IL PAPA
Vicario infallibile di Gesù Cristo Nostro Signore.
E' lecito per un cattolico disobbedire al legittimo Pontefice della S. Chiesa Cattolica?


 

PREFAZIONE

Mai come in questo periodo di fine millennio, caratterizzato da un caos dottrinale senza precedenti e dal dilagare dell'eresia, si è vista l'estrema necessità di spiegare in modo chiaro e senza censure a quei cattolici, che vogliono vivere integralmente la fede che hanno ricevuto nel loro battesimo, il ruolo primario e la specificità del Successore di San Pietro. Tale necessità trae la sua origine dalla situazione di estrema confusione e sbandamento dottrinale a riguardo della figura del Papa in cui versa il mondo cattolico, non esclusa quella piccola porzione di fedeli detti impropriamente «tradizionalisti» che non si sono lasciati sedurre dalle «novità» (in realtà, errori vecchi di secoli) del neomodernista Vaticano II ed hanno saputo conservare nel loro cuore intatti i dogmi della fede. Fin dai tempi del primo post-Concilio, infatti, l'indefessa fedeltà che ogni buon cristiano deve manifestare alla Cattedra di San Pietro è stata la spina nel fianco di coloro che, pur rifiutando le tendenze progressiste di coloro che volevano sminuire l'Autorità pontificia (soprattutto con la «collegialità»), erano a loro volta costretti a malincuore a resistere in faccia a codesta Autorità che Santa Caterina da Siena (1347-1380) soleva abitualmente chiamare «il dolce Cristo in terra». Se da una parte questi fedeli avrebbero voluto prontamente obbedire e sottomettersi totalmente a quell'Autorità voluta da Nostro Signore stesso, dall'altra erano impossibilitati dalla loro coscienza ad abbracciare dottrine eretiche condannate più volte ed in modo solenne dagli augusti predecessori di quell'autorità che ora chiedeva imperativamente la loro sottomissione. Questa dolorosa e nuova situazione, in cui purtroppo ancora oggi ci troviamo, sommata ad un certo pragmatismo totalmente sganciato da qualsiasi fondamento teologico, ad una buona dose di sentimentalismo e ad un'imperdonabile ignoranza a riguardo delle prerogative uniche del Sommo Pontefice - soprattutto dell'infallibilità prudenziale di cui egli gode anche nel suo Magistero ordinario e quotidiano - hanno favorito l'instaurarsi presso tali cattolici dell'erronea e perniciosissima convinzione secondo cui si può e si deve disobbedire in tutta tranquillità alle direttive di colui che riconoscono essere il Vicario di Cristo in terra. Inutile dire che questo assunto, non solo non trova eco nella bimillenaria Storia della Chiesa (se non nell'eresia protestante o nel gallicanesimo), ma non corrisponde neppure ai dettami della più sana teologia e soprattutto alle definizioni dei Sacri Concilî, ed in particolar modo a quelle sancite a proposito dell'infallibilità dal Vaticano I (1869-1870). Il pregio di questo piccolo opuscolo, che ha ricevuto l'Imprimatur dell'autorità ecclesiastica, e che quindi possiamo leggere senza temere che contenga errori contro la fede, sta nel ripresentare in modo sintetico, ma chiarissimo, le prerogative del Vescovo di Roma e l'assoluta necessità di assumere una posizione a riguardo dei «Papi» conciliari che non cozzi contro le verità di fede a riguardo del Pontefice, fosse anche quella derivante dalla constatazione che una vera Autorità non può assolutamente insegnare abitualmente l'eresia come abbiamo visto fare in questi ultimi trent'anni.

INTRODUZIONE

Il Papato è una istituzione divina.
Diciamo: «istituzione divina» e su questo termine mettiamo ben chiaro l’accento, perché da esso scaturiscono, appunto, le caratteristiche fondamentali del Papato. Tralasciando per brevità le altre fonti scritturistiche, limitiamoci al Vangelo. Nel capitolo XVI del Vangelo di San Matteo ecco la celebre promessa di Gesù: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa», parole dette al solo Pietro e non ripetute agli altri discepoli come invece lo furono le parole successive riguardanti il potere di legare e di sciogliere. Nel capitolo XXI del Vangelo di San Giovanni vediamo avverarsi la promessa, quando Gesù affida a Pietro la cura del Suo mistico gregge. Non sono questi i soli testi evangelici, sui quali si fonda l’istituzione del Papato, ma sono i principali, i più noti e bastevoli per fissare un importantissimo principio, e che cioè: il supremo potere pontificale conferito a San Pietro e ai Suoi successori, è divinamente istituito; e da tale principio sgorgano limpide e non meno importanti conseguenze ossia: la necessità del Papato, la sua indipendenza, la sua infallibilità ed il suo primato.

