, Monongehela, 2000. A pagina 31 del suo opuscolo Provan conclude: “ L’argomento “Niente Aperture, niente Olocausto” non è più sostenibile poiché ci sono tre settori dove esistono delle aperture sul tetto, in conformità alle testimonianze, mentre la quarta [apertura] non è rintracciabile.”
[19] Vedi Arthur Butz, The Hoax of the Twentieth Century. The Case Against the Presumed Extermination of European Jewry, Chicago, 2003.
[20] N. d. t.: il testo originale recita “Sakrete”, che è appunto una marca americana di cemento.
[21] Vedi la trattazione di questo argomento da parte di Rudolf nel suo rapporto, op. cit., (nota 9), pp.130-133.
[22] Vedi l’articolo di Hans Jurgen Novak “Kurzwellen-Entlausungsanlagen in Auschwitz. Revolutionare Entlausungstechnik als Lebensretter im Konzentrationslager“, Vierteljahreshefte fur Freie Geschichtsforschung 2, 1998, pp.87-106.