NECESSITÀ DEL PAPATO

Dal momento che il Fondatore stesso della Chiesa l’ha istituito, il Papato, come la Chiesa, diventa così necessario che nessuna autorità all'infuori della divina potrebbe sopprimerla od anche solo modificarne l’essenza: neppure la Chiesa, neppure il Papato stesso. In altre parole, il Papato è di diritto divino, l’unico fra i regimi del mondo che possa dirsi tale. Fu ben osservato che Gesù disse a Pietro: «Pasci i miei agnelli» (Gv. 21, 15), e non già: «Pasci i tuoi agnelli». Questi sono e saranno sempre del divino Pastore Gesù. A questo passo corrisponde perfettamente l'altro, che si legge nel capitolo X pure di San Giovanni: «Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me». Non v'è, dunque, dubbio: a Pietro è affidato, dato in custodia, ma non donato, il mistico gregge, che rimane unicamente di Cristo. Donde deriva - come dice bene il Cardinale Charles Journet - che Pietro si chiama il «Vicario di Cristo» perché e convenuto che il potere esercitato in nome di un altro si chiami «potere vicario». Vicario di Cristo, dunque, e soltanto di Lui: non già della Chiesa; sarebbe pertanto non preciso e non senza pericolo chiamarlo «rappresentante della Chiesa» o del popolo cristiano. Egli direttamente ed immediatamente rappresenta Gesù Cristo, che direttamente ed immediatamente, e non per il tramite della Chiesa, gli ha conferito e a lui solo il supremo potere di giurisdizione. Le idee confuse su questo punto così importante del dogma cristiano causarono mali immensi nei secoli passati: lotte, eresie e scismi ne furono la conseguenza. Così, si giunse a stabilire un’illegittima anomalia tra le società politiche e quella società religiosa che è la Chiesa di Cristo; poiché le società perfette possono decidere sull’esistenza, sulla natura, sulle attribuzioni e sui limiti della loro autorità suprema, così certi teologi della fine del medioevo pensavano che anche la Chiesa, società perfetta, potesse fare altrettanto. Di costoro si occupò il Cardinale Caietano (1468-1534) nella sua Apologia de comparata auctoritate papæ et concilii, dove nomina il teologo Jacques Almain (1480-1515) e la stessa tanto autorevole Università di Parigi. Per quel che riguarda le società politiche, a Dio è bastato imprimere nella natura umana la tendenza a tali associazioni per un più facile raggiungimento del bene individuale e comune tendenza che, perciò, si deve dire di diritto divino, lasciando poi agli uomini stessi la cura di applicare tale tendenza nella scelta e nella costituzione dei vari regimi (monarchico, repubblicano, aristocratico, oligarchico, democratico, ecc...), i quali restano nella sfera del diritto umano. Tra questi non si può contare l’antica teocrazia del popolo ebraico, appunto perché la sua costituzione fu, eccezionalmente, ordinata da Dio medesimo. È appunto con la teocrazia ebraica, e soltanto con questa, che si potrebbe paragonare la costituzione della Chiesa e del Papato. Qui veramente si può parlare di analogia, almeno sotto certi aspetti. Dio non ha lasciato questa costituzione alla scelta degli uomini, ma ha voluto ordinare Egli medesimo la Chiesa ed il Papato così che fossero inseparabili ma distinti, in modo che il Papato, da Lui stabilito immediatamente, ricevesse da Lui stesso direttamente il supremo potere e non già indirettamente, mediante la Chiesa. Questa, pertanto, dovrà designare la persona, che sarà per ciò stesso investita dei poteri conferiti non dalla Chiesa, ma da Dio medesimo alla persona designata. Del resto, come insegna Leone XIII (1810-1903) nell'Enciclica Diuturnum, del 29 giugno 1881, confutando le dottrine ereditate dagli enciclopedisti e superando quelle di teologi pur di ottima fama, come Francisco Suarez (1548-1617) o San Roberto Bellarmino (1542-1621), anche nelle stesse comunità politiche, quando il popolo elegge il suo capo, non gli «conferisce» il potere, il quale viene solo da Dio, ma designa soltanto la persona che lo debba esercitare; tuttavia, lo stesso Pontefice aggiunge che «salva la giustizia, non si impedisce ai popoli di procacciarsi quel genere di reggimento, che meglio convenga alla loro indole o alle istituzioni e ai costumi dei loro maggiori». E qui sta appunto, sotto questo rispetto, la differenza specifica ed essenziale fra le costituzioni politiche e la costituzione pontificia, perché questa, invece, non ammette altra forma, se non quella conferitale direttamente ed immediatamente dal suo divino Fondatore. Dice il Caietano nell’opera citata: «Per comprendere la natura del regime ecclesiastico basta esaminare la sua origine. Essa non è dovuta ad alcuni individui o a qualsiasi comunità. Essa si è riunita attorno a Gesù Cristo, il suo capo, della sua stessa natura dal quale le derivò la vita, la perfezione e la forza. «Non voi avete scelto me - disse Egli - ma io ho scelto voi». L’autorità non risiede dunque nella comunità; non la si vede affidata, come nell’ordine civile, dalla comunità ad uno o più capi indifferentemente. Per natura e primordialmente, essa risiede in un solo capo riconoscibile. Siccome questo capo è il Signore Gesù, che ieri, oggi e in tutti i secoli vive e regna, ne consegue che secondo il diritto naturale, appartiene a Lui e non alla comunità religiosa, al momento della Sua Ascensione, la scelta di un Vicario, il cui ufficio sarà dunque non già di rappresentare la comunità ecclesiastica, nata per obbedire e non per comandare, bensì di rappresentare un Sovrano, dominatore per sua natura, della stessa comunità ecclesiastica. E questo, precisamente, si è degnato di fare Nostro Signore quando, dopo la Sua Resurrezione, prima di tornare al Cielo, elesse - come racconta San Giovanni - un solo Apostolo, Pietro, per Suo unico Vicario. E nel modo stesso che, secondo il diritto naturale, il Fondatore della Chiesa non ripete da questa Chiesa la sua autorità, anche il Suo Vicario la prende da Lui, e non dalla Chiesa». Quindi, a questo punto, possiamo concludere che il Papato deve esistere necessariamente, per diritto divino, e con quei poteri essenziali che il suo divino Fondatore gli ha conferito.

L'INDIPENDENZA

In quanto abbiamo detto finora è contenuta implicitamente l’affermazione dell’indipendenza assoluta del Papato da ogni potere che non sia divino. È chiaro, infatti, dopo i principî esposti, che la dignità e i poteri papali sono indipendenti dalla stessa Chiesa, considerata inadeguatamente, ossia nella sua parte discente e nella stessa parte docente, senza il Papa stesso. Gli ultimi tentativi, in seno alla Chiesa, di misconoscere questa verità si trovano nella famosa dichiarazione del clero gallicano del 1682 e negli articoli del conciliabolo di Pistoia, tenuto un secolo dopo, e precisamente nel 1786; ambedue manifestazioni avvenute fra grandi contrasti per le indebite ingerenze dei poteri civili. Il quarto ed ultimo articolo della dichiarazione del 1682, stesa dal Vescovo di Meaux, Giacomo Benigno Bossuet (1627-1704) - che poi ritrattò prima della morte - affermava che i giudizi del Sommo Pontefice non sono irreformabili se non col consenso della Chiesa; Luigi XIV (1638-1715), il Re Sole, con decreto reale, pretese che tutto il clero francese firmasse la dichiarazione; la grandissima parte dei teologi francesi la ritenne eretica; Innocenzo XI (1611-1689) protestò, ed il suo successore, Alessandro VIII (Papa dal 1689 al 1691), la condannò, insieme agli altri errori regalisti e gallicani, con la Bolla del 4 agosto 1690; e Luigi XIV, finalmente, il 14 settembre 1693, revocava il decreto del 1682, terminando così il dissidio dogmatico con la Santa Sede. Nel conciliabolo di Pistoia, imposto dal Granduca Leopoldo II d'Asburgo-Lorena (1747-1792), poi Imperatore, Mons. Scipione de' Ricci (1741-1809), Vescovo di Pistoia e Prato, presentò i suoi 57 articoli, sui quali, però, vi fu completa discordia. In uno di quegli articoli si affermava che il Romano Pontefice non è altro che «capo ministeriale» della Chiesa, alla quale soltanto è stata data da Cristo direttamente ed indipendentemente dal Papa, ogni potestà. Quest’errore fu colpito da Pio VI (1717-1799) nel 1794 con la Bolla Auctorem fidei, che condannò 95 proposizioni del conciliabolo pistoiese; cinque anni dopo, il Ricci mandava al Papa la sua ritrattazione. Le due manifestazioni, la francese e la toscana, servirono a chiarire maggiormente la dottrina sulla autorità papale, che ebbe il suo definitivo e solenne coronamento nel 1870 con la definizione del dogma dell’infallibilità pontificia. Se tale, dunque, e l’indipendenza del Papa nella Chiesa stessa, a fortiori lo sarà di fronte al potere civile. L’affermazione di tale dottrina è stata, pero, più o meno osteggiata da questo potere nella teoria o nella pratica, o in ambedue, quasi sempre e quasi dovunque, e probabilmente lo sarà anche in avvenire. Ma l’indipendenza della Chiesa, e quindi del suo Capo visibile, dai poteri civili è sempre stata sostenuta dai Romani Pontefici; ai tempi nostri, Pio IX (1792-1878) condannava nel Sillabo la proposizione affermante che spetta alla potestà civile definire quali siano i diritti della Chiesa e i limiti dentro i quali essa possa esercitare i medesimi diritti. Leone XIII ribadiva tale condanna, tra l’altro, nell’Enciclica Immortale Dei, del 1º novembre 1885, dicendo che «[...] siccome il fine, al quale tende la Chiesa, e nobilissimo sopra ogni altro, così la potestà di essa va sopra tutte le altre, e non deve essere ne reputata inferiore ai poteri dello Stato, ne a lui in qualsiasi modo sottoposta». Ora, per le ragioni anzidette, è evidente che quanto qui si dice della Chiesa vale anche per il suo Sommo Gerarca. E qui torna a proposito il ricordare la dottrina del potere indiretto del Papa e della Chiesa sulla potestà civile nelle questioni cosiddette «miste» e quando lo richieda il bene comune, potere già affermato da Innocenzo III (1160-1216) e poi riaffermato ancor più solennemente da Bonifacio VIII (1235 ca.-1303) nella celebre Bolla Unam sanctam, del 18 novembre 1302, in cui il Papa, illustrata la subordinazione dei Re cattolici alla Chiesa, non in ragione della loro autorità, ma «ratione peccati» («a causa del peccato») concludeva: «Subesse Romano Pontifici omni humanæ creaturæ declaramus, dicimus, definimus omnino esse de necessitate salutis» («Noi dichiariamo, diciamo e definiamo che la sottomissione al Romano Pontefice è assolutamente necessaria ad ogni creatura umana per conseguire l'eterna salvezza»). E Leone XIII, nell’Enciclica Sapientiæ christianæ, del 16 gennaio 1890: «[...] la Chiesa non può essere indifferente intorno alle leggi dello Stato, non in quanto tali, ma perché talora, travalicando i debiti confini, invadono i diritti della Chiesa. Anzi, è per essa un dovere impostole da Dio, di resistere, sempre che la politica danneggi la religione, e di argomentarsi con ogni studio acciochè lo spirito della legislazione evangelica informi le leggi e le istituzioni dei popoli». Anche il ghibellino ma cattolico Dante Alighieri (1265-1321) avrebbe cordialmente aderito a queste parole. Infatti, benché supponesse l’Imperatore investito direttamente da Dio quale monarca universale, tuttavia non spingeva la sua dottrina a tal segno, da lasciar credere «[...] che il Principe romano non sottostia in alcuna cosa al Romano Pontefice, essendo questa mortal felicità in certo modo ordinata per la felicità immortale. Usi, dunque, Cesare verso Pietro di quella riverenza che usar debba un figliuolo primogenito al padre, affinché illuminato della luce della paterna grazia, più virtuosamente irraggi l’orbe della terra» (cfr. D. ALIGHIERI, De monarchia, Parte III; tale opera, a causa della dottrina dualista dei due soli, fu messa all'Indice).

INFALLIBILITÀ

Altra prerogativa con cui il Fondatore della Chiesa e del Papato volle munire il Suo Vicario in terra è l’infallibilità. Notiamo subito che il Papa può essere considerato come dottore privato e come Capo della Chiesa; nel primo caso egli - secondo alcuni teologi - può essere soggetto ad errore come qualsiasi altro teologo, per quanto dotto ed illuminato; nel secondo caso, invece, egli gode di un’assistenza divina speciale, ma in grado diverso a seconda dell’oggetto e del modo delle sue decisioni. Si distinguono, cioè, nel secondo caso, gli atti in cui il Papa, pur esercitando il suo alto ministero pastorale, non intende proporre una definizione da credersi sotto pena di anatema, e gli atti in cui il Papa impegna, per così dire, tutta la sua autorità di Vicario di Cristo, esigendo l’accettazione da parte di tutti i membri della Chiesa sotto pena di anatema. I moderni teologi distinguono ancora un’infallibilità «prudenziale», corrispondente ad una assistenza divina prudenziale (come quando il Papa insegna cose di dottrina dogmatica o morale nelle Encicliche) (1) ed una infallibilità «assoluta» corrispondente ad un’assistenza divina assoluta (come quando definisce solennemente, con le formule d’uso manifestanti chiaramente l’intenzione del Supremo Pastore di proporre una verità dogmatica o morale irrevocabile). Quando si parla di infallibilità pontificia, s’intende generalmente questa seconda specie: l’infallibilità assoluta, ossia quella proclamata come verità di fede dal Concilio Vaticano del 1870 nella Costituzione Pastor æternus, che dice precisamente così: «Il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, ossia, nella sua qualità di Pastore e Dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce doversi tenere dalla Chiesa universale una dottrina di fede o di morale, grazie all’assistenza divina a lui promessa nella persona del Beato Pietro, gode di quella infallibilità della quale il divino Redentore volle che fosse munita la Sua Chiesa nel definire la dottrina di fede e dei costumi; perciò tali definizioni del Romano Pontefice sono irreformabili per se stesse indipendentemente dal consenso della Chiesa». Senza entrare nelle sottili distinzioni teologiche per ciò che riguarda l’oggetto dell’infallibilità, notiamo soltanto che oltre le dottrine di fede e di morale (esplicitamente o implicitamente rivelate) sono compresi anche i cosiddetti «fatti dogmatici», ossia, quelle verità che sono così strettamente connesse con le verità rivelate che senza di esse queste non possono convenientemente essere custodite, spiegate e difese. Ognuno comprende l’importanza della definizione vaticana; bisogna, peraltro, ricordare che l’infallibilità pontificia, così intesa, fu sempre creduta nella Chiesa cattolica come verità di fede divina, almeno di fatto ed implicitamente, secondo la testimonianza, pure, di Concilî ecumenici, come l’ottavo (Costantinopolitano IV), il secondo Lionese ed il Fiorentino. Tale verità si fonda specialmente sulle parole dette da Gesù a San Pietro: «Simone, Simone, ecco Satana va in cerca di voi per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno: e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc. 22, 31-32). I Padri, i Dottori, i Concilî, nonché il senso dei fedeli, furono sempre e dovunque concordi nel vedere contenuta in questo passo evangelico l’infallibilità pontificia, così che la solenne definizione vaticana non fece che esprimere il perenne pensiero della cattolicità, sempre più convalidato dall’esperienza dei secoli, che NON VIDERO MAI ALCUN PAPA, ANCHE SE PERSONALMENTE INDEGNO, CADERE NELL’ERRORE DOTTRINALE. È vero che nel Concilio Vaticano I si levò qualche voce, anche assai autorevole, contro la definizione del dogma, ma il dissenso era soltanto sull’opportunità; gli avvenimenti, poi, dimostrarono, invece, quanto essa fosse provvidenziale, dando al Papato un prestigio quale mai aveva goduto, e alla sua azione un’efficacia che i tempi nuovi veramente esigevano.

IL PRIMATO

Quanto abbiamo esposto finora mostra pure necessariamente ed evidentemente la supremazia del Vescovo di Roma su tutti i Vescovi del mondo, non soltanto nella dignità, ma anche nella giurisdizione: si vuol dire, in altre parole, che, mentre le altre autorità ecclesiastiche (Patriarchi, Metropoliti e Vescovi) hanno giurisdizione soltanto sopra le rispettive chiese, il Vescovo di Roma, successore di San Pietro, estende la sua giurisdizione su tutta quanta la Chiesa universale, sulle singole Chiese e sui singoli fedeli. Questa supremazia di diritto e di fatto si chiama pure «Primato del Sommo Pontefice». Il Concilio Fiorentino ed il Concilio Tridentino definirono come verità di fede che: 1º) San Pietro fu non soltanto capo del Collegio apostolico, ma anche Pastore della Chiesa universale; 2º) che il Romano Pontefice è il Successore di San Pietro e come tale ha la stessa potestà e giurisdizione su tutta la Chiesa, per cui tutti i fedeli gli debbono riverenza ed obbedienza. Come si vede, non si tratta soltanto di un Primato d’onore, sul quale sono d’accordo anche le Chiese orientali separate, ma d’un Primato di giurisdizione vero e proprio. Anche questa verità fu sempre creduta fin dai primi tempi nella Chiesa cattolica; innumerevoli sono le testimonianze anche in Oriente dell’universale consenso su questo punto di dottrina; e se le «manifestazioni dottrinali» di tale consenso furono nei primi secoli relativamente scarse in quelle regioni, il riconoscimento del Primato romano era implicito nella pratica, soprattutto in un duplice ordine di fatti, ossia, nel ricorso di quei Vescovi a Roma per risolvere qualsiasi genere di questioni, dottrinali o pratiche, e poi nel riconoscimento dell’approvazione romana per la validità dei Concilii. Purtroppo, è da deplorare, come dice lo storico della Chiesa ed apologista Pietro Batiffol (1861-1929), che una verità così importante come questa del Primato del Pontificato romano, non sia stata definita prima che avvenisse la separazione; lo scisma sarebbe stato quasi certamente evitato, od almeno non avrebbe avuto così grandi proporzioni: e qui è un’altra prova dell’importanza delle definizioni solenni della Chiesa, tra cui quella dell’infallibilità pontificia. E che non fosse allora definita come di fede tale verità, si deve evidentemente al fatto che non era impugnata da nessuno; la si credeva e la si applicava senza discuterla, come cosa pacifica. L’ultimo Concilio ecumenico celebrato in Oriente, il Costantinopolitano IV (869), mentre condannava l’intruso Patriarca Fozio (820 ca.-891 ca.), sottoscriveva il celebre formulario del Papa Sant'Ormisda (Papa dal 514 al 523), in cui si professava avere Nostro Signore fatto particolari promesse a San Pietro, in virtù delle quali la religione cattolica si mantenne sempre pura e senza macchia nell’Apostolica Sede, ed esser necessario conformarsi in tutto ai decreti della stessa Santa Sede sotto pena d’esser separati dalla comunione della Chiesa cattolica. Fu precisamente Fozio a tentare di mettere un fondamento dogmatico al tentato scisma, fondamento di cui si valse due secoli dopo quell’infelice suo successore, per intrighi di corte, nella sede patriarcale di Costantinopoli, Michele Cerulario (1000 ca.-1058), che riuscì, purtroppo, nell’opera nefasta di spezzare in due la cristianità. Nel Concilio di Firenze, celebrato quattro secoli dopo per tentare la riunione delle Chiese, gli Orientali separati, convenuti colà numerosi, con a capo lo stesso patriarca di Costantinopoli, confermarono la solidità del Primato di giurisdizione del Pontefice Romano, firmando il solenne atto di unione. Dove tra l’altro si definiva: «Romano pontifici in Beato Petro, pascendi, regendi et gubernandi Universalem Ecclesiam, a D. N. Jesu Christo plenam potestatem traditam esse» («Nostro Signore Gesù Cristo ha concesso la piena potestà al beato Pietro, nel Romano Pontefice, di pascere, reggere e governare la Chiesa universale»). Purtroppo, lasciata Roma, vi si mescolarono interessi terreni, si ruppe da non pochi la fede data, sopravvennero gravi avvenimenti politici e militari, come la caduta di Costantinopoli nelle mani dei maomettani, feroci nemici di Roma e del Papa, e così la massima parte dell’Oriente cristiano rimase nello scisma, sottostando ad altri primati, che nulla hanno a che vedere con quello stabilito da Cristo. Pochi decenni dopo, anche l’Occidente era sconvolto dalla ribellione religiosa, che, si può dire, ebbe il suo fondamentale principio nella negazione del Primato e dell’infallibilità pontificia. Scardinate queste verità, ogni errore ebbe cittadinanza nell’anarchia religiosa; e fu la controprova più decisiva della necessita di quelle prerogative papali. Ma pure, lo stesso Martin Lutero (1483-1546), pochi mesi prima di bruciare la Bolla di condanna mandatagli da Leone X (1475-1521), scriveva da Amburgo, il 3 marzo 1519, a questo Pontefice, confessando «[...] con tutta l’adesione dell’animo, che l’autorità della Chiesa Romana è superiore a qualunque altra potestà, e che niente, né in cielo, né in terra, si deve a lei preferire, eccettuato il solo Gesù Cristo Nostro Signore». Parole che non si debbono giudicare come sfuggite in un momento di passeggero fervore, ma che s’accordano con molte altre espressioni non meno vive, scritte in quegli anni precedenti l’apostasia. Il Concilio di Trento, condannando gli errori protestanti, usò della definizione del Concilio Fiorentino, ma non trattò espressamente del Primato, perché già esaurientemente discusso, appunto, nel Concilio precedente; ne trattò, invece, ancora il Concilio Vaticano I, che, nella citata Costituzione Pastor æternus pose in luce i sei caratteri del Primato papale, affermando che la sua potestà è di vera e propria giurisdizione, è suprema, universale, piena, ordinaria, ed immediata. Con questa definizione si condannavano gli errori professati dal Febronio (pseudonimo di Johann von Hontheim; 1701-1790), dai giansenisti Pietro Tamburini (1737-1827) e Scipione de' Ricci, che limitavano, in un senso o nell’altro, la potestà del Sommo Pontefice. Il Concilio Vaticano I compensava così, largamente, le offese, che proprio allora si recavano alla più augusta autorità della terra: l’Episcopato mondiale unanime, in unione col Supremo Gerarca della Chiesa, riaffermava solennemente la fede di tutti i secoli cristiani nel Primato del Romano Pontefice con le prerogative definite dalla Costituzione Pastor æternus, del 18 luglio 1870: una data davvero storica negli annali della Chiesa.

DAL CATECHISMO MAGGIORE DI SAN PIO X

Della Chiesa in particolare

150 D. Che cosa è la Chiesa cattolica?
R. La Chiesa cattolica e la società o congregazione di tutti i battezzati che, vivendo sulla terra, professano la stessa fede e legge di Cristo, partecipano agli stessi sacramenti, e obbediscono ai legittimi Pastori, principalmente al Romano Pontefice.
151 D. Dite distintamente che cosa è necessario per esser membro della Chiesa?
R. Per esser membro della Chiesa e necessario esser battezzato, credere e professare la dottrina di Gesù Cristo, partecipare ai medesimi sacramenti, riconoscere il Papa e gli altri legittimi Pastori della Chiesa.
152 D. Chi sono i legittimi Pastori della Chiesa ?
R. I legittimi Pastori della Chiesa, sono il Romano Pontefice, cioè il Papa, che e il Pastore universale, ed i Vescovi. Inoltre, sotto la dipendenza dei Vescovi e del Papa, hanno parte nell’ufficio di pastori gli altri sacerdoti e specialmente i parroci.
153 D. Perché dite che il Romano Pontefice e il Pastore universale della Chiesa ?
R. Perché Gesù Cristo disse a san Pietro, primo Papa: «Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e darò a te le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato anche in cielo, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche in cielo». E gli disse ancora: Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle.
154 D. Non appartengono dunque alla Chiesa di Gesù Cristo tante società a uomini battezzati che non riconoscono il Romano Pontefice per loro capo?
R. No, tutti coloro che non riconoscono il Romano Pontefice per loro capo, non appartengono alla Chiesa di Gesù Cristo.
156 D. Perché la Chiesa si dice Una?
R. La vera Chiesa si dice Una, perché i suoi figli, di qualunque tempo e luogo, sono uniti fra loro nella medesima fede, nel medesimo culto, nella medesima legge e nella partecipazione dei medesimi sacramenti, sotto un medesimo capo visibile, il Romano Pontefice.
172 D. E chi essendo pur membro della Chiesa cattolica non mettesse in pratica gli insegnamenti di essa, si salverebbe?
R. Chi, essendo pur membro della Chiesa cattolica, non mettesse in pratica gli insegnamenti di essa, ne sarebbe membro morto e perciò non si salverebbe, perché per la salute di un adulto si richiede non solo il battesimo e la fede, ma le opere altresì conformi alla fede.
174 D. Siamo altresì obbligati a fare tutto quello che la Chiesa comanda?
R. Si, siamo obbligati a fare tutto quello che la Chiesa comanda, perché Gesù Cristo ha detto ai Pastori della Chiesa: «Chi ascolta voi, ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me».
175 D. Può sbagliare la Chiesa nelle cose che ci propone a credere?
R. No, nelle cose che ci propone a credere, la Chiesa non può sbagliare, perché secondo la promessa di Gesù Cristo ella è perennemente assistita dallo Spirito Santo.
176 D. La Chiesa cattolica è dunque infallibile?
R. Si, la Chiesa cattolica e infallibile, epperò quelli che rifiutano le sue definizioni perdono la fede e diventano eretici.
179 D. Vi sono altri doveri dei cattolici verso la Chiesa?
R. Ogni cattolico deve avere per la Chiesa un amore illimitato, riputarsi infinitamente onorato e felice di appartenerle, e adoprarsi alla gloria e all'incremento di lei con tutti quei mezzi che sono in suo potere.

Della Chiesa docente e della Chiesa discente

180 D. Vi è distinzione alcuna fra i membri che compongono la Chiesa?
R. Fra i membri che compongono la Chiesa vi e distinzione notevolissima, perché vi e chi comanda e chi obbedisce, chi ammaestra e chi è ammaestrato.
181 D. Come si chiama quella parte della Chiesa che ammaestra?
R. La parte della Chiesa che ammaestra si chiama docente ossia insegnante.
182 D. La parte della Chiesa che viene ammaestrata come si chiama?
R. La parte della Chiesa che viene ammaestrata si chiama discente.
183 D. Chi ha stabilito questa distinzione nella Chiesa?
R. Questa distinzione nella Chiesa l’ha stabilita Gesù Cristo medesimo.
184 D. La Chiesa docente e la Chiesa discente sono dunque due Chiese distinte?
R. La Chiesa docente e la Chiesa discente sono due parti distinte di una sola e medesima Chiesa come nel corpo umano il capo e distinto dalle altre membra e tuttavia forma con esse un corpo solo.
185 D. Di chi si compone la Chiesa docente?
R. La Chiesa docente si compone di tutti i Vescovi con a capo il Romano Pontefice, sia che si trovino dispersi, sia che si trovino congregati in Concilio.
186 D. E la Chiesa discente da chi è composta?
R. La Chiesa discente e composta di tutti i fedeli.
187 D. Quali persone adunque hanno nella Chiesa l'autorità d'insegnare?
R. L‘autorità d’insegnare nella Chiesa l’hanno il Papa e i Vescovi, e sotto la loro dipendenza, gli altri sacri ministri. 188 D. Siamo noi obbligati ad ascoltare la Chiesa docente ?
R. Sì, senza dubbio, siamo tutti obbligati ad ascoltare la Chiesa docente sotto pena di eterna condanna, perché Gesù; Cristo disse ai Pastori della Chiesa, nella persona degli Apostoli: «Chi ascolta voi, ascolta me, e chi disprezza voi disprezza me»
. 189 D. Oltre l’autorità d’insegnare, ha la Chiesa qualche altro potere?
R. Sì, oltre l'autorità d'insegnare, la Chiesa ha specialmente il potere di amministrare le cose sante, di far leggi e di esigerne l'osservanza.
190 D. Il potere che hanno i membri della gerarchia ecclesiastica viene dal popolo?
R. Il potere che hanno i membri della gerarchia ecclesiastica non viene dal popolo, e sarebbe eresia il dirlo, ma viene unicamente da Dio.
191 D. A chi spetta l'esercizio di questi poteri?
R. L’esercizio di questi poteri spetta unicamente al ceto gerarchico, vale a dire al Papa e al Vescovi a lui subordinati.

Del Papa e dei Vescovi

192 D. Chi è il Papa?
R. Il Papa, che noi chiamiamo pure il Sommo Pontefice, o anche il Romano Pontefice, e il successore di San Pietro nella Cattedra di Roma, il Vicario di Gesù Cristo sulla terra e il capo visibile della Chiesa.
193 D. Perché il Romano Pontefice è successore di San Pietro ?
R. Il Romano Pontefice e successore di S. Pietro, perché S. Pietro nella sua persona riunì la dignità di Vescovo di Roma e di capo della Chiesa; stabilì in Roma per divina disposizione la sua sede e ivi morì, perciò chi viene eletto Vescovo di Roma è anche l’erede di tutta la sua autorità.
194 D. Perché il Romano Pontefice è il Vicario di Gesù Cristo?
R. Il Romano Pontefice è il Vicario di Gesù Cristo, perché lo rappresenta sopra la terra e ne fa le veci nel governo della Chiesa.
195 D. Perché il Romano Pontefice è capo visibile della Chiesa?
R. Il Romano Pontefice e il capo visibile della Chiesa, perché egli la regge visibilmente coll’autorità medesima di Gesù Cristo, che ne è il capo Invisibile.
196 D. Qual'è dunque la dignità del Papa?
R. La dignità del Papa è la massima fra tutte le dignità della terra, e gli dà potere supremo ed immediato sopra tutti e singoli i Pastori e i fedeli.
197 D. Può errare il Papa nell’ammaestrare la Chiesa ?
R. II Papa non può errare, ossia è infallibile nelle definizioni che riguardano la fede e i costumi.
198 D. Per qual motivo il Papa è infallibile?
R. Il Papa è infallibile per la promessa di Gesù Cristo e per la continua assistenza dello Spirito Santo.
199 D. Quando è che il Papa è infallibile?
R. II Papa è infallibile allora soltanto che nella sua qualità di Pastore e Maestro di tutti i cristiani, in virtù della suprema sua apostolica autorità, definisce una dottrina intorno alla fede o ai costumi da tenersi da tutta la Chiesa.
200 D. Chi non credesse alle solenni definizioni del Papa, quale peccato commetterebbe?
R. Chi non credesse alle definizioni solenni del Papa, o anche solo ne dubitasse, peccherebbe contro la fede, e se rimanesse ostinato in questa incredulità, non sarebbe più cattolico, ma eretico.
201 D. Per qual fine Dio ha concesso al Papa il dono dell'infallibilità?
R. Dio ha concesso al Papa il dono dell'infallibilità affinché tutti siamo certi e sicuri della verità che la Chiesa insegna.
202 D. Quando fu definito che il Papa è infallibile?
R. Che il Papa è infallibile fu definito dalla Chiesa nel Concilio Vaticano, e se alcuno presumesse di contraddire a questa definizione sarebbe eretico e scomunicato.
203 D. La Chiesa nel definire che il Papa è infallibile ha forse stabilito una nuova verità di fede?
R. No, la Chiesa nel definire che il Papa è infallibile non ha stabilito una nuova verità di fede, ma solo, per opporsi a nuovi errori, ha definito che l’infallibilità del Papa, contenuta già nella Sacra Scrittura e nella Tradizione, è una verità rivelata da Dio e quindi da credersi come dogma o articolo di fede.
204 D. Come deve comportarsi ogni cattolico verso il Papa?
R. Ogni cattolico deve riconoscere il Papa, qual Padre, Pastore e Maestro universale e stare a lui unito di mente e di cuore.

Della Tradizione

889 D. Ditemi: che cosa è la Tradizione?
R. La Tradizione è la parola di Dio non scritta, ma comunicata a viva voce da Gesù Cristo e dagli Apostoli, e giunta inalterata, di secolo in secolo per mezzo della Chiesa fino a noi.
890 D. Dove si contengono gl'insegnamenti della Tradizione?
R. Gli insegnamenti della Tradizione si contengono principalmente nei decreti dei Concilî, negli scritti dei santi Padri, negli atti della Santa Sede, nelle parole e negli usi della sacra Liturgia.
891 D. In qual conto si deve tenere la Tradizione?
R. La Tradizione si deve tenere in quel medesimo conto in che si tiene la parola di Dio rivelata, contenuta nella Sacra Scrittura.

In quale conto tutti i cattolici devono tenere la Tradizione? (S. Pio X)

7. Da quanto ora dicemmo e da quanto accennammo al n. 5 si comprende l’importanza somma della Tradizione divina, la quale è la stessa parola, da Dio medesimo dichiarata, a viva voce, ai primi suoi ministri, e da quelli passata fino a noi per una continua successione. Anche ad essa perciò giustamente si appoggia la fede come a stabilissimo fondamento.

8. Questa Tradizione divina, unitamente alla Sacra Scrittura, dove tutta insieme la parola di Dio scritta e trasmessa a viva voce, fu confidata da N. S. Gesù Cristo a un Depositario, pubblico, perpetuo, infallibile: dove alla santa Chiesa Cattolica ed Apostolica; la quale fondandosi appunto sopra quella divina Tradizione, appoggiandosi all'autorità datale da Dio, ed affidata alla promessale assistenza e direzione dello Spirito Santo, definisce quali libri contengano la divina rivelazione, interpreta le Scritture, e ne fissa il senso ogni qualvolta nasca dubbio circa il medesimo, decide delle cose che riguardano la fede e che, riguardo a questi oggetti di suprema importanza, possano comunque far traviare la mente e il cuore dei fedeli credenti.

9. Tale giudizio però si avverta, spetta a quella eletta parte della Chiesa che si chiama docente, cioè insegnante, formata in prima dagli Apostoli, e poi dai loro successori, i Vescovi con a capo il Papa, ossia il Romano Pontefice successore di S. Pietro. Il Sommo Pontefice dotato da Gesù Cristo della medesima infallibilità, onde è fornita la Chiesa, e che gli è necessaria a conservare l’unita e purità della dottrina, quando parla ex cathedra, ossia come Pastore e Dottore di tutti i cristiani, può fare quegli stessi decreti e portare quegli stessi giudizi nelle cose che riguardano la fede e i costumi, i quali niuno può rifiutare senza scapitar nella fede. Può sempre esercitare la suprema sua potestà in tutto ciò che riguarda eziandio la disciplina e il buon regime della Chiesa; e tutti i fedeli debbono obbedirlo con sincero ossequio della mente e del cuore. Nell’obbedienza a questa suprema autorità della Chiesa e del Sommo Pontefice, per la cui autorità ci si propongono le verità della fede, ci s’impongono le leggi della Chiesa e si comanda tutto ciò che è necessario al buon regime di essa, sta la regola della nostra fede.
Pio X S.D.P.M.